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Ismea, un anno di Covid: bene avicoltura, perde terreno filiera suinicola. Ora preoccupa aumento prezzi materie prime

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Un impatto differenziato sulle diverse filiere zootecniche. Le conseguenze economiche delle misure di contrasto alla diffusione del coronavirus hanno avuto tratti diversi nel comparto agro-alimentare-zootecnico. La filiera suinicola ha mostrato, ad esempio, i limiti strutturali che la qualificano, come la dipendenza dalla lavorazione del suino pesante; quella lattiero-casearia ha subito la contrazione degli scambi commerciali mentre l’avicoltura ha dimostrato maggiore tenuta. Nell’ultimo report dedicato alla pandemia, a un anno dal primo lockdown, Ismea traccia un bilancio degli effetti dell’emergenza sanitaria. Con riferimento alla fine del 2020 e all’inizio del 2021, infine, l’istituto ha rilevato un problema comune a diversi comparti, già denunciato da più voci: l’aumento dei prezzi delle materie prime, sia cereali che proteici vegetali.

Lattiero caseario

Le ripercussioni più rilevanti ci sono state nella prima metà del 2020 con la chiusura del canale Horeca. Gli scambi commerciali sono stati condizionati dalle restrizioni, si sono create delle eccedenze e i prezzi dei principali prodotti sono diminuiti. Il livello minimo è stato raggiunto a giugno: -31% per il prezzo del Parmigiano reggiano e -23% per il Grana padano rispetto al 2019. Con il rallentamento dell’attività dei caseifici, la disponibilità di latte è aumentata e di conseguenza il prezzo è crollato: 30 euro;/100 kg ad aprile, con un distacco di quasi 10 euro; da inizio anno. Negli allevamenti il prezzo del latte alla stalla si è collocato in media a 36,6 euro;/100 lt (-9% rispetto a 2019). Sul mercato interno la spesa domestica è cresciuta del 7,5%, con un maggiore acquisto di formaggi (+9,7%) e latte a lunga conservazione (+8,7%). Questa propensione alla spesa non ha premiato il latte fresco (calo del 5%) già penalizzato dallo stop ai servizi di ristorazione.

I prodotti di punta del settore hanno visto diminuire l’export in valore del 4% proprio per la flessione dei prezzi. In particolare si sono ridimensionate le vendite verso Usa e Giappone. Ma anche l’import è diminuito: nei primi dieci mesi dell’anno -9% per i formaggi e -25% per il latte. Questo calo, unito alla maggiore disponibilità di prodotto, ha comportato un miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento e un saldo che dovrebbe risultare positivo anche in valore, sottolinea Ismea. In Europa, infine, il mercato sembra essersi stabilizzato. Nei primi dieci mesi del 2020 l’export dell’Ue a 27 (non considerando il Regno Unito come mercato di approdo) è aumentato per burro, latte intero in polvere e formaggi, stimolando così un incremento, pari all’1,8%, della produzione di latte negli allevamenti europei.

Avicoli

L’autosufficienza e l’integrazione della filiera hanno permesso al comparto di reggere all’urto della pandemia. I produttori sono stati in grado di regolare l’offerta in base alle esigenze; sia la produzione che i consumi ne hanno beneficiato (+1% i capi di pollame alla macellazione per i primi undici mesi del 2020). I valori medi alla produzione hanno fatto segnare un calo del 3,4% per le difficoltà di assorbire il prodotto tra aprile e ottobre, ma poi si sono ripresi. I prezzi del macellato, invece, hanno chiuso con valore positivo: +5% rispetto al 2019 per il valore medio annuo dei busti di pollo. Ciononostante Ismea non manca di sottolineare alcuni rischi per il 2021: una potenziale riduzione dei consumi, l’aumento dei prezzi dei mangimi, le conseguenze dei focolai di influenza aviaria e l’eccesso di offerta a livello mondiale.

Bovini

L’impatto c’è stato ma, vista la reazione della filiera, i danni sembrano meno gravi di quelli previsti a inizio crisi. Nei primi dieci mesi del 2020, nel mercato nazionale è circolato il 6,7% in meno di carne bovina. Sono diminuite sia le macellazioni (del 4-5%) che l’import (-8,7% circa). Anche in questo caso il lockdown e la chiusura dell’Horeca hanno condizionato l’andamento del settore. I consumi domestici sono aumentati del 6% in volume, un dato però non sufficiente a bilanciare le perdite della spesa extra-domestica. Il retail ha provato ad assorbire tutte le disponibilità di prodotto comportando però un eccesso di offerta e un rallentamento delle macellazioni. I capi costretti a rimanere negli allevamenti hanno avuto l’effetto di far aumentare i costi di gestione e il crollo dei prezzi. Se la tendenza sarà confermata dai dati di fine anno – ricordano gli esperti – si potrà registrare un minimo incremento del tasso di autoapprovvigionamento per le carni fresche: +1,3%.

Un altro elemento di condizionamento sono state le quotazioni molto concorrenziali della carne importata da Francia, Spagna, Germania e Polonia. I prezzi sono così scesi sia in Europa che in Italia. Il prezzo medio 2020 per le carni di bovino adulto, a partire da febbraio, si è attestato su livelli inferiori all’anno precedente: -6,5%. Addirittura -32% e -25% a marzo e aprile. Poi c’è stato un lieve recupero ma non sufficiente a riprendere i valori del 2019. Per la carne di vitello, destinata soprattutto all’Horeca, il valore medio è stato inferiore del 3,8% rispetto al 2019. Negli allevamenti i prezzi sono scesi, non solo delle carni ma anche dei capi vivi (all’origine, vitelli: -4,4%; vacche: -5,7%).

