Home Economia Carne suina, allevamenti italiani in crisi: costi troppo alti per mangimi ed...

Carne suina, allevamenti italiani in crisi: costi troppo alti per mangimi ed energia

1522
0
allevamenti

Gli allevamenti di suini in Italia sono in crisi. Ad incidere sul portafoglio degli allevatori non sono solo i magri ricavi, ma anche i lievitati costi di produzione. La spinta inflazionistica ormai da diversi mesi ha aumentato i prezzi delle materie prime destinate all’alimentazione dei suini, mais e soia in primis. A renderlo noto è il report Ismea “Carne suina: Tendenze e dinamiche del settore”.

Costi di produzione

I listini degli alimenti zootecnici sono cresciuti sensibilmente a partire dall’inizio del 2021, arrivando a toccare livelli tra i più alti degli ultimi dieci anni. I prezzi del mais a uso zootecnico hanno superato i 301€/ton nel mese di ottobre (+60% rispetto ai livelli di un anno fa) e per la soia sono arrivati a quasi 608€/ton (+57%).

Nel complesso l’Indice Ismea dei prezzi degli input produttivi per gli allevamenti suini segna un incremento del 6,6% nei primi nove mesi del 2021, proprio sotto la spinta dei mangimi (+6,4%) e dei prodotti energetici (+5,5%). A partire dall’autunno gli annunciati rincari dei prodotti energetici -carburanti ed energia elettrica – potrebbero ulteriormente aggravare i bilanci delle aziende zootecniche italiane.

Prezzi della carne

I cali di prezzo che stanno interessato il mercato del vivo non si sono trasferiti nella fase all’ingrosso, in cui i prezzi dei tagli di carne suina industriale continuano la progressiva risalita cominciata a inizio 2021. Prosegue l’aumento delle quotazioni delle cosce fresche destinate alla stagionatura sia per il circuito Dop che non (rispettivamente +16% e +18% rispetto a gennaio-ottobre 2020), in particolare grazie al balzo delle esportazioni dei prosciutti e alla ritrovata domanda da parte degli operatori dell’Ho.Re.Ca.

In dettaglio, i prezzi delle cosce fresche destinate al circuito Dop sono arrivati a 4,5 euro/kg nel mese di ottobre, registrando un aumento del 24% rispetto ai livelli di dodici mesi prima; per le cosce fresche del circuito non tutelato l’apprezzamento rispetto a un anno fa è stato del 28%, raggiungendo mediamente i 3,9 euro/kg a ottobre 2021. In sofferenza, all’opposto, i tagli freschi che stanno risentendo del crollo della domanda domestica dopo gli straordinari aumenti delle vendite nella GDO registrate nel 2020: per il lombo taglio Padova, in particolare, i prezzi risultano assestati a ottobre 2021 su un livello di 3,2 euro/kg con un calo dell’11% rispetto a un anno fa.

Import ed export

La flessione dei prezzi su scala internazionale dei capi vivi e dei tagli destinati al consumo fresco, stanno determinando nel corso del 2021 una significativa riduzione del deficit della bilancia commerciale del settore suinicolo italiano, considerando la strutturale dipendenza dall’estero sia di carni che di animali da ristallo.

Il disavanzo è diminuito di 238 milioni di euro nei primi sette mesi del 2021, come conseguenza di un calo degli acquisti dall’estero (7% in valore) e un contemporaneo aumento delle esportazioni (+14% in valore), principalmente da attribuire alle “preparazioni e conserve suine” – che incide per l’82% sul valore dell’export totale del settore – che hanno fatto registrare un aumento su base annua del 12%in valore. L’aumento, sia in volume che in valore, ha riguardato tutte le principali categorie di prodotti esportati, con la sola eccezione dei “prosciutti stagionati con osso”.

Per quanto riguarda i “prosciutti disossati, speck e culatelli”, i principali mercati di sbocco si confermano Francia e Germania, generando complessivamente circa il 37% del valore delle esportazioni italiane. Ma, nel 2021, il recupero più evidente, dopo le difficoltà connesse alla situazione pandemica, è quello realizzato negli Stati Uniti (+46% in volume e +37% in valore). Grande ripresa pure per le esportazioni di “salsicce e salumi stagionati” (+16% in valore e +22% in volume), con risultati molto positivi anche nel Regno Unito, che dopo la Germania, si conferma tra le principali destinazioni.

I consumi

A livello nazionale l’andamento dei consumi di prodotti alimentari sta progressivamente ritornando alla  normalità  e  mano  a  mano  che  ci  si  allontana  dai  momenti  più  critici dell’emergenza Covid-19,  sembrano  riconfermarsi  molte  delle  dinamiche  pre-pandemia. In particolare, stanno risalendo gli acquisti per i piatti pronti e le pietanze che richiedono tempi ridotti di preparazione. Dei mesi del lockdown, però, gli italiani hanno tenuto alcune abitudini, continuando a spendere di più per cibi gourmet.

Tutto ciò, per i consumi domestici, si sta traducendo in una variazione negativa sia per la carne fresca (-4% in quantità nei primi nove mesi del 2021) sia per i salumi (-1% in quantità). Per i salumi, tuttavia, è da sottolineare una dinamica assai variegata per le singole categorie, con una variazione positiva di spesa e quantità soprattutto per i prosciutti crudi.

Il prodotto più venduto resta il prosciutto cotto, sebbene in calo. Da rilevare, inoltre, un ritorno al banco del fresco per i consumatori, segnato da una ripresa degli acquisti di salumi a “peso variabile” e da un contemporaneo calo delle preferenze per gli affettati confezionati in vaschetta (rispettivamente +1% e -2% in volume nei primi nove mesi del 2021).

Le sfide per il futuro

Il graduale allentamento delle misure di contenimento e le conseguenti riaperture stanno dando slancio alla domanda e una ritrovata vivacità agli scambi mondiali. Ma nei prossimi mesi gli effetti positivi sulla filiera potrebbero assottigliarsi sotto la pressione inflazionistica che sta interessando le materie prime per l’alimentazione dei suini e i prodotti energetici.

Tutte queste questioni vanno ad aggiungersi ad altre problematiche di ordine economico e sociale. Si registra un atteggiamento sempre più diffidente da parte della società nei confronti dei consumi di carne e sulle modalità di gestione degli allevamenti. Inoltre ci sono problemi di carattere organizzativo e strutturale della filiera. Da non trascurare poi l’orientamento sempre più pregnante da parte delle istituzioni comunitarie in termini di benessere e sostenibilità degli allevamenti.