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De Castro: “Paesi e produttori chiamati a sfruttare le opportunità della Pac per migliorare il benessere animale”

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L’onorevole Paolo De Castro è il coordinatore per il gruppo socialdemocratico in commissione per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento Ue. In questa intervista con Mangimi & Alimenti il punto su alcuni dei principali temi d’attualità nel settore agroalimentare, dalla Pac alle Tea.

A fine giugno il Consiglio Ue ha raggiunto un compromesso sulla nuova Pac che proseguirà il suo iter anche in Parlamento. Riuscirà a incidere davvero sul nuovo corso della politica ambientale, come auspicato?

L’accordo politico sulla riforma della Politica agricola comune che abbiamo raggiunto a giugno, in occasione dell’ultimo trilogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio Ue sotto la presidenza di turno portoghese, è un risultato senza precedenti nella storia dell’Unione. Non solo perché continuerà a garantire un adeguato reddito agli agricoltori, almeno fino al 2027, ma anche per la novità assoluta della condizionalità sociale, che abbiamo voluto con determinazione per tutelare i diritti dei lavoratori nelle aziende agricole, e per l’attenzione a progetti ecosostenibili che saranno adeguatamente finanziati, con risorse comunitarie e nazionali. I tre testi legislativi cardine della riforma – regolamento sulla Strategia nazionale, sull’Organizzazione comune del mercato e Orizzontale – saranno votati in autunno dal Parlamento europeo in commissione Agricoltura, e quindi in assemblea plenaria.

Quali potrebbero essere le ricadute della nuova Pac sulle filiere zootecniche, sia sul fronte della sostenibilità che dei mercati?

Con la nuova Pac si passerà da un approccio ‘one-size-fits-all’, come quello degli attuali obblighi greening, a un sistema premiante in base al quale agricoltori e allevatori che si impegneranno in pratiche ad alto valore aggiunto ambientale più verranno ricompensati con i fondi del primo pilastro. Ricordo che attraverso gli eco-schemi – obbligatori per gli Stati membri, ma volontari per i produttori – sono previste, tra l’altro, misure finalizzate al benessere animale. E questo per un valore minimo del 25% dei pagamenti diretti, che per l’Italia si traduce in un importo complessivo di circa 900 milioni di euro l’anno. Inoltre, nella quota di aiuti accoppiati che la Pac garantirà ancora ai settori in difficoltà – fino al 13% dei propri pagamenti diretti – c’è il settore della carne bovina. Per quanto riguarda invece il secondo pilastro, quello dello Sviluppo rurale, almeno il 35% dei fondi dovrà essere indirizzato a misure ad alto valore ambientale; tra queste, anche quelle volte a migliorare il benessere animale. Le opportunità insomma non mancano. Sta ora agli Stati membri, alle Regioni e ai singoli produttori sfruttarle.

L’accordo Usa-Ue sui dazi è un primo segnale di una nuova stagione per il commercio agroalimentare internazionale nel post pandemia. Di cosa ha bisogno ulteriormente il settore primario per consolidare la sua presenza sui mercati extra-Ue?

Il primo semestre 2021, dopo l’insediamento alla Casa Bianca della nuova amministrazione guidata da Joe Biden, ha sicuramente segnato una svolta nelle relazioni diplomatiche e commerciali tra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Svolta confermata dallo stop di cinque anni a dazi e altre ritorsioni tariffarie tra le due sponde dell’Atlantico, decretato da Washington nel giugno scorso, che avrà riflessi sicuramente positivi anche per l’interscambio di prodotti agroalimentari. A febbraio, come commissione Agricoltura dell’Europarlamento, avevamo chiesto una moratoria dei dazi doganali applicati dagli Usa a ottobre 2019 per la vicenda Airbus-Boeing su una serie di prodotti Ue, tra cui anche eccellenze dell’agroalimentare ‘Made in Italy’ come formaggi e salumi. Ma l’accordo Usa-Ue raggiunto a giugno è poi andato ben oltre, chiudendo una triste parentesi per i prodotti europei esportati Oltreoceano, ingiustamente penalizzati con danni economici che per i soli produttori italiani sono ammontati a oltre 500 milioni di euro, in aggiunta a quelli provocati dalla pandemia. Ora, guardando avanti, credo che l’Italia non possa fare altro che continuare a lavorare, facendo leva su negoziati bilaterali con altri Paesi extra-Ue, per raggiungere nuovi accordi e mercati con le nostre eccellenze agroalimentari.

Ad aprile la Commissione Ue ha pubblicato uno studio sulle nuove tecniche di breeding indicando come alcune di esse possano contribuire agli obiettivi in tema ambientale. Quali sono gli orientamenti del Parlamento Ue e quali sviluppi potrebbero esserci in materia nei prossimi mesi?

Lo studio presentato la primavera scorsa dalla Commissione europea sulle nuove biotecnologie agrarie, con il contestuale annuncio dell’avvio di un processo di consultazione finalizzato a un nuovo quadro giuridico in materia, è una novità che al Parlamento abbiamo accolto con grande soddisfazione. E del resto, non poteva essere altrimenti, visto che l’impiego di questi strumenti, conosciuti e sperimentati in più parti del mondo nel solco del tradizionale miglioramento genetico, attualmente rappresenta l’unica strada praticabile per garantire su larga scala la biodiversità e ridurre l’impiego della chimica nei campi.

Le nuove tecniche genomiche, cosiddette Tea – Tecniche di evoluzione assistita, non hanno nulla a che vedere con gli Organismi geneticamente modificati (OGM) tradizionali, e anzi possono contribuire in modo sicuro ed efficace a una produzione agricola sempre più sostenibile, in linea con il Green Deal europeo, il Patto con i consumatori lanciato dall’Unione da qui ai prossimi anni, con le sue strategie ‘Farm to Fork’ e ‘Biodiversity’. L’impatto sarà valutato dalla Commissione e dai co-legislatori – Parlamento e Consiglio – in base alle evidenze scientifiche dei progressi compiuti dalla ricerca negli ultimi vent’anni in materia di biotecnologie, che di fatto hanno superato la legislazione sugli OGM risalente al 2001. Le nuove biotecnologie sostenibili, a differenza degli OGM tradizionali che prevedono il trasferimento di geni (transgenesi) tra specie diverse, si basano sulla combinazione di geni intra-specie, con l’obiettivo di velocizzare processi che avverrebbero in modo naturale, arrivando a sviluppare varietà non solo sicure da un punto di vista di tutela ambientale e della biodiversità, ma soprattutto più resistenti a malattie e condizioni climatiche avverse, come la carenza d’acqua, e capaci di garantire maggiori rese produttive e quindi minori costi economici.

di Vito Miraglia