Il sentiment degli operatori non è del tutto negativo nonostante le condizioni critiche del mercato interno ed estero. I dati sui ristalli evidenziano un certo ottimismo degli allevatori per il mercato delle carni bovine dei prossimi mesi. Ma anche per questo segmento pesano i maggiori costi per l’acquisto di materie prime: farine di soia, colza e girasole, grano e mais registrati nell’ultimo periodo del 2020. Un fardello per una filiera dipendente dall’estero e scarsamente competitiva.

Suini

Il 2020 è stato un anno molto difficile per il settore in tutta Europa. Al Covid si è sommata la grave crisi causata dalla diffusione della Peste suina africana soprattutto in Germania, colpita dal blocco delle importazioni di carne suina da parte di Giappone, Corea del Sud e soprattutto Cina. La conseguenza è che la Germania non può essere sostituita da altri Paesi perché è impossibile congelare più carne suina di quanto già si sta facendo a livello europeo. Inoltre si è registrato un aumento della disponibilità di carne suina, con i prezzi all’origine dei capi vivi in calo. Il rischio adesso è di un eccesso di offerta. I prezzi hanno già mostrato una flessione nelle ultime settimane del 2020 e sempre nello stesso periodo si è dovuto far fronte all’aumento dei prezzi degli alimenti per animali per via delle maggiori quotazioni di materie prime

In Italia la pandemia ha aggravato i limiti del comparto. I suoi prodotti di punta, a cominciare dai prosciutti Dop, hanno visto un crollo delle vendite con lo stop alla ristorazione. Già a inizio 2020 erano emersi i primi cedimenti dei prezzi all’origine dei suini pesanti (tra aprile e giugno il calo è stato superiore al 25% su base tendenziale). Ma tra maggio e giugno la riduzione delle quotazioni è stata generalizzata riguardando, tra gli altri, suini vivi e tagli di carne fresca, prosciutti stagionati, lombo taglio Padova, coppa. A giugno si è toccato il minimo storico per i suini da macello pesanti per il circuito tutelato: circa 1 euro;/kg. L’estate ha lasciato intravedere una minima ripresa, ad esempio per le quotazioni dei suini da macello pesanti cresciute fino a ottobre. Nell’ultimo trimestre c’è stato però un nuovo calo ma per via dell’emergenza Psa.

Nel periodo gennaio-ottobre 2020 si è registrata una flessione del 9% dei capi macellati rispetto all’anno precedente. A inizio 2021, però, la domanda di suini da parte dell’industria di macellazione risulta a buoni livelli.

Anche il commercio estero ha risentito del quadro generale. L’export è diminuito del 6% in volume tra gennaio e ottobre 2020 mentre il valore è aumentato del 5,3%. Alla luce del calo dell’import (-6,5% in valore, -7% in volume), a ottobre si è registrato un affievolimento del deficit commerciale. La svalutazione dei prezzi della carne suina in Europa si è ripercossa sul valore delle importazioni italiane. Il calo degli acquisti esteri di carne suina è stata conseguenza anche della ridotta domanda di salumi da parte dell’Horeca. Si è fatto inoltre maggiore ricorso alla materia prima nazionale ma, dal momento che – sempre tra gennaio e ottobre – i capi macellati erano diminuiti del 9%, il tasso di autoapprovvigionamento è rimasto sostanzialmente stabile.

Le tendenze tipiche della produzione per l’estero hanno caratterizzato anche il 2020: sono cresciute in valore le esportazioni di ‘salsicce e salami stagionati’ (+15,7%), dei ‘prosciutti cotti’ (+1,7%) e soprattutto delle ‘pancette stagionate’ (+25,7%). Sono scese, invece, le esportazioni di ‘prosciutti disossati, speck, culatelli’, una categoria che costituisce circa il 40% dell’export totale di settore, destinata soprattutto alla ristorazione: -1,7% in valore e -13% in volume.

Ovini

Il segmento delle carni ha attraversato una fase molto difficile. Il primo lockdown è infatti coinciso con le festività di Pasqua. A marzo-aprile le macellazioni sono scese del 24%, generando un surplus di prodotto e un tracollo dei listini per gli agnelli (-16% rispetto alla Pasqua dell’anno precedente). Le misure di sostegno del governo e della Commissione Ue hanno contribuito a stabilizzare il mercato e risollevarne le sorti negli ultimi mesi dell’anno. Da gennaio a ottobre 2020 le importazioni di carni ovicaprine e di capi vivi sono diminuite e i consumi domestici hanno compensato le chiusure dei ristoranti. Si è registrato un valore positivo per la prima volta in cinque anni: +4% tra 2020 e 2019.

Diverso l’effetto per il Pecorino romano, il formaggio di punta del comparto. Si è rilevata una sostanziale stabilità di prezzo nel corso del 2020: in media 7,7 euro/kg. Questo nonostante il crollo dell’export e l’aumento dell’offerta. Con la chiusura del canale Horeca i caseifici hanno infatti concentrato la propria attività sui prodotti stagionati. Il prodotto ha beneficiato comunque dell’aumento di spesa domestica (+3,4% in volume nel 2020) e delle misure prese da governo e Regione Sardegna. Nonostante una buona remunerazione negli allevamenti (82 cent/litro per le consegne di latte ovino a dicembre) gli allevatori hanno manifestato preoccupazione per gli aumenti dei prezzi delle materie prime (tra cui soia e mais).

Foto: Pixabay