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Zootecnia, tra gestione degli allevamenti e miglioramento genetico la via della sostenibilità verso ‘emissioni zero’

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Le tematiche ambientali hanno assunto, negli ultimi decenni, un peso sempre più rilevante nel
dibattito pubblico e nell’agenda politica europea. La conseguenza è stata la recente definizione da
parte dell’Unione europea di strategie per contrastare i cambiamenti climatici. Ridurre l’impatto
ambientale dei sistemi produttivi è diventata una delle priorità di Bruxelles. È del 2019 la
comunicazione della Commissione Ue sul Green Deal, un insieme di interventi per raggiungere la
neutralità climatica nel 2050. Anche il settore agro-alimentare-zootecnico è destinatario di
interventi specifici per contribuire alla riduzione dell’impronta ambientale. La strategia Farm to
Fork
è stata pensata proprio per rendere meglio compatibili produzione e consumo da un lato e
difesa dell’ambiente dall’altro. Anche l’impianto della nuova Pac ha riservato alla sostenibilità
ambientale uno spazio maggiore che in passato. Per la zootecnia si tratta di rendere sempre più
incisive ed efficaci quelle azioni di mitigazione già avviate. In dieci anni – è l’ipotesi
dell’Accademia dei Georgofili – la zootecnia italiana potrebbe raggiungere il traguardo delle
‘emissioni zero’ grazie a una gestione degli allevamenti ancora più avanzata rispetto a oggi.

I progressi sulla riduzione delle emissioni
Il contenimento dell’impronta ambientale della zootecnia negli ultimi decenni è frutto “di una serie
di fattori relativi all’evoluzione del quadro normativo comunitario e nazionale, al progresso delle
conoscenze scientifiche, al trasferimento tecnologico a livello aziendale”, dice Bruno Ronchi,
professore di Nutrizione e alimentazione animale all’Università della Tuscia e coordinatore del
Comitato Consultivo “Allevamenti e prodotti animali” dell’Accademia dei Georgofili. Dal 1990 al
2018 le emissioni derivanti dalle attività del settore zootecnico si sono ridotte del 12% mentre dal
1970 c’è stato un calo del 40% delle emissioni di metano secondo i dati dell’Ispra citati
dall’Accademia nell’audizione in Commissione Agricoltura al Senato lo scorso 2 febbraio.

Nel 2018 la zootecnia ha contribuito per il 5,2% alle emissioni totali nazionali tra cui CO2 e
metano, due gas diversi tra loro: “Il metano è 28 volte più impattante della CO2, ma circa 200 volte
meno concentrato nell’atmosfera. Inoltre la vita media del metano nell’atmosfera è 12 anni, quella
della CO2 di secoli. A ‘fine vita’ il metano diventa CO2 (28 volte meno impattante). Mentre la CO2
derivata dal metano fossile diventa CO2 non rinnovabile che si aggiunge a quella che c’è
nell’atmosfera, quella derivata dal metano eruttato dai ruminanti è da fonte rinnovabile (in
equilibrio con quella catturata dalle piante) e quindi a impatto zero”, spiega Giovanni Bittante,
professore di Zootecnia generale e miglioramento genetico dell’Università di Padova.

“Se la produzione di metano enterico fosse costante anche il consumo di metano sarebbe costante e
l’effetto sulle variazioni climatiche sarebbe nullo. Il problema del metano enterico è quindi di
medio periodo ed è reversibile. Al contrario, quello dei combustibili fossili è un problema di lungo
periodo, sostanzialmente irreversibile. Se mantenessimo costante il consumo di combustibili fossili
avremmo una continua produzione di CO2 non rinnovabile che si somma a quella presente in
atmosfera aumentando continuamente il riscaldamento globale perché la vita media della CO2 è
lunghissima e quindi il suo consumo irrisorio. Solo se riuscissimo ad azzerare i consumi di
combustibili fossili, il che è praticamente impossibile, riusciremmo a fermare l’aumento del
riscaldamento globale, ma non a ridurlo”, evidenzia Bittante.

