di Elisabetta Bernardi – Biologa nutrizionista – Componente CSI Assalzoo
Chissà se dovremo dire addio alle fattorie, alle mucche al pascolo e ai paesaggi rurali! C’è l’ipotesi, infatti, che i nostri nipoti non vedranno la campagna come la possiamo vedere noi ora. Che non possano contare su allevamenti tradizionali, innovativi o intensivi che garantiscono oggi bistecche, alette di pollo, costolette e altri alimenti di origine animale che sono stati per millenni protagonisti delle nostre tradizioni gastronomiche e che hanno garantito la completezza nutrizionale della dieta. Beh, forse la carne coltivata riuscirà a fornire i nutrienti base, ma siamo sicuri che il suo costo ecologico sia veramente inferiore?
Sostenibilità delle proteine animali per la nutrizione umana
Cominciamo dall’inizio. È stato scritto migliaia di volte, ma vale la pena di ricordare brevemente che si prevede che la popolazione mondiale, oggi a 7,9 miliardi, supererà i 9 miliardi entro il 2050. Con tale crescita della popolazione, avremo bisogno di un apporto proteico in grado di soddisfarne la maggiore domanda. Sebbene le fonti proteiche di origine vegetale siano ampiamente disponibili, la carne è un’importante fonte di proteine di alta qualità, per gran parte della popolazione mondiale. Inoltre, in particolare la carne rossa, contribuisce in modo significativo all’assunzione di un’ampia gamma di micronutrienti, tra cui ferro, zinco, selenio, vitamina D e vitamina B12. Sebbene alcuni, ma non tutti, di questi nutrienti possano essere forniti in quantità sufficienti dal consumo calibrato di alimenti di origine vegetale, in molti Paesi in via di sviluppo, dove la disponibilità di tali alimenti è generalmente limitata, l’accesso alla carne protegge dalla malnutrizione e migliora lo sviluppo cognitivo del bambino[i].
I sistemi zootecnici hanno in realtà già cominciato ad affrontare la questione della sicurezza alimentare e nutrizionale globale e l’allevamento dovrà continuare a garantire una maggiore produzione di carne, latte e uova di qualità e a prezzi accessibili, attraverso sistemi di produzione rispettosi dell’ambiente, socialmente responsabili e economicamente sostenibili[ii]. Nonostante l’ampia gamma di servizi economici, ambientali, culturali e sociali a livello locale, regionale e globale forniti dall’allevamento animale[iii], una quota significativa del bestiame viene oggi allevata nell’ambito del modello di allevamento intensivo. Anche se l’agricoltura intensiva contribuisce in misura minore all’emissione dei gas serra e all’utilizzo di acqua rispetto all’agricoltura estensiva, generalmente si concentra principalmente sull’efficienza (cioè quantità di latte o carne prodotta) piuttosto che su l’interazione con l’ambiente, il cambiamento climatico, il minor uso di antibiotici, il benessere degli animali o la sostenibilità2.
Inoltre è stato recentemente valutato da Poore e Nemecek[iv], autori dello studio forse più completo fino ad oggi realizzato sull’impatto ambientale delle scelte alimentari, che i prodotti animali sotto forma di carne, acquacoltura, uova e latticini utilizzano circa l’83% dei terreni agricoli del mondo e contribuiscono per circa il 57% alle diverse emissioni degli alimenti, fornendo solo il 37% delle proteine e il 18% delle calorie. Anche se l’impatto della produzione di prodotti animali può variare notevolmente, a seconda del metodo di produzione, il tema ecologico ha fatto decollare la ricerca nel settore della carne coltivata. Negli ultimi anni alcune persone con eccezionali disponibilità di mezzi economici hanno investito centinaia di milioni di dollari nella ricerca sulla carne coltivata, portando clamore e notizie senza limiti su una rivoluzione agricola che, promettono, potrebbe aggirare i problemi ambientali e di benessere degli animali della produzione di carne convenzionale. Una stima della società di consulenza Kearney di Chicago, Illinois, suggerisce che il 35% di tutta la carne consumata a livello globale entro il 2040 sarà coltivata, un cambiamento che, prevedono, ridurrà le emissioni di gas serra e l’uso di antibiotici[v].
