Home Attualità Canali (Confagricoltura): “Integrare la filiera suinicola significa poter programmare la produzione”

Canali (Confagricoltura): “Integrare la filiera suinicola significa poter programmare la produzione”

888
0

Claudio Canali è presidente della Federazione suinicola nazionale di Confagricoltura, l’organo che definisce gli indirizzi generali, coordina e assiste l’attività del settore suinicolo in seno all’organizzazione di categoria.

Da fine febbraio a oggi sono stati mesi difficili per gli allevatori di suini. Quali problemi hanno dovuto affrontare in particolare?

Nelle prime settimane gli allevatori, come gli altri operatori del settore, hanno dovuto fare i conti con gli effetti del lockdown. E quindi, nel caso specifico, con i cali delle macellazioni (calcolato nell’ordine del 15-20%), le difficoltà a reperire manodopera, la gestione di un maggior numero di capi nelle stalle, i maggiori costi per la nutrizione degli allevamenti, i danni derivanti dalla fuoriuscita degli animali dal circuito delle Dop e il repentino calo delle quotazioni dell’animale vivo che ha raggiunto quota 1 €. Successivamente, con i primi segnali di ripresa e complice proprio il prezzo basso, sono ricominciate le macellazioni e le quotazioni sono leggermente cresciute. Oggi l’offerta è in linea con la domanda, i prezzi continuano però a essere più bassi dei costi di produzione e il livello dei consumi non sembra essersi risollevato completamente.

La suinicoltura è stata destinataria di interventi ad hoc del ministero delle Politiche agricole, come i 30 milioni di di sovvenzioni per le macellazioni o i 5 milioni del Fondo nazionale per la suinicoltura. Sono risorse sufficienti?

L’intervento del Governo è stato articolato. Oltre ai 5 milioni del Fondo per la suinicoltura – istituito nel 2019 e che ha stanziato, con il Decreto emergenze, delle risorse non rivolte direttamente agli allevatori – sono state adottate diverse misure: le compensazioni a fondo perduto per far fronte a minori fatturati; gli sgravi e i contributi per i primi sei mesi del 2020 a beneficio delle aziende suinicole; i 23 milioni di sovvenzioni per i suini grassi macellati in aprile e maggio e i 7 milioni per ristornare le scrofaie oltre ai due bandi per l’acquisto di prodotti da destinare agli indigenti (il primo, già partito, con una dotazione di 14 milioni e il secondo in via di definizione, con uno stanziamento almeno doppio). In definitiva, uno sforzo non irrilevante quello dell’amministrazione, che sosterrà il settore ma che, tuttavia, non coprirà del tutto i danni subiti. L’intervento ha inoltre scontato il fatto di essere stato definito in una fase emergenziale e quindi non ha tenuto conto delle diverse peculiarità del comparto che avrebbero meritato misure più specifiche. Confagricoltura aveva avanzato le sue proposte, in parte accolte e in parte disattese. Ad esempio non è stata concessa la possibilità di erogare i contributi a tutti gli animali e non solo a quelli nati, allevati e macellati in Italia. In questo modo è stato escluso chi alleva animali importati pur dando lavoro e creando reddito in Italia.

A maggio ha parlato apertamente della necessità di un patto di filiera per la suinicoltura. Perché è importante che tutti gli attori della catena di valore si stringano intorno a un’intesa del genere?

La creazione di una filiera più solida nel settore suinicolo può essere una valida soluzione per prevenire quelle crisi che sistematicamente lo insidiano. Tutti gli attori, dagli allevatori ai macellatori ai trasformatori, hanno attraversato, in momenti diversi, periodi molto difficili. Per questo motivo tutti devono prendere atto di questa necessità, oltre che delle particolarità della suinicoltura nazionale. Produciamo internamente solo il 65% del fabbisogno nazionale, e quindi abbiamo necessità di importare materia prima per continuare a poter produrre le tante eccellenze del Made in Italy.  Inoltre i suini allevati per la Dop non sono economicamente competitivi quando si raffrontano con il mercato del fresco, ma assumono valore solo quando entrano nel circuito delle Dop, un mondo che però non riteniamo più al passo con i tempi, e da qui le continue crisi soprattutto per quanto riguarda le Dop del Prosciutto. Tutti gli anelli della catena sono legati a doppio filo, per questo dobbiamo ragionare in termini di sopravvivenza dell’intera filiera e mettere da parte gli interessi dei vari componenti. Sul fronte delle Dop, come detto, stiamo arrancando a vantaggio di altri Paesi come la Spagna, che cresce a doppia cifra mentre le nostre vendite sono in contrazione. La proposta di Confagricoltura in merito alla revisione del disciplinare di produzione prevedeva un criterio di selezione delle cosce per caratteristiche delle stesse, fermo restando i capisaldi della Dop (genetica, età e alimentazione), questo per avere un prodotto di qualità all’interno di una segmentazione produttiva che coprisse più fasce di consumo. In questa fase critica avevamo anche chiesto ai Consorzi del Prosciutto una deroga sul peso di consegna che, causa miopia, non ci è stata concessa e quindi una certa quantità di cosce è stata esclusa dal circuito delle Dop. Naturalmente è stata ricollocata per la produzione di altri prodotti, non Dop ma comunque di pregio, che andranno a maturazione a fare concorrenza ai Prosciutti di Parma e San Daniele a prezzi inferiori. Con una maggiore integrazione della filiera questo scenario si sarebbe potuto evitare. Ma per fare questo bisogna sedersi a un tavolo e definire la programmazione e la segmentazione produttiva anche nella prima fase, che non significa contrattualizzare il prezzo, come alcuni temono. È piuttosto lo strumento che ci permetterebbe di non essere più alla mercé di quanto succede negli altri Paesi e di valorizzare al meglio tutto il nostro Made in Italy. Un impulso importante per la definizione della filiera dovrebbe arrivare anche dalla politica.

Quali altri strategie sarebbero da mettere in atto per garantire un futuro di crescita alla suinicoltura italiana?

La prima in ordine di importanza è sicuramente il potenziamento dell’export, e anche su questo fronte la maggiore integrazione della filiera può rivelarsi decisiva. Sarebbe auspicabile che l’Italia si presentasse con una voce sola all’estero invece di procedere in ordine sparso. Una sorta di consorzio di secondo grado che possa sondare i mercati esteri, capire le richieste dei consumatori di altri Paesi per assecondarle meglio. Ci vuole maggiore univocità per avere un maggiore potenziale di crescita e di guadagno per tutti, almeno per quanto riguarda i mercati emergenti o quelli sui quali l’Italia si è affacciata solo di recente. Vito Miraglia