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Crea, l’agroalimentare italiano resiste alla crisi CoVid-19 ma scende il reddito zootecnico

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L’impatto c’è stato, ma lo scenario non è di quelli più rovinosi. Il settore agroalimentare ha pagato il prezzo della crisi mostrando, però, una maggiore capacità di resistenza e riuscendo a contenere le ripercussioni sull’economia dell’emergenza sanitaria, pur con settori più penalizzati di altri. La zootecnia, ad esempio, ha subito una riduzione del reddito per capo allevato maggiore del settore agricolo, ma non tanto quanto gli altri Paesi Ue. Il quadro è articolato ma, in definitiva, il settore non è tra i più colpiti dalla crisi in corso. Il giudizio è di Crea, che a maggio ha pubblicato la Valutazione dell’impatto sul settore agroalimentare delle misure di contenimento CoVid-19.

Il Crea ha misurato l’entità del contraccolpo sul settore agro-alimentare-zootecnico delle misure anti-CoVid-19 considerando una contrazione del Pil compresa tra 1,5 e 5 punti percentuali. Si tratta – come sottolineano gli stessi autori del report – di una riduzione sottostimata, basata sui primi dati delle organizzazioni internazionali come l’Ocse, pertanto gli effetti della crisi potrebbero essere maggiori. Anche l’effetto del blocco dell’Horeca è stato sottostimato.

Gli ultimi dati dell’Istat – successivi alla pubblicazione del report – indicano per l’Italia un calo del Pil per il 2020 dell’8,3%, con un parziale recupero nel 2021 del 4,6%. Uno shock fortissimo per un Paese indicato da più organizzazioni, tra cui il Fondo monetario internazionale, come uno dei più colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia di CoVid-19. La gestione del rischio sanitario ha comportato infatti l’adozione di misure straordinarie e senza precedenti: le forti limitazioni alla mobilità sul territorio nazionale e tra Paesi, lo stop alle attività produttive non essenziali, il confinamento.

Tra le serrate di alberghi, ristoranti, attività commerciali e l’azzeramento dei flussi turistici, anche l’agroalimentare ha dovuto fare i conti con la pandemia, nonostante avesse continuato a operare come attività produttiva essenziale. Tuttavia non sembra essere tra i settori più svantaggiati. Ad esempio – ricorda Crea – secondo l’agenzia Cerved, l’agricoltura è l’unico settore a non avere nel 2020 un fatturato negativo. Per Ismea sono le aziende dell’industria alimentare ad aver sofferto di più rispetto a quelle agricole. Tra queste, se le imprese cerealicole e olivicole hanno riscontrato poche difficoltà, è andata peggio al comparto della zootecnia da carne.

Stabili i consumi

Un quadro simile emerge anche dall’analisi di Crea che si è servita di due modelli econometrici. Le criticità ci sono ma l’impatto è stato contenuto, probabilmente per la minore elasticità della domanda dei prodotti agroalimentari. Anche sul fronte degli scambi con l’estero, le previsioni non sono disastrose sebbene il commercio internazionale si confermi come il punto debole del settore. La produzione non è variata di molto, mostrando però andamenti diversi tra i prodotti considerati.

Il primo modello (Agmemod) prende in considerazione le principali produzioni agroalimentari di un singolo Paese: carne, latte-derivati, cereali e mele per l’Italia. Rispetto al livello produttivo previsto prima della crisi, in crescita rispetto al 2019 per il periodo 2020-2025, le stime post-crisi si discostano di poco. La variazione oscilla tra -1% e +1%, in particolare per la carne è in leggero calo. Anche sul fronte della domanda i consumi si mantengono abbastanza stabili: fino al 2023 ci sarà un calo per latte (-3,8%) e mele, mentre per cereali, carne e formaggi il valore sarà in linea o di poco inferiore (grano duro e derivati sotto l’1%; grano tenero e derivati a -0,7%; carne di maiale -0,7%).

Il fronte degli scambi internazionali vede un calo sia delle spedizioni verso l’estero che dell’import. E quest’ultimo punto potrebbe penalizzare in particolare alcune filiere, come quella della carne avicola e suina, in un Paese tipicamente trasformatore come l’Italia. In linea con i livelli pre-crisi gli acquisti dall’estero di cereali e formaggi, mentre è prevista una flessione della crescita dell’export di carne avicola.

Reddito bovini da latte scende meno della media Ue

Il secondo modello (Capri) valuta invece la redditività delle aziende del settore agroalimentare. Per l’Italia ha indicato una riduzione netta del reddito agricolo (per ettaro) e zootecnico (per capo allevato) ma comunque in misura più limitata rispetto agli altri Paesi europei, indice di una maggiore resistenza del settore. Tuttavia, tra le due, diminuisce di più la redditività del comparto zootecnico. In uno scenario con Pil in calo dell’1,5%, il reddito agricolo scende dell’1,8% e quello zootecnico del 3% (in Ue rispettivamente 3% e 5%). A fronte di un calo doppio del Pil, quindi -3%, raddoppia anche la contrazione della redditività nei due segmenti.

La flessione è particolarmente pronunciata per i bovini. Nel settore carne il reddito per capo scende dell’1,9% e del 3,9% nei due scenari. Una performance simile a Irlanda e Olanda, ma migliore di Francia, Polonia e Portogallo. Per i bovini da latte, invece, i due cali sono maggiori: -3,2% e -6,4%, inferiori però alla media europea. Per l’insieme aggregato degli altri animali, infine, l’Italia è in linea con gli altri 26 Paesi Ue: -24% e -47% nel primo e secondo scenario.

Foto: Pixabay