Gli allevamenti di ovini in Italia si riducono, ma la produzione di carne rimane stabile. Tra i pochi settori in Italia ad aver beneficiato degli effetti della pandemia che ha frenato le importazioni per le difficoltà nella logistica, il comparto ovicaprino deve fare i conti con problemi strutturali, tra i quali ci sono gli alti costi di produzione, la bassa resa al macello per capo e una forte stagionalità della domanda. A renderlo noto è il nuovo report Ismea che ha analizzato tendenze e dinamiche del settore.
Il patrimonio italiano
Prosegue anche nel 2021 il lento processo di contrazione del patrimonio ovino (-1,8%). In 5 anni si sono persi 257 mila capi con la chiusura di 9.745 allevamenti, pari al 6,7% del totale.
Secondo i dati del censimento dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica al 31 dicembre 2021 sul territorio nazionale risultano presenti circa 7,4 milioni di capi, di cui poco più di un milione di caprini e circa 6,4 milioni di ovini. A livello territoriale, quasi i due terzi del patrimonio si localizza in quattro regioni con un’elevata concentrazione nelle Isole, dove si trovano oltre la metà dei capi censiti a livello nazionale.
In Sardegna si alleva quasi la metà del patrimonio ovino nazionale (47%); a seguire la Sicilia, con il 12% dei capi e, poi Lazio e Toscana (rispettivamente 9% e 5%). La filiera ovicaprina si caratterizza per l’elevato numero di operatori nella fase agricola e da una dinamica strutturale orientata a una costante diminuzione degli allevamenti, confermato anche nel 2021, a causa del progressivo abbandono dell’attività da parte di aziende di ridotte dimensioni e meno competitive.
Le dinamiche negative delle attività di allevamento interessano soprattutto alcune regioni del Centro Italia, per le quali l’incidenza economica della filiera sul valore della produzione agricola regionale (PPB) è superiore alla media nazionale (0,4%) e dove gli impatti negativi di questo progressivo processo di abbandono potrebbero essere più significativi soprattutto sul fronte ambientale e sociale (p.e. Basilicata -22,8% il numero di allevamenti in 5 anni e Molise -17% nello stesso periodo).
Situazione produttiva in Italia
La produzione di carne nel 2021 è risultata in aumento del 5% circa rispetto all’anno precedente, con un incremento della stessa entità dei capi avviati al macello. Tale incremento è da ascriversi esclusivamente alle movimentazioni avvenute nel periodo pasquale, che nel solo mese di marzo hanno interessato oltre 750 mila capi, raggiungendo i livelli massimi del triennio. I dati della Pasqua 2022 non sono ancora ufficiali; quindi, è presto per fare un bilancio, ma a detta degli operatori si è verificata una contrazione dell’offerta in parte determinata dalla stagione avanzata dei parti delle pecore (cosiddetta “Pasqua alta”). Ciò avrebbe favorito un mercato pasquale del bestiame e delle carni ovicaprine decisamente favorevole, sia per la fase produttiva che per quella commerciale.
Andamento dei prezzi
I prezzi all’origine degli agnelli nelle settimane precedenti la Pasqua 2022 sono progressivamente aumentati raggiungendo la quotazione massima di 5,80 sulla piazza di Siena (categoria kg 8-12), risultando mediamente e sensibilmente superiori rispetto alla stessa fase della campagna precedente, che comunque risentiva ancora delle misure di contenimento della pandemia. Tuttavia, i prezzi elevati della campagna pasquale 2022 vanno analizzati anche alla luce della particolare situazione attuale.
I prezzi in allevamento per gli agnelli sono decisamente in salita; si tratta di una dinamica che origina da lontano ma che negli ultimi mesi ha visto un balzo notevole a causa delle note vicende legate all’aumento di carburanti e materie prime per mangimi. Per questi ultimi, i rincari derivano da una somma di effetti quali: la siccità 2021 con scorte limitate e, quindi, particolarmente costose, gli aumenti esponenziali di costi per i trasporti, i riflessi della guerra Russia–Ucraina la cui effettiva ricaduta si sta probabilmente vedendo solo in parte.
I prezzi delle carni ovine hanno raggiunto ad aprile 2022 il picco massimo degli ultimi 5 anni arrivando a toccare i 5.65 €/Kg, mettendo a segno uno spread rispetto alla media delle tre pasque precedenti del 39%.
Acquisti domestici
In flessione, ormai strutturale, i consumi di carni ovicaprine che anche nel 2021 confermano la dinamica negativa (-3,4% per i volumi, -12% per la spesa) che si protrae anche nel 2022, poiché i volumi esitati nel canale retail nei primi tre mesi sono stati inferiori a quelli dei due anni precedenti quando la chiusura della ristorazione aveva costretto a maggiori consumi tra le mura domestiche.
Contesto globale ed europeo
All’inizio del 2022, la produzione di carne ovina è risultata in significativo aumento in Grecia (+6%), Spagna (+11%), Irlanda (+7,5%) e Italia (+11%). Questo aumento all’inizio dell’anno potrebbe indicare un cambiamento nei pesi dei capi al macello, con un numero maggiore di allevatori che hanno scelto di passare all’agnello pesante.
La produzione media di carne di capra nell’UE è aumentata significativamente a gennaio a causa principalmente dei picchi di macellazione verificatisi in Spagna, Paesi Bassi e Cipro. Tuttavia, la produzione in Grecia e Francia è stata più limitata a causa dei prezzi favorevoli del latte di capra.
Le importazioni dell’UE27 sono aumentate nei primi due mesi del 2022, soprattutto dalla Nuova Zelanda e dall’Australia. La domanda comunitaria è rimasta stabile con prezzi in aumento della carne ovina, grazie all’apertura graduale dei servizi di ristorazione che hanno rafforzato la tendenza al rialzo. Notevoli incrementi delle esportazioni si sono registrati nel periodo precedente il Ramadan (1° aprile -1° maggio 2022) e la Pasqua cristiana (17 aprile 2022)
Commercio estero
Per il terzo anno consecutivo le importazioni di ovini vivi risultano in contrazione (-11,4% tra il 2021 e il 2020, portando al -34% la tendenza nel quinquennio). L’Ungheria rimane il principale fornitore di capi vivi con una quota del 42%. Sul fronte delle importazioni di carne il 2021 ha segnato, invece, un incremento del 4,5% dopo l’importante flessione del 2020 (-21,3%). Nell’arco del quinquennio i volumi importati sono comunque in contrazione del 7%.
Prospettive
Una delle poche opportunità create dalla pandemia è che ora la logistica ha costi tali da rendere meno convenienti le importazioni di agnelli e/o carni dall’estero con una predilezione maggiore per il mercato nazionale. Detto ciò, sebbene alcune situazioni congiunturali di mercato abbiano determinato picchi di prezzo di notevole entità, il settore ovicaprino mantiene le sue criticità strutturali: alti costi di produzione, anche legati alla bassa e discontinua disponibilità di pascoli e di foraggi, per questioni sempre più legate ai cambiamenti climatici; bassa resa al macello per capo; forte stagionalità della domanda concentrata nel periodo natalizio e pasquale; bassa propensione media all’innovazione di prodotto; difficoltà di ingresso in nuovi mercati emergenti.
In generale, le prospettive di breve periodo portano a ipotizzare una produzione di carne stabile grazie al miglioramento dei prezzi per i produttori, ai sostegni economici, alla presenza di consumatori sempre più attenti e sensibili alle produzioni territoriali e/o certificate (IGP), oltre che a una dieta più diversificata riguardo al consumo di carni.
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