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Carni bovine, prezzi al rialzo ma preoccupa la redditività degli allevatori

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Stress test per il mercato delle carni bovine italiane. Prezzi in netto rialzo nell’ultimo trimestre 2021 e un’offerta estera meno pressante. A fronte di un’offerta nazionale sostanzialmente stabile, per gli allevatori la partita si continua a giocare sul campo della redditività: le quotazioni delle materie prime utilizzate per l’alimentazione degli animali e i prezzi dei ristalli crescono più velocemente dei prezzi di vendita, erodendo i già ridotti margini. A rivelarlo è il nuovo report Ismea.

Non manca la preoccupazione per la pressione delle produzioni estere che, malgrado il diffuso incremento dei listini, si posizionano su prezzi inferiori a quelli delle carni italiane. I flussi in entrata da oltreconfine si sono tuttavia notevolmente ridotti sia nel 2020 che nel 2021, permettendo al mercato interno di mantenere un discreto equilibrio e un totale assorbimento dell’offerta nazionale. I consumi domestici, anche nel 2021, hanno in buona parte compensato quelli mancati del “fuori casa”, così anche alla distribuzione si è assistito a una maggior presenza di prodotto italiano, venduto a prezzi in tenuta, con diversi spunti al rialzo.

L’andamento del mercato europeo

L’aumento dei prezzi dell’energia e dei trasporti e le conseguenze della diffusione della variante Delta del Covid-19, in particolare in Asia, stanno impattando sulle catene di approvvigionamento in tutto il mondo. Anche il settore agroalimentare dell’UE deve far fronte all’impennata dei prezzi delle materie prime, sostenuta dalla ripresa delle economie degli Stati membri, della Cina e degli Stati Uniti. In tale contesto, i prezzi dei prodotti di origine animale sono relativamente buoni, ma i margini rischiano di essere schiacciati dall’aumento dei costi dei mangimi e dei prodotti energetici. 

Anche i prezzi dei bovini da macello stanno aumentando in tutta Europa grazie a una flessione dell’offerta e a una ripresa della domanda per la riapertura del canale della ristorazione. Nei primi otto mesi del 2021, la produzione di carne bovina è diminuita dello 0,6% in volume su base annua. Il contributo principale a questo calo è venuto da Irlanda (-7,8%) e Germania (-1,6%). In Spagna, al contrario, la produzione è aumentata del 5,7%. In generale, per le fine del 2021 si prevede un lieve contenimento della flessione dell’offerta UE registrata: -0,5% in volume. L’attrito commerciale tra l’UE e il Regno Unito rimane un elemento chiave che influenza i dati sul commercio di carni bovine dell’UE, sebbene i flussi commerciali con il Regno Unito sembrino stabilizzarsi (T1_2021: -29%, T2_2021: -6%). 

L’andamento del mercato europeo: import ed export

Le esportazioni di carne bovina dell’UE nel periodo gennaio-agosto 2021 sono cresciute dell’1% raggiungendo le 137.000 tonnellate, trainate dalla crescita degli invii in Norvegia  e Bosnia-Erzegovina. In crescita anche le esportazioni verso i Paesi orientali, soprattutto Giappone, Filippine e Hong Kong. In generale, gli scambi di bestiame sono più limitati a livello globale. Le importazioni dell’UE sono diminuite del 12% rispetto al 2020, con minori arrivi non solo dal Regno Unito, ma anche dall’Argentina e dall’Australia. Aumentano invece le importazioni dall’Uruguay. Nell’ultima parte del 2021 è previsto un recupero del 5% delle importazioni, trainate  dalla graduale riapertura dei servizi di ristorazione e del turismo in molti Paesi dell’UE. Attualmente, si registra una carenza di carne bovina sul mercato internazionale. Australia e Brasile stanno rifornendo prioritariamente i mercati interni con conseguente minore disponibilità per l’esportazione.

