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Agroalimentare, tra supporto alle filiere e promozione del Made in Italy si punta al rilancio

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Cibus Forum Fiere di Parma, il primo grande appuntamento fieristico dedicato all’agroalimentare dopo la fase acuta della pandemia, è stata l’occasione per parlare del futuro del settore. L’economia italiana e il Made in Italy hanno infatti bisogno di un settore primario fiorente per risalire la china prima e per consolidare le sue basi e la sua posizione sul mercato internazionale poi. La crisi degli scorsi mesi si è abbattuta su un settore che nel 2019 aveva, pur in un quadro generale in chiaroscuro, tagliato importanti traguardi. Anche se l’agricoltura aveva fatto segnare una leggera flessione tanto nella produzione (-0,7%) quanto nel valore aggiunto (-1,6%), l’agroalimentare aveva invece registrato un incremento di questi indicatori (+1% e +0,1%) rendendo ancora più forte il suo apporto all’economia nazionale tutta. Oltre il 4% del valore aggiunto dell’intera economia si forma infatti nel settore agroalimentare. 

Il suo valore è riconosciuto anche all’estero, come testimonia il livello record raggiunto dall’export italiano sempre nel 2019. I prodotti del Made in Italy hanno fruttato 44,6 miliardi di euro, pari al 9,4% di tutto l’export complessivo di beni e servizi. 

A fronte di questi numeri si spiega l’attenzione che il settore riceve e che si è tradotta anche in alcuni provvedimenti messi a punto dal governo nei mesi dell’emergenza coronavirus. Alcuni li ha ricordati la ministra delle Politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova intervenuta proprio all’evento fieristico di Parma. Si tratta di misure per oltre 2,5 miliardi di euro – ha ribadito la ministra – che hanno individuato come beneficiari tutti gli attori della filiera agroalimentare, dai produttori agricoli fino ai ristoratori, l’ultimo anello a valle della catena di valore e gravemente colpiti dal lockdown e dalla chiusura del canale Horeca al pari dei produttori stessi, basti pensare alla crisi della suinicoltura.  

Tra le misure messe in atto anche il sostegno ai contratti di filiera, “un anello cruciale degli investimenti che dovremo sostenere nei prossimi anni”, ha sottolineato la ministra.  

La sponda offerta ai ristoratori da parte del governo non è stata giudicata del tutto adeguata da Federalimentare. Il suo presidente, Ivano Vacondio, proprio nel corso di una tavola rotonda a Cibus dedicata ai consumi alimentari, ha individuato in 1,5 miliardi di euro la cifra necessaria “se si vuole tenere in piedi l’Horeca e il turismo enogastronomico: finanziamenti che in questo caso sarebbero veri e propri investimenti con conseguenze su tutta la filiera”.

Export

L’altro fronte per il rilancio dell’agroalimentare italiano si trova fuori dai confini nazionali. Il supporto all’export e al Made in Italy ha trovato spazio nell’agenda di governo e nelle politiche del ministero dell’Agricoltura: “L’agroalimentare è e sarà ancora più protagonista del Patto per l’export e nella spesa di oltre 1 miliardo di euro di risorse ad esso collegato”, ha ricordato Bellanova. “Non c’è dubbio, infatti, che possiamo ancora migliorare la nostra presenza sui mercati esteri e far valere la forza del marchio ‘Italia’ nel mondo”. 

L’onda lunga del successo del Made in Italy nel mondo aveva toccato anche i primi mesi del 2020 (ad esempio +12% export in valore dei formaggi italiani rispetto ai primi due mesi del 2019) ma poi si è abbattuto l’uragano del CoVid-19 che ha rallentato gli scambi commerciali con l’estero. Nell’ultimo report di giugno dedicato all’impatto della pandemia sul comparto agroalimentare Ismea ha individuato proprio nell’export un anello debole seppure con molta incertezza sulla sua entità, probabilmente più o meno ampia tra i diversi settori merceologici. È fuori di dubbio comunque che la chiusura dell’Horeca a livello internazionale avrà ripercussioni sugli scambi, ad esempio per i prodotti a base di carne suina lavorati in Italia e diretti in Germania e Francia, come ricorda l’istituto. 

Sfide future

La strategia per il rilancio del settore agroalimentare non può non considerare anche le sfide che ha davanti a sé sia a livello nazionale che europeo: dalla dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime alla transizione verso un sistema più sostenibile dalla nuova Politica agricola comune al contrasto ai cambiamenti climatici, dalla tutela dei consumatori a quella della concorrenza. Su quest’ultimo aspetto Bellanova ha ricordato i lavori sulla delega per attuare la direttiva Ue contro le pratiche commerciali sleali.

Sul deficit strutturale di materie prime è intervenuto anche il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, sempre a Cibus Forum, sottolineando la necessità di incrementare l’offerta: “Oggi produciamo il 75% del nostro fabbisogno; dobbiamo arrivare al 100%. Produrre di più in modo più competitivo deve essere il nostro obiettivo, l’obiettivo di tutta la filiera. Dobbiamo rafforzare il concetto di cibo strettamente legato all’agricoltura e opporci a quello fatto in laboratorio. Ciò non significa non utilizzare tutte le opportunità che le nuove tecnologie, anche genetiche, offrono. Dobbiamo produrre bene, ma dobbiamo anche farlo al minor costo possibile”, ha detto GIansanti. 

La questione travalica naturalmente i confini interni con riferimento alle nuove politiche europee: “In termini generali le proposte in discussione tendono a sottovalutare l’importanza della produttività aziendale e della competitività delle imprese. Basti pensare alle rigide riduzioni quantitative nell’uso delle sostanze chimiche imposte all’agricoltura entro il 2030, senza aver valutato l’impatto in termini di possibili perdite di produzione”, ha aggiunto il presidente di Confagricoltura. Per l’organizzazione è necessario che i progetti da finanziare col Next Generation Ue siano in grado di garantire adeguati livelli di produzione nel rispetto della sostenibilità grazie all’uso delle ultime tecnologie.

Foto: © nolonely_Fotolia