Dall’aumento del 30% dei costi per produrre il grano per la pasta ai rincari del 12% per quelli dell’olio extravergine d’oliva, fino ai ritardi negli accordi di filiera sul prezzo del pomodoro. Il caro energia arriva sulle tavole degli italiani e mette a rischio anche il piatto simbolo della cucina tricolore e della Dieta Mediterranea come gli spaghetti, olio e pomodoro. A lanciare l’allarme è la Coldiretti in merito agli effetti del caro bolletta sul settore agroalimentare che complessivamente assorbono oltre il 11% dei consumi energetici industriali totali per circa 13,3 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (Mtep) all’anno.
«La pandemia ha forzatamente cambiato lo scenario economico e sociale del nostro Paese, oltre che le dinamiche e gli equilibri che caratterizzavano il mercato mondiale», spiega Fabio Del Bravo, responsabile della Direzione Servizi Rurali di Ismea. «È quindi innegabile che ci siano strascichi anche in un settore anticiclico come l’agricoltura, con conseguenze sullo stato di salute delle principali filiere e sul settore zootecnico». Se da un lato la ripresa della domanda globale, seguita all’allentamento delle misure anti-Covid, con la conseguente ripresa delle esportazioni e la riapertura del food service, hanno fatto registrare, nel 2021, un incremento medio dell’indice Ismea dei prezzi all’origine dei prodotti zootecnici pari al 6,3%, dall’altro la spinta inflazionistica sui prezzi degli input produttivi come mangimi, fertilizzanti e prodotti energetici, ha avuto conseguenze dirette soprattutto sui settori per i quale esiste una notevole dipendenza dall’estero, come la carne e il latte. «Infatti, riguardo il mercato delle materie prime agricole a uso zootecnico, – prosegue Del Bravo – permane un clima di incertezza, soprattutto in merito al livello delle scorte globali di mais detenute dai principali Paesi esportatori che, seppure in aumento su base annua, rimangono su livelli decisamente inferiori ai valori medi dell’ultimo quinquennio generando stress al mercato».
Il balzo dei beni energetici oltre a spingere l’inflazione si trasferisce a valanga sui bilanci delle imprese agricole strozzate da aumenti dei costi non compensati da prezzi di vendita adeguati. I dati Istat relativi all’intero 2021 evidenziano un aumento dei prezzi alimentari pari ad appena lo 0,6%, molto meno della metà dell’inflazione che è salita a 1,9%. Tuttavia, secondo l’Unione europea delle cooperative (Uecoop) la corsa dei beni energetici, dai carburanti alle bollette, frena quasi 2 imprese su 3 (72%) con il boom dei costi per trasporti, riscaldamento, illuminazione e servizi che pesa sulla ripresa economica del sistema produttivo nazionale.
La situazione degli allevamenti nazionali proprio per questo si presenta critica, non solo sul fronte dei ricavi, ma anche e soprattutto sul fronte dei costi di produzione. I listini degli alimenti zootecnici, mais e soia in primis, sotto la spinta inflazionistica sono cresciuti sensibilmente a partire dall’inizio del 2021, arrivando a toccare negli ultimi mesi dell’anno i livelli più alti rilevati dall’Ismea a partire dal 1993. In particolare, i prezzi del mais a uso zootecnico sono passati da 187,57 €/ton di dicembre 2020 a 278,33€/ton di dicembre 2021 (+48,4%), mentre per la soia sono passati, nello stesso riferimento temporale, da 435,71 €/ton a 601,95 €/ton (+38,2%).
I prodotti lattiero caseari, sotto la spinta del buon andamento delle esportazioni che hanno ripreso vigore con le progressive riaperture post-Covid e la rimozione dei dazi negli Stati Uniti, hanno registrato una dinamica positiva dei prezzi nel 2021 (indice Ismea +6,4%, in linea con la media dell’intera zootecnia). Tuttavia, a fronte delle variazioni anche a due cifre registrate per i prezzi dei principali prodotti trasformati, nel 2021 il prezzo del latte alla stalla si è mediamente attestato a 38 €/100 litri (esclusi premi), evidenziando un recupero (+3,6%, pari a circa 1,30 €/100 litri) non in grado di compensare il significativo aumento dei costi della razione alimentare delle bovine. La dinamica alla stalla ha risentito, inoltre, della crescita della produzione nazionale di latte, che nel 2021 potrebbe aver superato i 13 milioni di tonnellate spingendo l’Italia verso l’autosufficienza che potrebbe essere raggiunta nell’arco dei prossimi quattro-cinque anni. Il mercato nazionale delle carni bovine, secondo le analisi di Ismea, ha evidenziato nel 2021 prezzi in netto rialzo, soprattutto nell’ultimo trimestre, anche in conseguenza di un’offerta estera meno pressante. Pertanto, a fronte di un’offerta nazionale sostanzialmente stabile, per gli allevatori si è osservata un’erosione della redditività, in conseguenza della crescita delle quotazioni delle materie prime utilizzate per l’alimentazione degli animali e dei ristalli cresciuti più velocemente dei prezzi di vendita.
Commenta Fabio Del Bravo: «Se i prezzi nazionali in allevamento hanno mostrato una buona ripresa nella seconda metà dell’anno, consentendo agli allevatori di recuperare parte delle maggiori spese sostenute per l’acquisto di materie prime, di contro i costi per i ristalli elevati e l’incertezza sulle misure di sostegno che la nuova PAC introdurrà, hanno spinto gli ingrassatori ad agire con cautela, limitando le operazioni di ristallo, malgrado le aspettative positive sul mercato dei prossimi mesi». Nello scenario che si va così delineando «permane l’ipotesi di un mercato in cui l’offerta di carne bovina sarà nettamente differenziata su due diverse linee, – prosegue il responsabile della Direzione Servizi Rurali di Ismea -, in grado di rispondere alle richieste divergenti dei consumatori. Da una parte la ricerca della convenienza di prezzo, dall’altra maggiore attenzione ai prodotti di qualità, al salutismo e alla territorialità. In quest’ottica è importante che la filiera italiana delle carni bovine riesca ad intercettare e soddisfare soprattutto questa seconda tipologia di consumatore, diventando così una filiera più “identitaria”».
di Anna Roma
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