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Peste suina, Oie: “Nessun Paese è al sicuro”. Serve maggiore sforzo per combatterla

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La comunità internazionale chiede l’impegno di tutti gli Stati contro la Peste suina africana. La malattia è diffusa in Asia, Africa ed Europa ma “oggi nessun Paese è al sicuro”, ricorda Monique Eloit, direttrice generale dell’Oie. L’Organizzazione mondiale della Sanità animale insieme alla Fao ha condotto dei webinar nell’ultima settimana di ottobre per fare il punto sulla diffusione e il contrasto a questa malattia infettiva. Le due agenzie hanno lanciato un invito all’azione per unire le forze e partecipare all’Iniziativa per il Controllo globale della patologia, uno strumento di supporto per contenere l’impatto della patologia e infine eradicarla

Oltre otto milioni i capi persi

La Peste suina africana è una grave minaccia a uno dei settori più importanti della zootecnia mondiale. È una malattia contagiosa che può causare anche fino al 100% dei decessi dei capi colpiti, sia suini da allevamento e da cortile che cinghiali. Sono oltre cinquanta i Paesi colpiti tra Europa, Africa e Asia. L’epidemia ha già causato la perdita di oltre 6,7 milioni di maiali solo in Asia, tra animali uccisi dal virus e abbattuti. Qui si trova uno dei Paesi che più degli altri ha pagato il prezzo di questa crisi sanitaria, ovvero la Cina. In Europa il bilancio è di quasi 1,4 milioni di capi persi mentre in Africa il numero è molto più contenuto, intorno ad appena 85.500 (i dati coprono il periodo 2016-2020). 

L’Oie sottolinea però che il numero dei Paesi colpiti è in crescita. Anche l’Italia è interessata dalla diffusione di una malattia che Eloit ha indicato come “la più grave epidemia infettiva animale della nostra generazione”. Gli strumenti per arrestare la sua diffusione ci sono e sono diversi, e la loro utilità può essere ottimizzata con uno sforzo congiunto grazie all’iniziativa sotto l’egida della Global Framework for the Progressive Control of Transboundary Animal Diseases. E tra queste – secondo la direttrice generale dell’Oie – ci sono le misure di biosicurezza, la sorveglianza, gli investimenti nei servizi veterinari.

Ai partecipanti agli eventi online ha inviato un messaggio anche il direttore generale della Fao Qu Dongyu che ha ricordato l’importanza della ricerca e delle best practices e lanciato un appello a tutti i portatori di interesse ad agire per fermare la malattia, promuovere salute e benessere animale e salvaguardare il reddito degli allevatori. Sebbene non sia contagiosa per l’uomo, la Peste suina può pregiudicare la sicurezza alimentare, qualcosa che il settore agroalimentare sta garantendo tra molte difficoltà alla luce della pandemia di coronavirus. 

La chiave è la biosicurezza

Sono diversi gli attori che l’Oie e la Fao chiamano in causa per sostenere lo sforzo di contrastare la Peste suina africana. Anche la stessa filiera suinicola, per salvaguardare il benessere e la salute degli animali, stabilizzare la produzione ed evitare la volatilità dei prezzi di carne e mangimi, su scala regionale o internazionale, così da contribuire alla sicurezza alimentare e assicurare l’accesso al cibo.

I punti centrali dell’azione di contrasto sono prevenzione e rilevamento precoce dei contagi. In ogni Paese è fondamentale condurre analisi del rischio, avere a disposizione un piano di gestione del rischio e di emergenza, ma anche delle politiche di compensazione per supportare il settore. Il livello di consapevolezza di allevatori, veterinari, gestori di macelli, cacciatori, fornitori di input e altri portatori di interesse dev’essere sempre alto. Fondamentali sono le misure di biosicurezza, la chiave per evitare l’ulteriore diffusione della malattia, ad esempio è cruciale separare le aree non contaminate dai capi e prodotti infetti o smaltire correttamente le carcasse. Allo scopo è cruciale anche il controllo dei confini, contro i rischi derivanti dal commercio illecito di bestiame e prodotti derivati. 

Oltre a questo i Paesi dovrebbero poi sostenere la ricerca per cercare di arrivare a un vaccino, migliorare la diagnostica e l’attività di screening. Serve poi un approccio olistico anche per controllare la fauna selvatica: in Europa e in alcune regioni dell’Asia la trasmissione della patologia sembra dipendere in larga misura dalla consistente popolazione di cinghiali e dalla loro interazione con gli allevamenti suini più sguarniti, con minori misure di biosicurezza.

Foto: Pixabay