Dal comparto zootecnico, tuttavia, deriva la quota maggiore di emissioni agricole, il 65%. Per
l’Agenzia europea dell’Ambiente il 47% delle emissioni totali del settore primario si correla alla fermentazione enterica degli allevamenti, il 27,5% ai fertilizzanti, quasi il 19% alla gestione del
letame. Se la prima voce è aumentata di quasi il 4% rispetto al 2013, per le altre il verso è opposto:
le emissioni dalla gestione del letame e del suolo sono scese rispettivamente del 7,7% e del 2,5%.
“Negli ultimi decenni abbiamo ridotto la produzione di metano enterico grazie all’intensificazione
sostenibile dando un contributo alla riduzione del riscaldamento globale. L’impatto della zootecnia
all’aumento della CO2 da combustibili fossili è quello di qualsiasi altra attività produttiva. Le
riduzioni di CO2 da fonti non rinnovabili ottenute dalle aziende agro-zootecniche sono dovute al
miglioramento dell’efficienza dovuta all’intensificazione sostenibile e alla produzione e consumo di
energia da fonti rinnovabili come le biomasse legnose per il riscaldamento e il biogas, da deiezioni
e insilati, per il riscaldamento o la produzione di elettricità”, precisa Bittante.

Il ruolo dell’alimentazione animale
La zootecnia ha dunque in parte migliorato il suo profilo di sostenibilità. Con riferimento
all’allevamento intensivo di bovini da latte e suini alcuni dei principali fattori “sono da ricercare nel
miglioramento dell’efficienza riproduttiva e produttiva; nella riduzione della mortalità neonatale e
dell’incidenza di malattie trasmissibili; nella lotta a patologie della produzione; nell’utilizzazione di
tipi genetici ad elevata capacità produttiva; nell’adozione di strutture, attrezzature e impianti di
allevamento razionali; nella corretta gestione dei reflui di allevamento; nella crescita della capacità
imprenditoriale degli allevatori; nel continuo avanzare dei progressi della ricerca internazionale e
nazionale; nella diffusa capacità di assistenza tecnica”, ricorda Ronchi.

In questo quadro la mangimistica ha un ruolo fondamentale: “Fra le numerose tecnologie introdotte
negli allevamenti capaci di migliorare l’efficienza produttiva e la sostenibilità, quelle che hanno più
inciso nel settore dell’alimentazione sono le nuove procedure analitiche degli alimenti, l’informatica
per l’ottimizzazione delle diete e le tecnologie utilizzate per migliorare la precisione di lavoro”,
ricorda Andrea Formigoni, professore di Nutrizione e alimentazione animale all’Università di
Bologna
. “Le migliorate conoscenze dei fabbisogni nutrizionali degli animali, la disponibilità di
metodiche analitiche sempre più avanzate ed economicamente competitive, unitamente alla
disponibilità di additivi naturali e nutrienti di sintesi, ha consentito negli ultimi decenni evoluzioni
straordinarie nel campo della nutrizione animale. Si può ragionevolmente ipotizzare che questo
trend si accentui alla luce delle nuove sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali”, aggiunge
Formigoni.

La scienza ha dato un apporto decisivo su più fronti, incluso quello del miglioramento genetico.
Questo “ha avuto, e più ancora avrà nel prossimo futuro, un ruolo determinante, soprattutto quando
è incentrato sul miglioramento dell’efficienza globale del sistema zootecnico (da non confondere
con aumento della produzione per capo)”, evidenzia Bittante. “L’adattabilità all’ambiente, la
resistenza e la resilienza agli stress e alle patologie (pandemie incluse), la riduzione della
suscettibilità ai deficit nutrizionali e ai dismetabolismi, il miglioramento di fertilità e longevità
(riduzione della quota di rimonta, che consuma, impatta e non produce), il miglioramento della
qualità e delle proprietà tecnologiche dei prodotti sono i cardini della riduzione per via genetica non
tanto e non solo dei gas-serra ma di tutte le cause di impatto ambientale dell’allevamento
zootecnico e dell’aumento delle loro esternalità positive”.

Su cosa investire per il futuro?
Al settore agro-zootecnico continua ad arrivare la richiesta di rendere gli allevamenti ancora più
sostenibili. Aspettative in questo senso sono condivise dai consumatori e anche dai decisori politici
europei. La nuova Pac, ed esempio, si è data una più solida architettura verde. La zootecnia italiana
farà la sua parte. L’Accademia dei Georgofili ha prefigurato il traguardo delle ‘emissioni zero’ entro dieci anni, ma serve uno sforzo ulteriore. Per Ronchi “l’ambizioso obiettivo potrà essere
raggiunto solo se, unitamente al supporto della ricerca e dell’assistenza tecnica, gli allevatori
potranno essere sostenuti da tempestive ed appropriate misure per lo sviluppo rurale”. Molto si
punta sul precision farming che potrà essere favorito “dalla sempre più ampia disponibilità di
soluzioni tecnologiche utili per la raccolta di dati relativi sia all’ambiente biologico-animale, sia
all’ambiente di allevamento e di coltivazione, che consentono, se opportunamente analizzati, rapide
ed appropriate azioni di intervento”.

