Il mondo dell’agroalimentare italiano è chiamato ad affrontare molte sfide: dalla ricerca di una rinnovata capacità produttiva primaria ai problemi di approvvigionamento del commercio internazionale, completamente squilibrato a causa della guerra in Ucraina; dalla necessità di affrontare le sfide della sostenibilità, inclusa la nuova declinazione della politica agricola europea, alla competizione sui mercati esteri, che vedono il fenomeno dell’Italian sounding come un persistente elemento di debolezza per la completa valorizzazione dei prodotti del Made in Italy.
Di fronte a queste problematiche, legate peraltro a una congiuntura economica negativa con spinte inflazionistiche, che ci riportano indietro di quasi 40 anni, e un caro-energia di cui non è dato sapere quali potranno essere sviluppi e conseguenze a lungo termine, si aggiunge anche un male prettamente italiano e cioè la persistente ambiguità normativa che – nonostante promesse di riordino e semplificazione – rappresenta un vulnus che mina la competitività delle aziende e le potenzialità di sviluppo dell’agroalimentare italiano.
Da sempre il settore agroalimentare, e il comparto mangimistico in particolare, chiedono alle Istituzioni e alla politica italiana una sburocratizzazione e una semplificazione per garantire certezza e corretta interpretazione dei dispositivi di legge. Servono norme chiare, nette e di facile applicabilità e che siano armonizzate a livello europeo per evitare distorsioni del mercato unico.
L’evoluzione normativa è un atto necessario per adeguare l’ordinamento giuridico ad una realtà in rapido cambiamento, tenendo conto delle esigenze delle attività produttive, della sicurezza delle produzioni, della richiesta del mercato, della tutela dei consumatori, della sostenibilità ambientale e così via. Occorre chiarezza, evitando stratificazioni e sovrapposizioni legislative che non minano la corretta interpretazione applicativa e che, anzi, troppo spesso rappresentano oneri aggiuntivi a carico delle aziende sotto il profilo economico, amministrativo, burocratico. Così si ottiene il risultato opposto a quello desiderato: si ostacola una disciplina ordinata delle attività e si creano barriere formali che costituiscono un forte limite alla competitività.
Nonostante gli appelli e le richieste di semplificazione più volte avanzate dal settore agro-alimentare, e da quello mangimistico in particolare, questo problema si ripresenta puntualmente. Un esempio è l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 198/2021 relativo alle cosiddette “Pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese della filiera agricola e alimentare”, che ha recepito una specifica Direttiva comunitaria sulla materia – la Direttiva (UE) 2019/633 – raccordandola con le precedenti disposizioni nazionali in materia sancite fin dal 2012, con il così detto “Articolo 62”.
Il Decreto in sé è da salutare con favore in via di principio, ma introduce in modo orizzontale per tutto il settore agro-alimentare una serie di vincoli e di procedure contrattuali che si scontrano con le pratiche abituali e gli usi consolidati di molti dei comparti che caratterizzano il variegato universo delle produzioni e del commercio agroalimentare. Si tratta di una normativa che seppure di derivazione comunitaria è stata declinata a livello nazionale introducendo meccanismi rigidi che sta causando notevoli dubbi interpretativi, a fronte del rischio di pesantissime sanzioni a carico dei trasgressori. Ancora oggi – a distanza di 8 mesi dall’entrata in vigore del Decreto – si attendono chiarimenti da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che attraverso l’ICQRF (Ispettorato Centrale Qualità e Repressione Frodi) ha l’onere di effettuare i controlli sulla corretta applicazione di questa complessa normativa.
Ma non si tratta certo di un caso isolato. Tra gli esempi di una normativa spesso schizofrenica e che sembra dettata più dal protagonismo politico che da una reale necessità, può citarsi il cosiddetto “Granaio Italia”, previsto dalla Legge di Bilancio 2021, che dispone l’istituzione di un registro telematico a carico degli operatori della filiera cerealicola, su cui si è reso necessario anche un Decreto con le modalità applicative da parte del Ministero delle Politiche Agricole. Si tratta di una disposizione volta ad acquisire dati per conoscere la reale situazione delle consistenze cerealicole del nostro Paese, ma che è stata emanata senza tenere conto dell’esistenza di una precedente norma ministeriale sulla materia, quindi, senza fare nessun raccordo con essa e che ora appare anche in parziale sovrapposizione con un’altra norma imposta dall’Unione Europea volta alla comunicazione delle giacenze mensili di cereali da parte di ciascuno Stato membro.
Anche su “Granaio Italia” tutta la filiera cerealicola ha evidenziato in modo compatto le gravi difficoltà di carattere amministrativo e operativo che discendono dalla richiesta di una puntuale e quanto mai rigida comunicazione di dati all’Amministrazione. È stato altresì evidenziato come, oltre tutto, la maggior parte di questi dati sono già in possesso a vario titolo dell’Amministrazione che avrebbe potuto recuperarli con un semplice raccordo tra i vari Uffici competenti, senza pertanto la necessità di ulteriori oneri a carico delle aziende.
Due esempi, quelli sopra richiamati, che impattano e coinvolgono in modo diretto il settore agro-alimentare, e mangimistico in particolare, ai quali se ne possono aggiungere tanti altri.
Il mondo produttivo ha la necessità mai come oggi di norme chiare, semplici e coerenti che non lascino spazio a dubbi interpretativi, che evitino inutili oneri per le aziende e che non determinino difficoltà di applicazione.
Lo impone il mercato, ma lo impone anche questa straordinaria congiuntura, che vede da un lato la necessità di sfruttare al meglio le risorse del PNRR per il rilancio della nostra economia, ma che ci pone anche di fronte alla minaccia costituita dalla più grave e incerta crisi della storia, dal secondo dopoguerra ad oggi, nella quale si innestano gli effetti di una pandemia (tutt’altro che domata) e i pericoli di un conflitto bellico, nonché di una crisi internazionale, con effetti disastrosi sull’economia nel suo complesso.
È anche per questa ragione che si deve rinnovare l’appello alle parti politiche, proprio in concomitanza delle elezioni del 25 settembre 2022, e dell’avvio della nuova legislatura, affinché venga data una maggiore attenzione alla formazione delle leggi. Le norme servono alla vita reale ed economica del paese; non viceversa. Sono loro che devono migliorare il modo di interagire e non la vita reale adattarsi alle norme per evitare di incorrere in sanzioni.
Trasparenza, certezza, semplicità e uniformità d’applicazione: è quanto si chiede al legislatore.
di Giulio Gavino Usai (Assalzoo)