Il processo di produzione della carne coltivata
L’idea di produrre carne in vitro è stata a lungo sostenuta da scienziati, politici e artisti e sta diventando una realtà tecnica, poiché la carne coltivata ha già iniziato a essere commercializzata. L’obiettivo delle start-up, multinazionali e ricchi sostenitori della carne coltivata è quello di risolvere i problemi legati all’allevamento intensivo sperando di aggirare alcune delle sue conseguenze indesiderabili. Del resto le organizzazioni internazionali sul cambiamento climatico hanno sostenuto la necessità di ridurre sostanzialmente il nostro consumo di prodotti animali convenzionali per limitare gli effetti sul cambiamento climatico, ma non sembra che la maggior parte dei consumatori sia disposta a farlo. Sfruttare il potenziale delle cellule staminali di moltiplicarsi e formare muscoli scheletrici e tessuto adiposo potrebbe portare a una notevole riduzione della quantità di bestiame necessaria per produrre carne. Inoltre potrebbero in futuro esserci dei vantaggi in termini di sostenibilità, benessere animale e salute pubblica[vi]. Ma ci sono delle questioni sul metodo produttivo ancora da risolvere.
Innanzitutto, il primo passaggio nella produzione è l’approvvigionamento delle cellule, che può essere ottenuto in due modi. Il primo e più comune modo è eseguire una biopsia tissutale o utilizzare tessuti post mortem dalla porzione desiderata delle specie animali di interesse, note come fonti cellulari primarie. La seconda opzione consiste nell’utilizzare una fonte di cellule pluripotenti, come le cellule staminali embrionali (ESC) o le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC)[vii]. Quindi, primo problema… nella maggior parte dei casi si estraggono cellule da animali vivi.
In teoria, queste cellule possono essere ottenute da qualsiasi specie, ma le specifiche del processo produttivo sono diverse per ciascuna. Finora, i ricercatori hanno sviluppato la tecnologia per cellule di bovini, suini, tacchini, polli, anatre e pesci. Le cellule vengono coltivate in un bioreattore sotto stretto controllo dei fattori ambientali. Durante la prima fase, la fase di proliferazione, le cellule si moltiplicano fino a raggiungere la concentrazione desiderata. Il secondo passaggio inizia con la differenziazione delle cellule in cellule muscolari. Dopo la differenziazione, iniziano a fondersi e formare dei miotubi che continuano a crescere e a formare il tessuto muscolare scheletrico, se vengono fornite le giuste condizioni. La struttura del prodotto a base di carne dipende dalla lunghezza e dalle condizioni del processo produttivo. Nelle prime fasi della differenziazione, la coltura cellulare è costituita da filamenti cellulari minuscoli e morbidi che richiedono stimolazione elettrica o meccanica per aumentare la produzione di proteine, migliorare la struttura e produrre pezzi di carne più grandi[viii].
Veniamo ora al secondo problema. Le cellule si dividono e proliferano se coltivate in un mezzo di coltura appropriato, che fornisce nutrienti, ormoni e fattori di crescita. Attualmente, le cellule di molte specie marine e agricole rilevanti come salmone, pollo e bovino vengono coltivate in siero fetale bovino (FBS) poiché fornisce alle cellule nutrimento e altri fattori che accelerano i tassi di crescita. Potrebbe essere pensata come una contraddizione utilizzare un siero ottenuto dal sangue di un vitello morto. Inoltre, è molto costoso e incide in larga misura sul costo di produzione della carne. Si stima attualmente rappresenti dal 55% fino a oltre il 95% dei costi del prodotto. Per produrre carne coltivata su larga scala, i terreni devono essere molto più economici, adatti per una crescita e differenziazione efficienti di tipi cellulari specifici e privi di qualsiasi materiale di origine animale. E questo è uno degli obiettivi principali delle start-up: trovare un mezzo più economico derivato da ingredienti vegetali ed efficiente come il siero fetale bovino. E a quanto pare, questo problema in un futuro non troppo lontano dovrebbe essere risolto, anche su scala industriale. Attualmente oltre all’FBS, si utilizzano comunemente antibiotici e fungicidi per evitare la contaminazione delle colture cellulari e poiché gli animali da fattoria, come tutti i mammiferi compreso l’uomo, producono naturalmente ormoni e fattori di crescita per sostenere la propria crescita, la coltura cellulare utilizza ormoni e fattori di crescita. E come si può garantire che nessuno di essi abbia effetti negativi sulla salute umana a breve e lungo termine? Questa è una questione importante poiché per esempio i promotori della crescita ormonale sono vietati nei sistemi di allevamento per la produzione di carne convenzionale nell’Unione Europea (a differenza di altre parti del mondo)2.
