I casi di Peste suina africana (PSA) rilevati tra i cinghiali in un’area compresa tra Piemonte e Liguria hanno destato allarme per un potenziale contagio alla popolazione suina. Sebbene non sia stata comunicata alcuna infezione, la preoccupazione degli allevatori è molto alta. Il rischio è che un segmento essenziale della zootecnia italiana possa essere colpito da una malattia infettiva molto contagiosa e con tassi di mortalità anche del 100%. Le autorità e gli organi competenti stanno monitorando la situazione e si sono adottati i primi provvedimenti di contrasto. Ne parliamo con Francesco Feliziani, responsabile del Laboratorio Nazionale di Riferimento per lo studio dei Pestivirus e degli Asfivirus presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale dell’Umbria e delle Marche.
Qual è il livello di rischio su tutto il territorio nazionale e, allo stato attuale, è possibile immaginare un’evoluzione del contagio?
Fino allo scorso 19 gennaio il Centro di Referenza Nazionale ha confermato 14 cinghiali positivi, tutti rinvenuti nei territori delle province di Alessandria e Genova, ma pensiamo sia solo la punta dell’iceberg. In seguito alla notifica di un caso primario nel selvatico, è prevista l’attuazione di misure di emergenza, in primis la delimitazione della zona infetta. In questa fase è importante effettuare la ricerca attiva delle carcasse all’interno e, soprattutto, ai confini della zona infetta. Questa attività ha il duplice scopo di ridurre la presenza del virus nell’ambiente e di individuare con maggiore precisione l’area interessata dalla diffusione della malattia. Ad oggi è difficile fare previsioni. Sicuramente, le regioni confinanti con la zona infetta hanno già innalzato il livello di allerta, ma è opportuno porre particolare attenzione alle attività di sorveglianza passiva sull’intero territorio nazionale.
Anche se la PSA non colpisce l’uomo, questi può essere un veicolo di trasmissione del virus. Cosa prevede a proposito del cosiddetto “fattore umano” il Piano di sorveglianza e prevenzione in Italia 2021 per la Peste suina africana?
La possibilità che il virus viaggi con l’uomo, purtroppo, è stata confermata in diverse occasioni: è stato troppo spesso dimostrato che l’ingresso della malattia in un territorio precedentemente indenne è dipeso proprio da attività umane. La trasmissione indiretta del virus, infatti, può avvenire con l’esposizione, da parte di animali sensibili, di materiali contaminati come ad esempio rifiuti alimentari, scarti di cucina, oppure tramite il contatto con oggetti come attrezzature, veicoli e abbigliamento. Il rischio di introduzione del virus tramite il fattore umano è elevato, ma imprevedibile, e proprio per questo motivo il Piano dispone misure di prevenzione e sorveglianza da attuarsi sull’intero territorio nazionale. Devo aggiungere che, con ogni probabilità, anche l’introduzione dei casi attualmente registrati in Piemonte e Liguria è riconducibile al fattore umano che è in grado di trasportare l’infezione ad enormi distanze.
Come insegna il caso della Cina, alle prese con un’epidemia di PSA dal 2018, l’impatto economico della malattia potrebbe essere davvero rilevante. In che modo possono essere difesi gli allevamenti di suini?
In mancanza di un vaccino sicuro ed efficace, l’unico strumento di prevenzione a disposizione degli allevatori è la biosicurezza. È indispensabile attivare idonee misure che scongiurino il rischio di introduzione del virus in allevamento, identificando e controllando le possibili vie di ingresso (contatto con selvatici, vettori meccanici, uso di scarti di cucina per l’alimentazione dei suini domestici). Questa azione può risultare più difficilmente attuabile negli allevamenti di minore consistenza e negli allevamenti familiari, tuttavia ad oggi è il più efficace investimento che un allevatore possa sostenere per migliorare lo stato sanitario dei propri animali.
Un’ordinanza congiunta dei ministri della Salute e delle Politiche agricole ha vietato la caccia nella zona del Nord Ovest interessata dalla malattia. Quali altre misure potrebbero essere adottate, con riferimento alla fauna selvatica, per controllare più efficacemente la diffusione della Peste suina?
Nella situazione epidemiologica attuale, il divieto di caccia e, in generale, di tutte le attività che arrechino disturbo ai cinghiali nel loro ambiente naturale, permette di evitare che animali potenzialmente infetti si disperdano ulteriormente nell’ambiente. Vietare le attività venatorie e le altre attività legate alla frequentazione dell’area infetta è opportuno anche per motivi di biosicurezza: è possibile veicolare il virus anche semplicemente contaminando le scarpe o le ruote dei veicoli.In tempo di pace, i tre ministeri interessati alla problematica (ministero della Salute, ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ministero della Transizione ecologica) hanno stilato un documento di indirizzo tecnico, pensato come uno strumento a supporto di Regioni e Province Autonome nella redazione e/o aggiornamento dei singoli Piani regionali di gestione del cinghiale, allo scopo di migliorare gli aspetti correlati alla preparedness in funzione dell’aumentato rischio di introduzione del virus della PSA in Italia. Nello stesso Piano di Sorveglianza Nazionale si dispone che le autorità competenti implementino idonee misure di gestione della popolazione dei cinghiali ai fini del suo contenimento; questa attività, che deve essere adeguatamente programmata e condotta in maniera adeguata, richiede una forte collaborazione tra diverse istituzioni.
Un vaccino anti-PSA non è disponibile. A che punto è la ricerca farmacologica in materia di prevenzione e trattamenti?
La produzione di un vaccino sicuro ed efficace rappresenta una notevole sfida per numerosi gruppi di ricerca che, in tutto il mondo, stanno lavorando su questo aspetto. Lo stesso Centro di Referenza Nazionale è coinvolto in un progetto di ricerca europeo sotto l’egida del programma Horizon 2020. Il consorzio sta lavorando alacremente per testare alcuni prototipi vaccinali con l’obiettivo di trovare un presidio efficace da impiegare con sicurezza nella pratica zootecnica. In generale, la complessità del genoma virale e la mancata conoscenza di tutti i meccanismi immunologici sono comunque aspetti che dovranno essere ancora approfonditi nel breve-medio periodo.
Un commissario per l’emergenza. L’11 febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge per contrastare la diffusione della PSA. In particolare è previsto che le Regioni predispongano, entro trenta giorni, un piano di interventi urgenti per la gestione, il controllo e l’eradicazione della PSA in cinghiali e suini da allevamento e la nomina di un Commissario straordinario per coordinare le azioni di prevenzione, come richiesto anche dai Presidenti di Regione di Liguria e Piemonte, Toti e Cirio. Il nome prescelto dovrebbe essere quello di Angelo Ferrari, direttore dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. |
di Vito Miraglia
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