“Amici italiani smettetela di promuovere i vostri salumi, il vostro parmigiano e le vostre eccellenze. Cari francesi non dovreste essere così orgogliosi di essere il Paese con i 365 formaggi diversi. E voi amici austriaci nascondete la vostra cotoletta”. Inizia con ironia la lettera aperta scritta da Copa-Cogeca per contestare il nuovo documento di Greenpeace sulla promozione dei prodotti agricoli da parte dell’Unione Europea.
Le due organizzazioni di agricoltori europei contestano il dato estrapolato da Greenpeace riguardo ai 250 milioni di euro spesi tra il 2016-2020 dall’Unione Europea esclusivamente per la promozione della carne e dei latticini. “La cifra citata ha lo scopo di scioccare, di rendere indimenticabile un tweet”, spiega Copa-Cogeca. “Greenpeace non vi dirà che l’agricoltura è uno dei pochi settori che è riuscito a ridurre le sue emissioni di CO2 negli ultimi 20 anni, – si legge nella lettera – o che l’Europa ha i più alti standard al mondo per il benessere animale. Ciò che questa relazione non prenderà in considerazione è che se decidessimo di smettere di promuovere la produzione alimentare europea, gli altri Paesi non esiterebbero a continuare a farlo, e sarà certamente a discapito degli animali da allevamento e dell’ambiente, visto che parliamo di Paesi i cui standard sanitari e ambientali non si avvicinano minimamente a quelli che i nostri agricoltori devono rispettare in Europa”.
Inoltre, sempre secondo gli agricoltori: “Ciò che il rapporto di Greenpeace ha tralasciato è che questi 250 milioni di euro utilizzati per la promozione di carne e latticini rappresentano, sì, il 32% del budget, ma sono in linea con il valore di mercato della produzione agro-zootecnica dell’UE che nel 2019 copriva esattamente il 38,6% dell’intera produzione. Lo stesso vale per frutta e verdura. Greenpeace afferma che solo il 19% del budget è dedicato a frutta e verdura, ma questo è in linea con il 20% della quota di mercato che questi prodotti rappresentano all’interno dell’intera produzione agricola dell’UE. Greenpeace afferma anche che solo il 9% dell’intero budget va al biologico. Ancora una volta, – prosegue la lettera – questo è del tutto in linea con la quota produzione di questi prodotti che arriva, infatti, all’8%. La conclusione che possiamo trarne è che la promozione dell’UE rispecchia la realtà della produzione in Europa. Se i fondi venissero ridistribuiti sulla base del ragionamento di Greenpeace, verrebbero utilizzati tutti? Inoltre se seguissimo le indicazioni di Greenpeace non rischieremmo di vedere il budget dedicato alla promozione del nostro prezioso patrimonio regionale riallocato per promuovere “crocchette” vegane o “fake meat” prodotta in laboratorio?”
“Il rapporto di Greenpeace attacca ‘l’agricoltura industriale’ come principale destinatario dei fondi della politica di promozione dell’UE. Ciò che Greenpeace non dirà, però, è che la maggior parte del budget per il mercato interno è dedicata a prodotti IGP, prodotti biologici o alimenti prodotti in modo sostenibile. Se guardiamo l’intera comunicazione di Greenpeace, questo rapporto è in definitiva solo una parte di un progetto molto più ampio: la veganizzazione della nostra alimentazione. A tal fine, Greenpeace sta promuovendo un’idea molto fuorviante, e cioè che esista una dottrina univoca in materia di ambiente o salute quando si tratta di allevamento”.
“La posta in gioco dietro la battaglia delle politiche di promozione è la visione del nostro sistema alimentare del futuro. Abbandoneremo parte del nostro patrimonio culinario, il nostro parmigiano, i nostri camembert, le nostre salsicce, il nostro filetto di maiale, la nostra costata in favore di alimenti sintetici il cui universo culinario è popolato da “hamburger” e “pepite” vegetariane? Rispetto ai 3,1 miliardi di euro investiti lo scorso anno in prodotti di imitazione a base vegetale, cosa rappresentano 250 milioni di euro investiti in 4 anni dalla Commissione europea per promuovere e proteggere il patrimonio culinario dell’UE?”
Conclude la lettera: “Questo approccio è purtroppo deleterio per il dibattito pubblico europeo in quanto alimenta una sorta di populismo contro il lavoro messo in atto dalla Commissione e dagli agricoltori dell’UE per migliorare la sostenibilità dell’agricoltura europea. Se applicato, potrebbe certamente portare ad un aumento delle importazioni da Paesi stranieri, come quelli del mercato Mercosur, danneggiando il nostro patrimonio culinario regionale, consentendo alle multinazionali di promuovere le loro nuove linee di prodotti”.
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