La percezione dei consumatori
Fino ad ora quello che si produce più facilmente è una sorta di carne macinata. In teoria, potrebbe anche essere possibile generare una struttura simile a una bistecca, ma ciò richiederebbe un sistema vascolare per fornire nutrienti al tessuto7. Ci si sta avvicinando a una fettina grazie alla stampa 3D. La carne coltivata stampata in 3D si è evoluta negli ultimi mesi e un’azienda israeliana ha stampato con successo in 3D una struttura con cellule muscolari e di grasso di manzo grazie anche a leganti biologici commestibili. La tecnologia della carne coltivata stampata in 3D offre vantaggi nella percezione dei consumatori, che attualmente sono il vero grande ostacolo alla sua diffusione. Alcuni autori[ix] hanno condotto un sondaggio su Internet in dieci Paesi (Australia, Cina, Inghilterra, Francia, Germania, Messico, Sud Africa, Spagna, Svezia e Stati Uniti) con un campione totale di 6128 partecipanti. I risultati suggeriscono che ci sono grandi differenze culturali per quanto riguarda l’accettazione della carne coltivata e che la percezione di poca naturalezza e di disgusto evocati dalla carne coltivata sono fattori importanti ricorrenti nella difficoltà di accettazione di questa nuova tecnologia alimentare in tutti Paesi. Gli autori indicano che per aumentare l’accettazione della carne coltivata è necessario sottolineare la sua somiglianza con la carne tradizionale piuttosto che spiegare la tecnica di produzione, che può evocare associazioni di innaturalità e disgusto. La carne coltivata è più accettabile per le persone che la conoscono o solo dopo che siano state informate dei benefici della carne coltivata per l’ambiente e la salute. Le preoccupazioni dei consumatori si concentrano sulla sicurezza, sull’innaturalità, sul gusto e sul prezzo[x]. Il prezzo cala di giorno in giorno. Se il primo hamburger è costato una cifra oscillante fra i 250 mila e i 290 mila euro, una nota società di produzione israeliana prevede di presentare i suoi prodotti ai clienti entro il 2022, con una nuova struttura che può produrre 500 kg di prodotti a base di carne coltivata al giorno, che equivalgono a 5.000 hamburger. Qui i costi di produzione su piccola scala per 450g di pollo e manzo erano rispettivamente di € 130 e € 174 nel 2019. Il nuovo impianto può ridurre entro il 2022 il costo di produzione a meno di € 9, quindi circa 20 euro al kg.
Effetti sulla salute della carne coltivata
Sebbene i dati non siano ancora noti, alcuni autori2 hanno ipotizzato i potenziali benefici per la salute e gli svantaggi della carne coltivata. I sostenitori della carne in vitro affermano che è più sicura della carne convenzionale, in base al fatto che la carne allevata in laboratorio viene prodotta in un ambiente completamente controllato. Si escludono inoltre le rare, ma potenziali contaminazioni al momento della macellazione, perché le cellule muscolari in coltura non verranno a contatto con agenti patogeni intestinali come Escherichia coli, Salmonella o Campylobacter (10), tre agenti patogeni responsabili di numerosi episodi di malattia ogni anno. Tuttavia, possiamo sostenere che scienziati o produttori non sono mai in grado di controllare tutto e qualsiasi errore o svista può avere conseguenze drammatiche. Ad esempio, dato il gran numero di moltiplicazioni cellulari in atto, è probabile che si verifichi una disregolazione delle linee cellulari come accade nelle cellule tumorali, sebbene si possa immaginare che le linee cellulari disregolate possano essere eliminate per la produzione o il consumo. Se ciò non avvenisse si potrebbe pensare a potenziali effetti sconosciuti sulla struttura muscolare, sul metabolismo e sulla salute umana.
Inoltre, è stato suggerito che il contenuto nutrizionale della carne allevata può essere controllato regolando per esempio i tipi di grasso utilizzati nel mezzo di produzione. Infatti, il rapporto tra acidi grassi saturi e acidi grassi polinsaturi può essere facilmente controllato. I grassi saturi possono essere sostituiti da altri tipi di grassi, come gli omega-3, ma sono state sviluppate nuove strategie per aumentare il contenuto di acidi grassi omega-3 anche nella carne tradizionale. Inoltre, non è stata sviluppata alcuna strategia per dotare la carne coltivata di alcuni micronutrienti specifici dei prodotti animali come la vitamina B12 e il ferro, nutrienti fondamentali dei quali la carne è la fonte più importante. Non si può escludere quindi una riduzione dei benefici per la salute e della completezza nutrizionale della carne coltivata.
