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Mangimi, nel 2020 produzione ai massimi storici

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foto pixabay

Il 2020, l’anno nero della pandemia di Covid-19, per la mangimistica italiana ha coinciso con un risultato particolarmente significativo. Secondo Assalzoo la produzione di alimenti per animali ha infatti segnato il record dei 15 miliardi di tonnellate. Un livello mai raggiunto prima e che, comunque, ha a che fare con gli effetti sulla filiera agro-alimentare-zootecnica della gestione dell’emergenza sanitaria. Il dato certamente rassicurante è che il comparto non interrompe la recente tendenza al rialzo accreditandosi, inoltre, come una delle realtà più dinamiche in Europa come rilevato da Fefac. 

La crescita produttiva tra il 2019 e il 2020 è stata pari al 2,7%, un valore inferiore a quello che la Federazione europea tra i Produttori di mangimi ha assegnato all’Italia. Fefac ha infatti attribuito una variazione positiva del 3,4%, il terzo miglior risultato nel continente dopo Bulgaria e Belgio. Come indica la tabella 1, sono 15,06 milioni le tonnellate prodotte dall’industria mangimistica italiana. L’accresciuta produzione dell’industria mangimistica italiana si può leggere alla luce delle necessità degli allevatori che hanno dovuto prolungare la permanenza degli animali in stalla. Nel corso delle prime fasi dell’emergenza sanitaria e a seguito della ridefinizione della mappa dei consumi con la chiusura dei servizi di ristorazione e la riduzione delle esportazioni, l’attività nei macelli ha infatti rallentato.

Le richieste degli allevatori sono state dunque soddisfatte con un aumento dell’output. La dinamica è particolarmente evidente per il settore della suinicoltura, il secondo segmento per quota parte sul totale della produzione. L’ammontare dei mangimi per suini sfiora i 4 milioni di tonnellate, in aumento di ben il 6,2% (tabella 1), l’incremento più consistente tra le specie maggiori (per gli ovini la variazione massima: +8%). Alla performance generale del settore ha contribuito certamente l’avicoltura che rappresenta ben il 40% del totale e che ha sofferto in misura relativamente minore gli effetti della pandemia. Il rialzo è stato dell’1,8% (da 5,9 a 6,07 milioni di tonnellate), con la produzione in crescita per tutte le singole specie. L’ultima tra le specie maggiori, quella dei bovini, presenta invece un quadro più articolato al suo interno. L’aumento complessivo è stato dell’1,7% (da 3,47 a 3,52 milioni di tonnellate) ma mentre per i bovini da carne c’è stato un picco di +6,6%, per le vacche da latte – il segmento che consuma più prodotto – la variazione è nulla.

Tra le altre voci emergono le note stonate. Prosegue l’arretramento della produzione di mangimi per l’acquacoltura, duramente colpita dalla pandemia. La flessione è stata del 7,1% (si è passati da 140 mila a 130 mila tonnellate). Per gli equini l’output si è praticamente ridotto di un quarto (-26%), pressoché stabile la produzione per i conigli (+1%). Ancora positivo l’andamento per il pet-food, ma meglio dello scorso anno: nel 2020 la variazione è stata del +2,2%, dodici mesi prima di meno dell’1%.

Alla buona performance produttiva del settore si è accompagnato un incremento del fatturato che si avvicina ora agli 8 miliardi di euro (tabella 2). La variazione è del +5,2%, dello stesso valore per i mangimi (5,4 miliardi), del +7,8% per le premiscele (900 milioni) e del 4,05% per il pet-food (1,67 miliardi). Il motivo di questo aumento è il considerevole incremento dei prezzi alla produzione del 15,6%, una variazione maturata con l’aumento delle quotazioni delle materie prime, gli ‘ingredienti’ dei mangimi, una costante anche per l’anno in corso. Negli investimenti delle imprese mangimistiche si notano alcuni dati opposti. Se da un lato diminuisce il livello di investimenti fissi lordi (sceso da 110 del 2019 a 100 milioni di euro), dall’altro si registra una crescita del numero di addetti. La mangimistica italiana crea lavoro, in una fase storica difficile per la manifattura: ora sono 8300 le unità impiegate nel settore (erano 8000 l’anno precedente).

Infine, sul fronte degli scambi commerciali, l’effetto delle variazioni dell’import/export è un allargamento del disavanzo commerciale valutato in -135 milioni di euro. Questo perché nel 2020 le esportazioni dell’industria mangimistica italiana hanno fruttato un valore di 812 milioni di euro (+5,86% rispetto ai 767 milioni del 2019) ma ha importato beni per un valore di 947 milioni di euro (+8% circa, da 877 milioni del 2019).

Foto: Pixabay