Sul fronte dell’alimentazione l’obiettivo resta fornire prodotti adeguati alle necessità di allevamenti
che vogliono essere più sostenibili. “La via più efficace per ridurre l’impatto ambientale è quella di
formulare razioni che soddisfino appieno i fabbisogni degli animali evitando però gli eccessi che
penalizzano l’efficienza”, ricorda Formigoni. “Per ridurre l’escrezione in ambiente di polluenti è
importante migliorare l’efficienza di conversione dei nutrienti e la digeribilità degli alimenti. Il
primo obiettivo, in generale, si ottiene attraverso la selezione genetica e il miglioramento delle
condizioni di benessere e management di allevamento. Per ciò che attiene alla digeribilità, a livello
di aziende agricole si dovrà agire in particolare per migliorare la qualità dei foraggi e, in particolare,
delle componenti fibrose. L’industria mangimistica svolgerà ruoli di primaria importanza per
l’efficienza del sistema
. Fra questi ricordiamo l’adozione di appropriati trattamenti tecnologici degli
alimenti capaci di migliorare la conservabilità e la digeribilità riducendo gli sprechi; il razionale
utilizzo dei coprodotti provenienti da filiere non competitive con le necessità alimentari dell’uomo;
il recupero di alimenti non più utilizzabili per l’alimentazione umana ma ancora utili per quella
animale; l’attento e preciso impiego di additivi e nutrienti di sintesi capaci di esaltare la salute e
l’efficienza produttiva in allevamento; l’assistenza tecnica agli allevatori”, prosegue l’esperto.

La ricerca, intanto, prosegue. “Sui ruminanti, a titolo di esempio, molto promettenti appaiono
recenti studi che dimostrano la validità di supplementi alimentari per ridurre l’emissione di metano,
così come la possibilità di intervenire per via genetica, o attraverso una manipolazione vaccinale del
microbismo ruminale”, aggiunge Ronchi.

La voce della politica
Il ministero delle Politiche agricole sta affrontando la questione ambientale con la Strategia
nazionale per la nuova Pac. In che modo la politica nazionale potrà incentivare la transizione a una
zootecnia più sostenibile? “La domanda alla quale bisogna rispondere è ‘cosa si intende per
sostenibilità?’.
Un trattore fermo non inquina ma non produce né reddito né cibo. Dobbiamo far sì
che le imprese agricole, comprese quelle zootecniche, facciano ‘la scelta giusta’. È necessario
partire, pertanto, dalla misurazione della sostenibilità, oggi possibile: da un lato calcolando
l’impronta ecologica della propria impresa (che solo in agricoltura, tra tutte le attività umane, può
essere ‘zero’ o persino ‘positiva’), dall’altro il rating degli investimenti che, attraverso
l’innovazione tecnologica, possono anche migliorare il proprio impatto ambientale”. In zootecnica,
ad esempio, si può stoccare la CO2 grazie alla realizzazione di un impianto a biometano”, risponde
Filippo Gallinella, presidente della Commissione Agricoltura alla Camera dei Deputati.

“Da tre anni – continua – approfondisco queste tematiche con seminari e convegni; l’approvazione
del mio emendamento al Decreto Rilancio che prevede la possibilità di un marchio per la zootecnica
di qualità, sostenibile e meno impattante è uno dei risultati raggiunti. Con il Piano Strategico della
nuova Pac possiamo fare scelte molto importanti per la nostra zootecnia, aumentandone la
produttività, che ci vede carenti, pur rimanendo in linea con gli obiettivi ambientali. Tra le opzioni
degli eco-schemi vi è quella di pagare l’agricoltura di montagna con cui possiamo
contemporaneamente ripopolare le aree rurali, presidiare il territorio e dare vita ad una zootecnia sostenibile. Ovviamente sono messaggi da veicolare ai consumatori proprio attraverso il marchio
per un sistema di qualità incentrato sulla sostenibilità”, conclude Gallinella.

Articolo di Vito Miraglia

Foto: © Mexrix_Fotolia