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Definire un piano strategia per l’agroalimentare per assorbire le incertezze dello scenario internazionale, di oggi e di domani

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Da oltre due anni l’economia sta subendo gli effetti di sconvolgimenti esterni di portata internazionale, prima, con la pandemia da Covid-19 prima ed ora, con la guerra in Ucraina. In particolare, con l’apertura del conflitto bellico è emersa in modo chiaro la grande fragilità cui sono sottoposti gli approvvigionamenti alimentari e quanto sia concreto il rischio di una crisi alimentare mondiale, più di quanto non si fosse avvertito sotto la pandemia. E anche le conseguenze sulla “economia reale” di questa instabilità sono percepite con chiarezza dal consumatore finale, in modo più netto rispetto al biennio scorso. Secondo l’ultima rilevazione su inflazione e consumi agroalimentari di Ismea, infatti, più del 60% degli intervistati pensa che l’inflazione aumenterà ancora fra il 3% e il 10% nei prossimi tre mesi. La causa più diretta è l’aumento dei prezzi delle materie prime, il caro-bolletta, l’aumento delle materie prime energetiche, le ripercussioni del conflitto nell’area del Mar Nero. Una situazione che sta avendo ripercussioni immediate sugli operatori di tutto il settore primario, costretti a fare i conti con i rincari delle materie prime e di tutti gli altri input, con il costante pericolo di interruzioni sulle catene di approvvigionamento, di blocchi del commercio internazionale, di scarsa fluidità del mercato, e con le ricadute delle sanzioni contro la Russia. Ulteriori segnali di preoccupazione – fa sapere sempre Ismea – arrivano anche dai dati sull’andamento di mercato delle principali materie prime agricole che hanno fatto segnare nuovi rincari, dal grano duro e tenero alla soia, che ha superato il record di 700 euro/t non tanto per gli effetti della guerra, quanto per il calo di raccolti e della consistenza delle scorte nell’ultima campagna. Per il mais, invece, se il dato mensile sui prezzi è in leggera flessione, l’aumento su base annua è impietoso, vicino al 60%.

Il mais è una materia prima di cui, a causa del drastico calo della coltivazione interna, l’Italia è costretta ad importare quantità molto elevate dall’estero – il 50% del proprio fabbisogno – e che nell’immediato potrebbe essere costretta ad acquistare ancora più massicciamente se, come sembra, calasse ancora la produzione interna e se si verificasse un altro paradosso tutto italiano, ovvero, il cambio di destinazione dei sottoprodotti agroalimentari dai mangimifici ai biodigestori. La legge di conversione del Decreto-Legge n. 17 del 2022 ha, infatti, previsto l’incentivazione dell’uso degli “scarti” provenienti dalla lavorazione e dalla trasformazione di diverse commodities alimentari per produrre biogas e biometano. Il provvedimento, che nasce con l’intenzione di contrastare la crisi energetica in corso, rischia però di creare una competizione tra industria mangimistica e settore energetico che potrebbe ripercuotersi negativamente sull’approvvigionamento di materie prime agricole per l’alimentazione zootecnica e quindi sulle produzioni alimentari di carni, latte, uova e pesce. Servirebbero infatti più cereali e più semi oleosi per rimpiazzare la grande quantità di sottoprodotti che i mangimisti da tempo impiegano per la produzione di mangimi e che con questa legge si vorrebbero dirottare per riempire i biodigestori. Assalzoo ha preso una posizione chiara contro questa misura e non perché ostile alla transizione energetica o al progressivo affrancamento dalle fonti fossili. Gli aumenti della bolletta elettrica, conseguenti ai rincari del gas, o il caro-gasolio sono questioni che riguardano anche il nostro comparto che, tuttavia, non può essere penalizzato privandolo di importanti materie prime e facendo fare al nostro Paese un salto indietro nel contrasto agli sprechi alimentari e nel realizzare la circolarità all’interno del settore agro-zootecnico-alimentare. Circolarità che fino ad oggi, grazie alla mangimistica, ha invece raggiunto livelli virtuosi nel nostro Paese, ma che ora rischia di essere vanificata.

La dipendenza da Ucraina e Russia per l’approvvigionamento di mais e di prodotti derivati dai semi oleosi (oltre che di grano tenero e fertilizzanti) ha reso la zootecnia uno dei comparti tra i più colpiti dalla crisi in atto. L’esposizione ai mercati internazionali, dovuta al progressivo calo della produzione interna, soprattutto nel settore maidicolo pone l’Italia in una situazione fortemente critica. I dati dell’Istat non lasciano intravedere nulla di positivo per il prossimo futuro. Le previsioni di semina per il 2022 indicano un calo del 4,8% delle superfici investite e la siccità perdurante rischia di ridurre le già precarie rese di produzione realizzate nel nostro Paese.

Il problema di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari si è affermato con forza come uno dei temi più preoccupanti a livello mondiale, per tutti i paesi che, come il nostro, non sono in grado di autoprodurre a sufficienza per il proprio consumo interno. In autunno la situazione potrebbe rivelarsi ancora più grave per la concomitanza di tutti i fattori sopra descritti.

Le misure che si stanno prendendo, anche livello comunitario non appaiono sufficienti e, in alcuni casi, come nel caso dalla riforma della Pac e delle rigide strategie del Green Deal e del Farm to Fork, potrebbero avere effetti addirittura ancor più negativi sulla capacità produttiva, non solo italiana ma europea.

A livello nazionale manca, purtroppo, una “politica agricola nazionale” che abbia come obiettivo principale aumentare il livello di auto-approvvigionamento interno del nostro Paese per affrancarci quanto più possibile dalle importazioni. Sono da apprezzare provvedimenti come le misure per lo sviluppo della filiera agroalimentare e il rifinanziamento del Fondo per la competitività, così come gli incentivi per l’acquisto di gasolio e benzina per la trazione nel settore primario. Ma si tratta di misure assolutamente insufficienti a fare fronte ad una situazione di portata globale i cui effetti sono difficili da prevedere sia in termini quantitativi, sia in termini economici, sia in termini temporali.

Certo, l’opportunità offerta dall’applicazione delle misure previste dal PNRR rappresenta un’occasione da sfruttare appieno, ma è altrettanto necessario che il nostro Paese sia anche capace di disegnare un’efficace politica in grado di rimettere l’agricoltura al centro delle priorità nazionali e di favorire la ripresa di fiducia da parte della produzione primaria, dalla quale dipende la capacità di mantenere nel lungo periodo la sicurezza alimentare ai nostri consumatori.

Per tale ragione è indispensabile garantire un livello di reddito sufficiente ai nostri produttori agricoli, dotandoli degli strumenti necessari a poter affrontare le sfide di produrre meglio e di più in termini sia quantitativi che qualitativi, ma anche di svolgere l’attività sfruttando al meglio le risorse disponibili in chiave di sostenibilità e di contrasto ai cambiamenti climatici che generano eventi sempre più estremi con i quali dovremo essere in gradi di riuscire a convivere.

Raggiungere questi obiettivi è sicuramente possibile, ma occorre mettere a punto un piano nazionale in questa direzione partendo da un forte impulso alla ricerca e all’innovazione in agricoltura. Se vogliamo essere davvero capaci di costruire un futuro prospero al settore agro-zootecnico-alimentare, che significa poi garantire la sicurezza alimentare dei nostri consumatori, bisogna prendere decisioni. Vere decisioni, non mezze scelte, mezze iniziative. Serve un grande piano strategico complessivo.

di Giulio Gavino Usai (Responsabile economico Assalzoo)

foto: @pixabay