Effetti sull’ambiente della carne coltivata[xi]
I sistemi di produzione del bestiame sono associati a una serie di emissioni di gas a effetto serra e hanno contribuito in modo significativo al cambiamento climatico antropogenico. In generale, il bestiame provoca emissioni di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O). Ulteriori gas serra associati alla produzione animale, ma non direttamente emessi, includono il protossido di azoto derivato dall’applicazione di fertilizzanti per coltivare i mangimi, le emissioni di anidride carbonica (CO2) dalla conversione di terreni per pascoli o produzione di mangimi e per le emissioni risultanti dalla generazione di energia basata su combustibili fossili, ad esempio nei carburanti dei trattori o nella produzione di fertilizzanti. Sebbene vi sia una gamma molto ampia di emissioni associate a diversi sistemi di produzione animale, è generalmente dimostrato che emettono molto di più per unità di produzione alimentare (ad esempio emissioni per kg di prodotto finale o per kg di proteine) rispetto agli alimenti di origine vegetale e le carni bovine sono tipicamente indicate come uno dei prodotti alimentari ad alta intensità di emissioni. Uno studio ha voluto confrontare in modo rigoroso i potenziali impatti sul clima della produzione di carne e bestiame allevati rispetto alla carne coltivata. Gli impatti sul riscaldamento sono stati valutati utilizzando un semplice modello climatico che simula i diversi comportamenti di anidride carbonica, metano e protossido di azoto, piuttosto che basarsi sulle metriche di anidride carbonica equivalente. Confrontando l’impatto sulla temperatura dei bovini da carne e della produzione di carne coltivata in ogni momento a 1.000 anni nel futuro, utilizzando quattro impronte di gas serra di carne sintetica attualmente disponibili in letteratura e tre diversi sistemi di produzione di carne bovina, gli autori dello studio hanno concluso che l’allevamento bovino è associato alla produzione di tutti e tre i gas a effetto serra sopra citati, comprese quindi emissioni significative di metano, mentre le emissioni di carne coltivata sono quasi interamente rappresentate dalla CO2 generata dall’uso di energia. In condizioni di consumo globale elevato e continuo, la carne coltivata provoca inizialmente un riscaldamento inferiore rispetto al bestiame, ma questo divario si riduce a lungo termine e in alcuni casi la produzione di bestiame provoca un riscaldamento molto inferiore, poiché le emissioni di metano non si accumulano, a differenza della CO2. Quindi gli autori concludono che la carne coltivata non è più ecologica di quella derivata dal bestiame; il suo impatto relativo dipende invece dalla disponibilità di generazione di energia decarbonizzata e dagli specifici sistemi di produzione che vengono realizzati. In pratica diventerà sicuramente più ecologica quando l’energia utilizzata per la produzione deriverà per lo più da fonti rinnovabili.
Il consumo di carne è stato a lungo considerato una parte essenziale di una dieta sana, socialmente desiderabile e un indicatore dello sviluppo sociale. Una riduzione del consumo attuale di carne porterebbe a significativi benefici ambientali e forse anche sanitari nei Paesi occidentali. Forse basterebbe investire in politiche educative per aumentare l’aderenza a modelli alimentari come il modello alimentare mediterraneo per riuscire a ridurre gli impatti sul clima e sulla salute della carne. Forse basterebbe una sola piccola parte degli investimenti sulle startup che lavorano sulla carne coltivata, oltre 1,2 miliardi di dollari solo nel 2020, per riuscire a convincere tante persone e non dover così rinunciare ai pascoli.
BIBLIOGRAFIA
[i] Salter AM. The effects of meat consumption on global health. Rev Sci Tech. 2018 Apr;37(1):47-55. doi: 10.20506/rst.37.1.2739. PMID: 30209430.
[ii] Chriki S, Hocquette JF. The Myth of Cultured Meat: A Review. Front Nutr. 2020;7:7. Published 2020 Feb 7. doi:10.3389/fnut.2020.00007
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[v] Dolgin E. Will cell-based meat ever be a dinner staple? Nature. 2020 Dec;588(7837):S64-S67. doi: 10.1038/d41586-020-03448-1. PMID: 33299210.
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[viii] Tuomisto HL. The eco-friendly burger: Could cultured meat improve the environmental sustainability of meat products? EMBO Rep. 2019 Jan; 20 (1)
[ix] Siegrist M, Hartmann C. Perceived naturalness, disgust, trust and food neophobia as predictors of cultured meat acceptance in ten countries. Appetite. 2020 Dec 1;155:104814. doi: 10.1016/j.appet.2020.104814. Epub 2020 Aug 9. PMID: 32783971.
[x] Xin Guan, Qingzi Lei, Qiyang Yan, Xueliang Li, Jingwen Zhou, Guocheng Du, Jian Chen, Trends and ideas in technology, regulation and public acceptance of cultured meat, Future Foods, Volume 3, 2021, 100032, ISSN 2666-8335,
[xi] Lynch J, Pierrehumbert R. Climate impacts of cultured meat and beef cattle. Front Sustain Food Syst. 2019;3:5. doi:10.3389/fsufs.2019.00005
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