Mario Enrico Pè è il presidente della Società di Genetica Agraria. Nel 2017 la Siga ha promosso ‘Prima i geni: liberiamo il futuro dell’agricoltura’, un manifesto a sostegno della ricerca scientifica e del miglioramento genetico moderno in agricoltura, sottoscritto da altre società scientifiche.
Nei prossimi mesi la Commissione Ue dovrebbe fornire i risultati della consultazione sulle Nbt, le nuove tecnologie di editing genetico che in Italia la Siga ha proposto di chiamare Tea – Tecnologie di evoluzione assistita. La Società è favorevole a una revisione della normativa a livello europeo. Perché?
La Siga, al pari di oltre cento altre società scientifiche e istituzioni di ricerca italiane ed europee, organizzate nella network chiamata European Sustainable Agriculture through Genome Editing – Eusage, è impegnata affinché le Tea possano trovare una cornice legislativa che consenta il loro impiego in Europa. La comunità scientifica, ma anche la maggior parte delle organizzazioni di settore, sono convinte che la trasformazione verso un’agricoltura che sia produttiva, di qualità, sostenibile nella più ampia accezione del termine e in grado di rispondere velocemente alle sfide poste dai cambiamenti climatici già in atto non possa che poggiare su varietà adatte, che abbiano tutte le caratteristiche richieste sia per il consumo diretto dei prodotti, sia per la trasformazione. Il miglioramento genetico moderno, che deve sviluppare tali varietà, non può fare a meno di utilizzare tutte le tecnologie innovative disponibili, tra le quali spiccano le Tea.
Gli ultimi lavori nelle commissioni Agricoltura sugli schemi di decreto in materia fitosanitaria hanno mostrato una spaccatura del Parlamento sulle Tea. Quale posizione dovrebbe assumere l’Italia a livello europeo in materia di biotecnologie molecolari?
A nostro parere l’Italia dovrebbe essere uno dei Paesi più fortemente impegnati nel promuovere l’introduzione di queste tecnologie genetiche innovative in Europa. Il comparto agroalimentare italiano è un modello a livello mondiale e per questo molto copiato. Spesso però, a fronte di un orgoglio nazionale per l’incredibile ricchezza e qualità della nostra tradizione, ci si dimentica che la tradizione nasce dall’innovazione. La difesa della tradizione non può realizzarsi senza un continuo innesto di innovazione.
L’Unione europea sta definendo un nuovo corso della sua politica agricola con l’ambizione di incrementare i profili di sostenibilità del settore primario. Quale contributo potrebbe arrivare dalle Tea per il raggiungimento degli obiettivi che l’Ue si è posta?
L’approccio genetico del miglioramento, al quale le Tea possono dare un contributo fondamentale, consente il rinnovamento delle varietà coltivate che, come citato prima, posseggano quelle caratteristiche produttive e di qualità desiderate. Il miglioramento genetico adatta le colture all’ambiente e alle condizioni di coltivazione, quindi riduce potenzialmente la necessità di adattare l’ambiente alle colture. Sono quindi l’approccio vincente per raggiungere l’obiettivo di un’agricoltura europea più sostenibile, ma al contempo produttiva e rispettosa dell’ambiente. Questo vale anche per le esigenze proprie dell’agricoltura biologica. Francamente non riesco a capire questa chiusura da parte dei sostenitori dell’agricoltura biologica, a qualsiasi innovazione basata su conoscenze e metodologie derivate dalla biologia e genetica molecolare.
Diverse organizzazioni del mondo agricolo italiane non sono contrarie all’impiego delle Tea per le piante coltivate. Considerando lo specifico del settore agroalimentare in Italia, in quali comparti queste tecniche di miglioramento genetico potrebbero risultare più utili?
Le Tea, che potenzialmente consentono di modificare in modo mirato, preciso, veloce e relativamente a costi contenuti, le sequenze di Dna che controllano le caratteristiche di crescita, di risposta a condizioni di stress, di utilizzo delle risorse e di qualità dei prodotti, possono incidere positivamente su tutti i comparti dell’agroalimentare italiano. Allo stato delle conoscenze, il primo grande impatto potrebbe essere sul controllo delle malattie, attrezzando le piante a difendersi dai patogeni, sia tradizionali, sia quelli nuovi portati dai cambiamenti climatici, e contestualmente ridurre in modo drastico l’uso di fitofarmaci. È utile ricordare che il made in Italy è caratterizzato dall’impiego di varietà tradizionali con particolari caratteristiche molto desiderate, direi imprescindibili. Esse, tuttavia, spesso presentano gravi difetti che le rendono non competitive o poco eco-compatibili. Le Tea potrebbero correggerne i difetti, senza alterare le altre caratteristiche. Pensate ad esempio alla sviluppo di un Sangiovese o una Corvina resistenti all’oidio o alla peronospora, semplicemente inattivando o modificando poche sequenze di Dna. Le Tea, basate su approcci molecolari, sono la miglior risposta alla tutela della agro-diversità
Quali sarebbero invece i rischi per l’economia agroalimentare italiana se la ricerca nel campo dell’ingegneria genetica venisse bloccata, quindi perpetuando lo stato attuale?
Se posso essere brutale, ritengo che l’Italia e la Ue siano già in grave ritardo nei confronti di Paesi concorrenti che stanno investendo sulle Tea in modo convinto e massiccio già da qualche anno. L’Italia e l’Europa devono decidere se l’agricoltura continuerà ad essere un settore strategico oppure no. Nel primo caso deve attrezzarsi per utilizzare l’innovazione, anche e soprattutto quella genetica, sostenendo la ricerca, dotandosi di una legislazione al passo coi tempi e con le conoscenze scientifiche, per cercare di recuperare il gap già presente; nel secondo caso vorrà dire che l’Europa avrà un ruolo marginale, da consumatore e non da produttore.