Sull’allevamento bovino circolano da anni notizie distorte o non vere. La Federazione dei produttori europei di mangimi (FEFAC) e European Livestock Voice hanno provato a sfatare tre falsi miti.
Quanta acqua per 1 Kg di carne?
Quindicimila litri contro cinquanta. Sono le quantità di acqua, molto diverse tra loro eppure in un certo senso entrambe corrette, necessarie per produrre un chilogrammo di carne bovina. Una differenza di ben 14950 litri. Come è possibile? Perché, semplicemente, sono il risultato di calcoli differenti: mentre la cifra decisamente più contenuta e molto meno diffusa dai mezzi di informazione – i 50 litri di acqua – riguarda il consumo diretto di acqua dolce da parte degli animali da allevamento, i 15 mila litri di acqua – dato sicuramente di grande impatto e molto utilizzato per titoli di giornale di grande effetto – rappresentano invece il totale del consumo di acqua sia diretto che indiretto da parte del bestiame tra cui vengono annoverate anche, ad esempio, le acque piovane.
L’enorme differenza tra le due cifre è stata messa in evidenza da European Livestock Voice – gruppo che riunisce associazioni e federazioni che si occupano di allevamento, alimentazione e salute animale – in un articolo riportato sul sito della Fefac, la Federazione Europea dei produttori di mangimi: secondo European Livestock Voice il 93% dei 15 mila litri d’acqua necessari per la produzione di un kg di carne bovina, ovvero quasi 14 mila litri, proviene dalle piogge.
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Gli allevatori si preoccupano più del profitto che degli animali?
Un allevatore non può avere a cuore più il profitto che il benessere dei propri animali perché – molto semplicemente – la sua azienda avrebbe vita breve. E il discorso vale anche per gli allevamenti di importanti dimensioni.
A sfatare il mito che un allevatore abbia più in conto il proprio guadagno piuttosto che il benessere del bestiame è European Livestock Voice, gruppo che riunisce associazioni e federazioni che si occupano di allevamenti, alimentazione e salute animale, in un articolo riportato sul sito della Fefac, la Federazione Europea dei produttori di mangimi, secondo cui per gli allevatori il benessere degli animali deve essere necessariamente una priorità, poiché senza animali sani e ben curati non può esserci profitto. E questo vale anche per gli allevamenti più grandi: come per qualsiasi azienda, fare soldi è indispensabile per andare avanti, ma l’intensificazione degli allevamenti non consiste nel “saltare le basi” per il benessere degli animali. Anzi, accade piuttosto il contrario: mantenere gli animali in buona salute sulla base di una migliore selezione genetica, della fornitura di mangimi equilibrati e dell’impiego di strumenti di monitoraggio avanzati consente di tenere sotto controllo il loro benessere e allo stesso tempo di massimizzare i redditi.
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Cambiamento climatico: la soluzione è davvero in un mondo senza bestiame?
La risposta è semplice: no, un mondo senza mucche non è la soluzione. I fattori che contribuiscono al cambiamento climatico, e sui quali si dovrebbe intervenire per cercare di correre ai ripari sono diversi, dall’abbandono delle zone rurali, alla perdita della biodiversità, all’inquinamento, fino ad arrivare agli incendi. In un quadro così complesso c’è da chiedersi che ruolo ricopra, in quanto fonte di inquinamento, il metano emesso dalle mucche degli allevamenti, argomento di cui sempre più spesso si dibatte con toni sempre più aspri nel mondo dell’informazione, con le mucche che sembrerebbero essere l’unica causa del cambiamento climatico. Sebbene la questione del riscaldamento globale sia complesso, ciò che è sicuro – spiega European Livestock Voice, gruppo che riunisce associazioni e federazioni che si occupano di allevamenti, alimentazione e salute animale, in un articolo riportato sul sito della Fefac, la Federazione Europea dei produttori di mangimi – è che eliminare del tutto gli allevamenti dal nostro pianeta sarebbe un grande errore, per molti motivi.
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