Gli operatori del settore agroalimentare sono in queste settimane alle prese con l’adeguamento dei contratti di cessione di prodotti agricoli ed alimentari al D. Lgs. 198/2021, la nuova normativa italiana di settore in materia di pratiche commerciali sleali che dà attuazione (estendendone tuttavia la portata) alla Direttiva UE 2019/633.
Un aspetto ad oggi sottovalutato riguarda l’impatto della normativa sui contratti internazionali: il decreto contiene previsioni imperative applicabili qualunque sia la legge a cui è soggetto il contratto, e avrà rilevanza tutte le volte che il fornitore è stabilito nel territorio nazionale, anche se l’acquirente è un soggetto straniero.
La normativa si applica peraltro indipendentemente dal fatturato annuale di fornitore ed acquirente, in questo modo differenziandosi rispetto alle indicazioni contenute nella direttiva dell’Unione europea.
Si tratta di un provvedimento molto atteso, avendo l’obiettivo di porre rimedio agli squilibri nel potere contrattuale tra fornitori e acquirenti di prodotti agricoli e alimentari (soprattutto industrie e GDO) e contrastare alcune pratiche commerciali sleali particolarmente gravose per i fornitori.
Il decreto italiano contiene disposizioni di notevole impatto sull’operatività delle imprese, soprattutto per quanto riguarda la regolamentazione dei rapporti contrattuali. Si tratta peraltro anche di previsioni non contenute nella direttiva europea, ma che gli operatori stranieri dovranno tenere in considerazione in quanto normativa inderogabile.
La portata della normativa è molto ampia applicandosi ad una categoria estesa di prodotti (agricoli, trasformati, alimentari, mangimi, sementi, ecc.) ed a tutte le cessioni professionali che coinvolgono una persona fisica o giuridica che vende prodotti (quindi non solamente i produttori agricoli), indipendentemente dal fatturato di fornitore e acquirente.
La normativa non si applica invece (i) ai rapporti con i consumatori, (ii) quando consegna e pagamento siano contestuali ed (ii) ai conferimenti di prodotti da parte di imprenditori agricoli e ittici a cooperative e organizzazioni di produttori di cui essi sono soci.
Il Decreto 198/2021 è entrato in vigore il 15 dicembre 2021 ed è già pienamente applicabile ai contratti successivi a tale data. Il 15 giugno 2022 è scaduto il termine per l’adeguamento alla nuova normativa dei contratti stipulati prima del 15 dicembre 2021.
Adeguamento dei contratti: la forma scritta
La normativa italiana si distingue dalla direttiva europea in quanto prevede che i contratti di cessione di prodotti agroalimentari debbano necessariamente rispettare il requisito della forma scritta ed essere stipulati prima della consegna della merce. A tal fine, firma digitale e PEC saranno strumenti senz’altro utili per gli operatori.
I contratti dovranno inoltre essere informati ai principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni.
Nei casi in cui tra fornitore e cliente vi siano già accordi scritti (questo succede di regola nei rapporti con la GDO), potrà essere predisposta una integrazione dell’accordo già esistente in cui vengono riportati gli adeguamenti del contratto al decreto. In alternativa, potrà essere predisposto un nuovo contratto quadro, che andrà a sostituire il testo precedente.
La nuova normativa contempla la possibilità di sottoscrivere accordi scritti singoli per ciascuna fornitura, sempre nel rispetto del requisito della forma scritta e purché siano conclusi in ogni caso prima della consegna.
In alternativa, sarà possibile stipulare “accordi quadro” con cui le parti vanno a disciplinare più cessioni di prodotti e che contengono le condizioni di compravendita, le caratteristiche dei prodotti, il listino prezzi, le prestazioni di servizi e le loro eventuali rideterminazioni.
Il vantaggio della sottoscrizione di un accordo quadro sta nel fatto che le singole forniture potranno essere regolate da documenti di trasporto o di consegna, fatture, ordini di acquisto con i quali l’acquirente commissiona la consegna dei prodotti. Si tratta dei c.d. “documenti equipollenti” che assolvono il requisito della forma scritta, purché a monte sia stato sottoscritto un accordo quadro.
Tali documenti dovranno fare riferimento al contratto quadro, mentre formulazioni quale “assolve agli obblighi di cui all’art. 62 DL 1/2012” (previsti dalla normativa italiana precedentemente in vigore) dovranno essere rimosse in quanto non più rilevanti.
Il contenuto dei contratti di cessione di prodotti
Il contratto, oltre naturalmente a non dover contenere previsioni che costituiscono pratiche sleali vietate ai sensi del D. Lgs. 198/2021, dovrà necessariamente regolamentare i seguenti aspetti:
- Durata e risoluzione del contratto;
- Quantità e caratteristiche beni;
- indicazione del prezzo (o criteri per determinarlo);
- Modalità di raccolta, consegna e pagamento;
- Norme in caso di forza maggiore;
Si tratta anche in questo caso di previsioni peculiari dell’ordinamento italiano ma che dovranno essere rispettate nei contratti internazionali tutte le volte in cui il fornitore sia stabilito in Italia.
