Davide Calderone è direttore di Assica, l’Associazione industriali delle Carni e dei salumi, in rappresentanza delle imprese produttrici di salumi e di macellazione suina. Al centro dell’intervista con Mangimi & Alimenti una riflessione sul presente e il futuro della filiera suinicola.
Quali sono state le principali criticità che ha dovuto affrontare l’industria delle carni suine e dei salumi dall’inizio dell’emergenza sanitaria per la diffusione del nuovo coronavirus?
L’industria della trasformazione alimentare non si è mai fermata garantendo così la continuità produttiva e gli approvvigionamenti delle famiglie italiane con cibi sani, buoni e nutrienti. Le aziende si sono prontamente adeguate ai protocolli di sicurezza messi a punto inizialmente dalle associazioni di categoria e poi dal Governo e dalle parti sociali. Per le nostre aziende di lavorazione e trasformazione delle carni suine si è trattato di piccoli adeguamenti con riferimento a quelle disposizioni che andavano a integrare una normativa per l’igiene e la sicurezza già in essere negli stabilimenti, come l’obbligo di indossare la mascherina o di rispettare il distanziamento fisico laddove fosse stato necessario assicurarlo. Ci sono state, come in altri settori, delle ricadute dagli intoppi nella logistica e nei trasporti ma soprattutto si è dovuto far fronte allo shock derivante dal repentino mutamento del mercato. In primo luogo la chiusura del canale Horeca, che rappresenta il 20% del fatturato del comparto. Lo stop ai servizi di ristorazione ha avuto ripercussioni sul fronte dei pagamenti: in alcuni casi, infatti, i clienti, con incassi ridotti, non sono riusciti a onorare i pagamenti di merce già consegnata. Successivamente, inoltre, con qualche settimana di ritardo rispetto all’Italia, la chiusura dell’Horeca nei Paesi esteri ha ridimensionato le esportazioni del nostro settore.
La suinicoltura è stata destinataria, come altre filiere agroalimentari, di misure di sostegno da parte del Governo. Come giudica gli interventi messi in atto finora?
Il giudizio è tendenzialmente positivo. In una prima fase sono state adottate delle misure che andavano nella giusta direzione, come quelle relative all’accesso al credito per compensare la crisi di liquidità. Altre forme di intervento si sono rivelate utili, come la definizione dei bandi indigenti per i prosciutti Dop e, in un secondo momento, per i salumi, che hanno permesso di non sprecare tanto cibo rimasto nei magazzini delle aziende per lo stop di taluni acquisti come sopra spiegato. Abbiamo accolto con favore anche le misure di sostegno al reddito per gli allevatori, colpiti dal calo delle quotazioni dei suini, in parte già rientrato, e quelle per l’ammasso privato dei prosciutti stagionati. Ci saremmo aspettati ulteriori interventi a sostegno della filiera, dei macelli e dei salumifici che sono stati destinatari di una quota inferiore di aiuti. Ma il lavoro del Governo è costantemente in corso; siamo fiduciosi negli sviluppi dei prossimi mesi.
Il settore della suinicoltura è attraversato da una crisi che ha radici più profonde. Quali sono gli aspetti strutturali che destano più preoccupazione al di là degli effetti correlati alla pandemia?
La maggiore criticità è quella legata all’approvvigionamento della materia prima. La suinicoltura italiana sconta la necessità di importare suini riuscendo a coprire con la produzione domestica solo il 60% del fabbisogno. Inoltre il nostro è un settore suinicolo molto peculiare, principalmente incentrato sul suino pesante destinato alla produzione di prosciutti e di salumi tra i quali molti a indicazione geografica certificata. Questa tipicità produttiva ci rende tuttavia dipendenti dall’estero per la ricerca di carni con qualità diverse e più costanti per alcune tipologie di prodotti. Tutto ciò contribuisce a esporre il nostro settore industriale alle fluttuazioni di mercato della carne di suino a livello internazionale e stiamo vivendo anni in cui sembra dominare una particolare volatilità sui prezzi delle materie prime, nonché una sostanziale scarsa disponibilità. Incrementare l’autosufficienza, diversificare le qualità delle produzioni animali e, al contempo, rispettare i nuovi vincoli di sostenibilità europei saranno sfide impegnative che devono essere affrontate con progetti concreti e non con proclami nazionalistici. Serve una programmazione di filiera.
Cosa serve invece per superare questa fase e rilanciare l’industria della carne suina e dei salumi?
Proprio per le sue caratteristiche tipiche, il settore suinicolo è interessato ciclicamente dalla creazione di eccessi di produzione, tendenzialmente di prosciutti Dop, con ricadute su tutta la filiera. Anche l’ultima crisi, legata alla chiusura del canale Horeca per le disposizioni anti-CoVid, ha generato una situazione simile, con un surplus di offerta e le aziende impossibilitate a procedere a ulteriori acquisti. Alla luce di questa ennesima difficoltà, gli operatori del settore potrebbero finalmente cercare di affrontare e risolvere la questione sedendosi attorno a un tavolo. È necessario definire una forma di programmazione produttiva che tenga conto di tutti gli anelli della filiera, che possa soddisfare il fabbisogno di ognuno, ma soprattutto che possa scongiurare la formazione di prodotto in eccesso. Bisogna tendere, in definitiva, a un equilibrio economico. Inoltre è importante che la filiera lavori per promuovere il prodotto italiano ottenuto da carne suina nazionale od estera. Comprendiamo le esigenze del mondo agricolo di valorizzazione della materia prima domestica, ma non dobbiamo dimenticarci delle capacità e dell’alto valore della nostra industria di trasformazione. Pertanto, in un’ottica di promozione del Made in Italy, non dovremmo fare distinzioni tra un prodotto di serie A e uno di serie B. E non dovremmo farlo né sul mercato interno né su quello estero, dove invece è necessario potenziare la nostra presenza lavorando insieme a tutti gli enti preposti, a cominciare dall’Ice. Infine, sempre allo scopo di valorizzare la filiera, sarebbe utile far fronte con maggiore determinazione agli attacchi mediatici che puntano il dito contro il nostro settore, con riferimento all’impatto ambientale, all’uso di farmaci e al benessere animale. Tutta la filiera deve impegnarsi e, anche se spesso questi attacchi mediatici sono strumentali ed eccessivi, bisogna fare qualche passo avanti soprattutto in termini di diffusione delle pratiche di eccellenza in tema di benessere animale.
Qual è il ruolo della filiera zootecnica e in che modo un rinnovato patto di filiera per il made in Italy può essere una via da perseguire per il futuro del settore?
Una forma di intesa tra tutti gli attori della filiera, da monte a valle, dall’industria mangimistica a quella della trasformazione, fino anche ai protagonisti della Distribuzione, può essere una via possibile per far ripartire il settore suinicolo. Siamo consapevoli che gli anelli di questa catena sono un po’ slegati tra di loro, ma ciascuno deve dare il suo apporto, mettendo un po’ in secondo piano gli interessi particolari per valorizzare davvero il prodotto finale della suinicoltura. Vito Miraglia