Continua in Italia la riduzione delle vendite di antimicrobici nel settore zootecnico. Nel 2018 queste sono scese del 17,2% rispetto al 2016 ma, se si va ancora più indietro negli anni, il calo è ancora più marcato: rispetto al 2010, infatti, le vendite sono nettamente in calo del 42%. I dati sono contenuti nell’ultima relazione della Direzione generale della sanità animale e dei farmaci veterinari del ministero della Salute. L’analisi si riferisce al biennio 2017-2018 ed è stata pubblicata contestualmente al decimo rapporto annuale sulla sorveglianza delle vendite di medicinali veterinari contenenti antimicrobici dell’Ema, l’Agenzia europea dei medicinali.
Conseguenza di un uso responsabile di antibiotici
Il documento del ministero della Salute comprende i dati di vendita dei farmaci antimicrobici da utilizzare negli animali che producono alimenti e in quelli da compagnia. Le vendite totali sono state di 1.067,7 per il 2017 e 942,4 tonnellate di principio attivo per il 2018 mentre nel 2016 erano state 1213,2. Con riferimento alla sola zootecnia, nel 2017 le vendite complessive sono state di 273,76 mg/Pcu mentre nel 2018 hanno raggiunto 244,05 mg/Pcu. Un trend discendente se i numeri sono rapportati al livello del 2016, 294,77 mg/Pcu, ma soprattutto al 2010, quando le vendite erano state pari a 422,11 mg/Pcu.
Nel 2018 le principali classi di antimicrobici venduti continuano a essere le tetracicline (29,8%), le penicilline (28,1%) e i sulfamidici (13.1%), classi che insieme fanno il 71% del totale. In ogni caso sia le vendite in tonnellate che in mg/Pcu risultano in calo per tutte le classi considerate, in conseguenza di un utilizzo sempre più accorto di questi medicinali in ambito zootecnico.
Un’attenzione particolare è riservata agli antibiotici di importanza critica che rientrano nella categoria B ‘Restrict’ che l’Oms classifica fra gli Highest Priority Clinically Important Antimicrobials (Cia, classi di antibiotici essenziali per trattare malattie dell’uomo causate da batteri resistenti a molti altri farmaci). Le loro vendite totali sono ormai una piccola parte del totale, il 3%. Di questi i cali più significativi riguardano le polimixine (-66% nel 2017 e -48,3% nel 2018, addirittura -82% sul 2010), gli altri chinoloni (-79% rispetto al 2011), i fluorochinoloni (-21,3%) e le cefalosporine di terza e quarta generazione (-3,1% rispetto al 2016).
La tendenza alla riduzione dell’impiego di antimicrobici include anche il calo degli acquisti di antimicrobici autorizzati per il trattamento di gruppo somministrati in soluzioni come l’acqua di abbeverata o il siero di latte, attraverso mangimi medicati o top dressing, ovvero le polveri orali.
Verso gli obiettivi di riduzione del 2020
La resistenza agli antimicrobici, e quindi agli antibiotici, è una delle maggiori sfide che la comunità internazionale ha davanti a sé in relazione alla tutela della salute pubblica. Anche il settore veterinario, secondo un approccio One Health, è chiamato a rispondere a questa sfida e a contribuire al raggiungimento di un obiettivo comune: la riduzione delle infezioni causate da microrganismi resistenti agli antibiotici mediante il contrasto a questo fenomeno.
Gli impegni governativi comprendono il perseguimento di alcuni target di riduzione per il 2020: almeno il 30% in meno del consumo di antibiotici totali; almeno il 30% di quelli somministrati per via orale; almeno il 10% in meno del consumo di antimicrobici di importanza clinica. Rispetto agli ultimi dati disponibili il percorso verso questi obiettivi ha fatto segnare, rispettivamente, -17,2% del consumo di antibiotici totali negli animali d’allevamento; -18% di quelli somministrati per via orale; -69,8% per i Cia.
Un altro target riguarda il consumo di colistina fissato a 5 mg/Pcu. Si è già a quota 2,67 mg/Pcu, fa sapere il ministero della Salute. Proprio sulla colistina il ministero ha emanato una raccomandazione specifica sull’uso responsabile negli animali produttori di alimenti: questo antibiotico polimixinico dev’essere utilizzato come ultima risorsa. Inoltre il ministero ha revocato l’autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali veterinari che la contengono insieme ad altri agenti antimicrobici.
Il documento sottolinea infine che l’Italia è fra i pochi Paesi che monitorano la vendita di farmaci con ossido di zinco diminuita del 47% tra 2016 e 2018. Nel 2017 la Commissione Ue ha stabilito la revoca dell’autorizzazione all’immissione in commercio di farmaci che lo contengono dopo un periodo di transizione per permettere un adeguamento a questa novità. In ogni caso il calo delle vendite delle polimixine e dei medicinali contenenti ossido di zinco, da somministrare per via orale a specie produttori di alimenti, non ha comportato un aumento di altre classi di agenti antimicrobici.
Nella valutazione delle tendenze dei prossimi anni sarà visibile inoltre l’effetto dell’introduzione nell’aprile 2019 della ricetta elettronica veterinaria obbligatoria. Sarà così possibile valutare con migliore accuratezza sia la vendita che l’effettivo consumo dei medicinali.
Diminuiscono gli antibiotici più critici
Il calo delle vendite riscontrato in Italia si affianca a quello rilevato dall’Ema. Con riferimento a trenta Paesi dell’Area economica europea più la Svizzera, l’agenzia europea ha chiaramente mostrato che i Paesi europei continuano a ridurre l’uso di antibiotici negli animali. In generale la vendita è diminuita di oltre il 34% tra 2011 e 2018. Ed è in flessione, in particolare, il dato relativo agli agenti che appartengono ai Cia: -24% di cefalosporine di terza e quarta generazione, -70% polimixine, -4% di fluorochinoloni, -74% di altri chinoloni.
Foto: Pixabay