Per quanto riguarda la determinazione del prezzo, il contratto potrà fare riferimento ai listini del fornitore, eventualmente prevedendo meccanismi di aggiornamento periodico. Quello della rideterminazione del corrispettivo è un aspetto particolarmente sentito dagli operatori, tenuto conto delle problematiche relative all’aumento del costo delle materie prime e dei trasporti.
L’accordo quadro andrà poi a regolare le modalità di consegna (ad esempio, termine di resa, operazioni di carico – scarico, effetti del mancato rispetto della consegna), aspetti che verranno poi integrati nello specifico ordine di acquisto/conferma d’ordine.
Un tema che ha suscitato notevoli perplessità tra gli operatori riguarda la durata minima di 12 mesi dei contratti, trattandosi di una previsione che mal si concilia con la prassi, soprattutto in determinate filiere.
Le parti (eventualmente con l’assistenza delle rispettive organizzazioni professionali di categoria) potranno comunque concordare una durata minore, tuttavia tale deroga dovrà essere adeguatamente motivata (ad esempio a causa della stagionalità dei prodotti). Nel caso in cui la minore durata non sia giustificata, allora essa si considererà pari a 12 mesi.
La previsione di una durata minima non si applica invece alle cessioni di prodotti a soggetti che esercitano attività di somministrazione di alimenti e bevande in un pubblico esercizio (es. bar e ristoranti), contratti che potranno quindi avere durata libera.
Termini di pagamento
La disciplina dei termini di pagamento è forse quella che sta sollevando maggiori problemi da un punto di vista operativo.
Rispetto a quanto previsto dalla direttiva europea, tale normativa si applica indipendentemente dal fatturato di fornitore e acquirente.
I termini di pagamento variano a seconda che i prodotti venduti siano o meno deperibili.
Tuttavia, la definizione piuttosto generica di bene deperibile contenuta nel D. Lgs. 198/2021 aveva creato confusione tra gli operatori.
Il legislatore nelle scorse settimane è quindi intervenuto modificando la definizione di beni deperibili, che ora ricomprende espressamente:
- i prodotti preconfezionati che riportano una data di scadenza o un termine minimo di conservazione non superiore a sessanta giorni;
- i prodotti sfusi, anche se posti in involucro protettivo o refrigerati, non sottoposti a trattamenti atti a prolungare la durabilità degli stessi per un periodo superiore a sessanta giorni;
- i salumi;
- tutti i tipi di latte.
Per quanto riguarda la decorrenza del termine di pagamento, è previsto per le consegne non periodiche che il termine di 30 o 60 giorni decorre dalla (i) data di consegna della merce o, alternativamente, (ii) “dalla data in cui è stabilito l’importo da corrispondere”, a seconda di quale delle due date sia successiva.
Per quanto riguarda le consegne periodiche il termine decorre invece dal (i) termine del periodo di consegna (che, a tutela del fornitore, non potrà essere superiore ad un mese) o dalla (ii) “data in cui è stabilito l’importo da corrispondere”, a seconda di quale delle due date sia successiva.
Su cosa si debba intendere per “data in cui è stabilito l’importo da corrispondere”, la norma non è chiara. Potrà verosimilmente farsi riferimento alla data in cui il compratore riceve la fattura, essendo questo il documento che permette di stabilire il prezzo da corrispondere. Da tale momento decorrerà quindi il termine di 30 o 60 giorni per il pagamento.
In ogni caso, il termine non potrà invece decorrere dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura, come era invece previsto dall’art. 62 DL 1/2012.
Inoltre, la data di emissione della fattura non potrà essere distante dalla data della consegna dei prodotti; è infatti considerata pratica sleale vietata la previsione di un termine minimo per il fornitore prima di poter emettere la fattura.
A tutela del fornitore, in caso di mancato rispetto del termine di pagamento saranno dovuti gli interessi di mora e, ove vi fossero controlli, le autorità competenti potrebbero sanzionare il compratore.
Conclusioni
E’ opportuno in questa fase che le aziende straniere che hanno rapporti con fornitori italiani di prodotti agroalimentari facciano una ricognizione dei rapporti commerciali in essere, e porre in essere strumenti correttivi al fine di adeguare i testi contrattuali alla nuova normativa sulle pratiche commerciali sleali.
Sarà in particolare opportuno che i rapporti commerciali siano regolati da contratti scritti che contengano le previsioni essenziali richieste dalla nuova normativa.
Attenzione in particolare dovrà essere posta ai termini di pagamento, e dovranno essere individuate soluzioni operative adeguate alle indicazioni del nuovo decreto.
Alessandro Paci – Claudio Perrella / RP Legal&Tax
Foto di Loretta Rossiter da Pixabay