Il mercato europeo delle carni bovine registra prezzi nettamente superiori a quelli di un anno fa. La media calcolata dalla Commissione europea indica nella settimana 45 (la terza di novembre) quotazioni di 420 euro/quintale per le carni (A/C/Z), con un differenziale positivo del 19% rispetto ai 12 mesi precedenti. Positivo anche il confronto con il mese precedente, con i prezzi in crescita del 3,1%. I prezzi del vivo si sono comportati in modo analogo un po’ per tutte le categorie, per le quali la curva dei prezzi si mantiene al di sopra della media degli ultimi tre anni, con punte massime rilevate per i baliotti razze da latte, per i quali i prezzi si discostano del +44% rispetto a quelli dell’analogo periodo 2020.

Cresce l’offerta nazionale in un contesto di mercato più dinamico

L’offerta nazionale di carne bovina nei primi nove mesi del 2021 torna a crescere del 3,2%, riavvicinandosi ai livelli del 2018. Secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica, nel periodo gennaio-settembre 2021 sono stati macellati poco più di 2 milioni di capi, ossia circa 62 mila capi in più rispetto al 2020 (+3,2%). Cambia di nuovo la composizione dell’offerta. Il numero di vitelli a carne  bianca macellati recupera lo 0,4% dopo la flessione dell’1,8% dell’anno precedente. Aumenta in misura importante il numero di vacche avviate al macello (+7%) grazie alla maggiore spinta della rimonta nel ciclo latte che vede un maggior ricambio del bestiame in produzione per una maggior produttività. Si nota una leggera flessione delle manze macellate. 

In netto recupero il numero di vitelloni maschi (+5,7% dopo il -0,6% del 2020). La composizione dell’offerta in termini di carne prodotta è sempre più concentrata su vitelloni e manze, che insieme rappresentano circa il 70% del totale. I vitelli inferiori a 1 anno, pur costituendo quasi un quarto del patrimonio macellato, pesano appena per l’11% dell’offerta totale di carne, mentre le carni di bovino adulto rappresentano in volume il 21% dell’offerta.

Prezzi in allevamento in netta ripresa per tutte le categorie

I prezzi dei capi da macello in uscita dall’allevamento mostrano una situazione di netto rialzo sia in termini congiunturali che tendenziali. I valori dei vitelloni da marzo hanno iniziato un graduale recupero che li ha riportati a giugno 2021 sui livelli prossimi a quelli dei due anni precedenti.

Le quotazioni delle vacche hanno iniziato il 2021 in graduale crescita e, dopo un breve ripiegamento nel periodo estivo, si sono attestate a novembre su livelli più elevati rispetto al precedente biennio. In particolare, i prezzi medi di novembre sono stati superiori del 15% agli analoghi del 2020. Ancora negativo il quadro per il segmento dei vitelli a carne bianca: le quotazioni si attestano anno ancora su livelli più bassi del 2019. I prezzi medi in allevamento per le scottone restano invece elevati per tutto il 2021 con livelli raggiunti a novembre superiori del 14% a quelli del 2020. Le aspettative per i prezzi in allevamento nei prossimi mesi restano comunque incerte. Inoltre, il generalizzato aumento dei prezzi al consumo potrebbe provocare un rallentamento della domanda domestica  soprattutto della fascia di consumatori economicamente più deboli.

Per il mercato all’ingrosso i prezzi medi delle carni di vitellone sono in netto rialzo e raggiungono a novembre 5,46 €/Kg, attestandosi su livelli superiori del 7% al 2020. Situazione simile per le quotazioni delle carni di bovino adulto che, con una dinamica gradualmente crescente da inizio anno, si attestano a novembre sopra 3,06 €/Kg, ossia su livelli superiori agli analoghi del precedente biennio. Passano in terreno positivo anche le quotazioni delle carni di vitello per le quali il prezzo medio, a novembre, raggiunge 6,82 €/Kg, attestandosi sul livello più alto dell’intero triennio. Le carni di scottona proseguono nella loro corsa con un recupero del 14% rispetto a novembre 2020.

Una domanda domestica che si mantiene sopra la media dell’annata pre-covid

Nei primi nove mesi del 2021, i volumi delle carni acquistate dalle famiglie italiane restano in sostanziale tenuta rispetto all’eccezionale annata 2020 (-0,7%), ma con dinamiche differenziate per le singole tipologie di carni. Si registrano incrementi pari al +5,8% in volume e a +12% in valore rispetto all’analogo periodo di un’annata “normale” come il 2019. Si evidenzia un notevole aumento dei prezzi medi al consumo rispetto al periodo pre-covid, che interessa tutte le tipologie a eccezione delle carni suine per le quali si rileva un lieve ridimensionamento dei prezzi medi. In particolare, per le carni bovine si rileva nel 2021 un ripiegamento dell’1,5% degli acquisti in volume a fronte di una spesa che rimane stabile sui livelli del precedente anno. Per queste carni l’incremento dei prezzi medi al consumo si attesta sull’1,3%, frutto del +1,5% della carne di vitello e del +1% di quella di bovino adulto.

Domanda domestica: canali di vendica e categorie merceologiche

I canali di vendita utilizzati sono stati soprattutto i supermercati e le macellerie, attraverso i quali sono stati acquistati rispettivamente il 39% e il 22% dei volumi totali. Un ruolo discreto lo ha avuto anche il Discount, dove si sono vendute il 14% delle carni bovine e dove le vendite sembrano confermarsi più stabilizzate, con un incremento dello 0,3% su base annua dopo il +10% in volume del 2020. Diversamente, i canali tradizionali hanno segnato un ripiegamento del 7,3% nei primi nove mesi del 2021, e gli Iper, che avevano perso quote nel 2020 (-4,1%) segnano un ulteriore lieve ridimensionamento nel 2021 (-0,3%).

La principale categoria merceologica tra quelle riconosciute al dettaglio è quella del bovino adulto, che rappresentano circa il 60% dell’offerta, segue la carne di vitello, che nel banco al dettaglio rappresenta il 35% dei volumi, alla quale si affianca la categoria della scottona (6%). La categoria del bovino adulto registra un arretramento del 4,3% dei volumi esitati alla Distribuzione, mantenendo comunque un vantaggio del 2% su quelli degli analoghi mesi del 2019. La carne di vitello conferma i volumi del 2020 (+0,3%) con una spesa che, grazie all’aumento dei prezzi medi, cresce del 1,8%. Le carni di scottona restano quelle per cui la domanda al consumo si mostra più dinamica: i volumi delle  vendite, nel 2021, segnano un ulteriore incremento del 14,9% che porta l’avanzamento rispetto all’analogo periodo dell’annata pre-covid (2019) al +32%, con una crescita della spesa ancora più evidente: +16% rispetto al 2020 e +42% rispetto al 2019.

Interessante sottolineare come l’aumento dei prezzi medi abbia in parte frenato gli acquisti delle  famiglie più deboli economicamente (-2,4% e -3,2% rispettivamente), mentre incrementano le famiglie ad alto reddito (+2%). 

Una pressione da offerta estera più contenuta

Nel complesso, la contrazione dell’import di carni bovine su base annua è del 9,9%, la più importante  oscillazione negativa degli ultimi cinque anni, cui contribuiscono in particolare le flessioni nel secondo trimestre del 2020 (-16,2% l’import su base annua). Nel 2021, i dati disponibili relativi ai primi otto mesi indicano ancora una flessione delle importazioni: -1,9% i volumi sommati di carni congelate e fresche. Dati che riflettono sia il permanere della pandemia, sia il contemporaneo rallentamento dei consumi interni.

In particolare, alla flessione dei volumi importati contribuisce la flessione delle carni fresche del 4,3%. Flessione che va a sommarsi alla contrazione del 9,7% già registrata nel 2020. Le carni bovine congelate invece tornano nel periodo gennaio-agosto 2021 sui livelli pre-Covid recuperando l’11% perso precedentemente. Le importazioni di preparazioni a base di carni bovina perdono il 16,3% rispetto allo scorso anno quando erano state l’unica voce in positivo con il +10,4%.

Principale fornitore di carni bovine dell’Italia resta la Polonia, con quasi 45mila tonnellate di prodotto, e una flessione del 3,6% rispetto allo scorso anno. In flessione anche gli arrivi dalla Francia, probabilmente per i prezzi elevati e poco concorrenziali, malgrado i quali la Francia è riuscita ad aumentare le sue esportazioni verso tutti gli altri Paesi in particolare verso quelli dell’Est asiatico e verso i Paesi Bassi. In flessione anche gli arrivi da Germania (-7,7%) e Irlanda (-7,1%) mentre trovano maggiore spazio sul mercato nazionale Spagna (+17,5%) e Paesi Bassi (+1,4%). Riguardo l’import di capi vivi da ristallo, la tendenza su base annua torna ad essere negativa: -4,6% il numero dei capi.

Le prospettive

Secondo le  stime della Banca Centrale Europea, l’anno dovrebbe chiudersi con un tasso di inflazione del 2,2%. Sulla base di una ottimistica previsione, i fattori determinanti (tra cui l’aumento dei prezzi dei prodotti energetici) dovrebbero attenuarsi già a partire dal primo trimestre 2022 per poi portare l’inflazione al +1,5% nel 2023. Sul mercato delle materie prime permane l’incertezza. Soprattutto in merito al livello delle scorte detenute dai principali esportatori che rimangono su livelli de inferiori ai valori medi dell’ultimo quinquennio. 

Torna positivo anche l’indice del clima di fiducia degli agricoltori elaborato dall’Ismea, che dopo  nove trimestri consecutivi su terreno negativo, si attesta a 3,1 punti. Gli intervistati sono molto ottimisti riguardo alle prospettive a 2-3 anni, meno sulla situazione corrente. Sebbene anche su questo aspetto i pareri risultino in notevole miglioramento rispetto ai trimestri precedenti. Un anno fa, il principale fattore di difficoltà da fronteggiare era il calo della domanda, quest’anno il fattore critico è l’aumento dei costi correnti, riportato dal 34% degli agricoltori e dal 43% degli operatori dell’industria alimentare (sul totale di quelli che hanno dichiarato delle difficoltà).

Prospettive: redditività in calo

Un problema che persiste e si acuisce è quello della redditività. I costi per i ristalli elevati e l’incertezza sulle misure di sostegno che la nuova PAC metterà in campo, spingono gli ingrassatori ad agire con  cautela. Preoccupa la crescente attenzione dei governi sulle proteine animali e sulla loro sostenibilità. Al riguardo, ci potrebbe essere una crescita dei costi, sia per gli investimenti infrastrutturali, che per il confronto con i più stringenti regolamenti governativi.

Si conferma l’ipotesi di un mercato in cui l’offerta di carne bovina sarà nettamente divisa in due linee, in grado di soddisfare tutte le tipologie di consumatori, ovvero quelli che la crisi finanziaria spingerà verso la convenienza di prezzo, e quelli che sempre più attenti e consapevoli dei problemi etici  ed ambientali, sceglieranno prodotti in grado di garantire la qualità, il salutismo e la territorialità. L’evolversi della filiera italiana delle carni bovine dovrà però intercettare e soddisfare soprattutto questa seconda tipologia di consumatore, diventando una filiera più “identitaria”. Andrà rivalutato il consumo di un prodotto che sta gradualmente perdendo appeal proprio per la scarsa riconoscibilità che ne comporta spesso un allineamento sulla scarsa qualità.

Foto: Pixabay