In un evento organizzato a Roma per il cinquantesimo anniversario l’Associazione Italiana dell’Industria Olearia presenta una ricerca che dimostra l’importanza delle filiere alimentari e la necessità di un loro profondo ripensamento alla luce della vicenda ucraina e dei rincari energetici.
Una superficie di quasi 3,5 milioni di ettari, più grande della Sicilia: è questo il territorio in più di cui avrebbe bisogno l’Italia per raggiungere l’autosufficienza nelle produzioni di cereali, zucchero e altre colture industriali ed evitare le importazioni. E’ quanto emerge dalla ricerca “Il valore del settore agricolo nelle performance di filiera”, curata da Nomisma e promossa da Assitol (Associazione Italiana dell’Industria Olearia) in occasione del suo cinquantesimo anniversario dalla nascita.
La ricerca ha riguardato soprattutto le filiere in cui opera l’Associazione dalla sua nascita nel 1972: oli d’oliva e da semi, semilavorati per la panificazione, pizzeria e pasticceria, condimenti spalmabili, lievito da zuccheri, agroenergie e biodiesel. “Per comprendere il passato e il presente – ha osservato Riccardo Cassetta, presidente di Assitol – ci è sembrato giusto partire dallo scenario agricolo in quei settori che ci vedono in prima linea da 50 anni, con un occhio particolare all’evoluzione della spesa degli italiani”.
Lo studio ha messo in rilievo alcuni aspetti distintivi dell’agricoltura italiana, che hanno inciso sulle scelte del comparto industriale. La superficie agricola utilizzata (sau), pari a circa 12,5 milioni di ettari, appare decisamente inferiore rispetto a quella dei grandi competitors agroalimentari: la nostra Sau corrisponde al 2% della Cina, al 3% degli Stati Uniti e, in Europa, al 45% di quella francese e al 54% di quella spagnola.
Pesa inoltre il sottodimensionamento delle aziende agricole, perlopiù medio-piccole. Più dei tre quarti delle imprese del settore primario si attesta sotto i 10 ettari, mentre soltanto il 4,5% può contare su grandi dimensioni (oltre 50 ettari). Secondo l’ultimo Censimento Generale sull’Agricoltura, sono le aziende agricole più grandi ad effettuare investimenti in innovazione, una leva strategica in grado di assicurare maggiore redditività e sostenibilità economica alle attività agricole, favorendo l’aumento di produzione. Aumento che aiuterebbe moltissimo l’economia italiana: stando ai dati forniti da Nomisma, il livello di approvvigionamento da filiere nazionali come quella olivicola e per parte di quella cerealicola è molto al di sotto del 50%. Per la filiera saccarifera, la ricerca parla chiaramente di “desertificazione” produttiva, sopraggiunta dopo la riforma OCM del 2005, sottolineando la rilevante dipendenza dall’import.
“La non autosufficienza produttiva dell’Italia esisteva ben prima del conflitto con l’Ucraina,che ha aggravato la situazione – ha sottolineato Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma e curatore della ricerca -. A maggior ragione rinunciare alle importazioni per sostituirle integralmente con la produzione nazionale è impensabile, a meno di non voler tagliare in maniera significativa il nostro export di prodotti agroalimentari che, a fine 2021, ha superato i 50 miliardi di euro. Tuttavia, implementare i quantitativi per colmare, almeno in parte, il deficit produttivo e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti non soltanto si può, ma si deve fare”.
Per quanto riguarda i comparti degli oli vegetali, dei cereali e dello zucchero, questi hanno contribuito notevolmente al successo dell’agroalimentare italiano. Ciò si deve alla capacità nazionale di valorizzare le importazioni per sostenere l’export. Secondo la ricerca, infatti, l’apertura internazionale del settore ha determinato una maggiore disponibilità di derrate agricole e ha reso più convenienti gli acquisti alimentari. Basti pensare che nel 1971 le famiglie italiane spendevano in media il corrispettivo odierno di 700 euro ogni mese, mentre nel 2021 tale importo era sceso a 470.
Insomma, grazie al sistema agroalimentare italiano, il carrello della spesa ha inciso in modo più contenuto sui bilanci familiari. “Fino a metà del 2021 l’indice dei prezzi dei beni alimentari importati era rimasto allo stesso livello del 2015 – chiarisce Pantini – a dimostrazione che gli arrivi dall’estero non generavano inflazione, ma erano fisiologici al funzionamento del sistema”. Prima la pandemia, poi le conseguenze del conflitto ucraino hanno però ribaltato l’andamento dei prezzi e ora i rincari legati al costo dell’energia e delle derrate agricole pesano sulle tavole degli italiani. Soltanto per gli oli e grassi, ad agosto rispetto ad un anno prima, si è registrato un aumento del 20%, per lo zucchero del 15%, per pane e cereali del 13%, per l’olio d’oliva del 7%. Su questi numeri la crisi energetica già in atto non potrà che incidere sempre di più.
In questo quadro così incerto, quali sono le prospettive per il futuro? E’ la stessa ricerca a indicare la sicurezza degli approvvigionamenti come una priorità, puntando sulla crescita della produzione nazionale. Una soluzione che si scontra con gli obiettivi del Green Deal, la strategia europea che prevede proprio il taglio della produzione, meno agrofarmaci e fertilizzanti in nome della sostenibilità. Per il past president di Assitol Marcello Del Ferraro “occorre fare fronte comune in Italia, ma sempre con un’ottica europea. Ecco perché, anche in occasione dei nostri 50 anni, rilanciamo l’importanza della collaborazione all’interno delle filiere. Siamo tutti interconnessi, questa è la grande lezione degli ultimi anni e, se si vuole intervenire sugli obiettivi legati alla transizione ecologica, dobbiamo farlo tutti insieme, agendo su Roma e su Bruxelles”. Secondo il past president “decarbonizzare il mondo da soli senza Cina, India e altri grandi Paesi è impossibile. Se Bruxelles continuerà la strada del Green Deal senza modificarlo, il rischio più probabile è che perderemo altre aziende e posti di lavoro, perché le imprese decideranno di delocalizzare”.
Ma è la struttura stessa dell’agricoltura italiana a invocare una profonda revisione. “Dobbiamo sfruttare con intelligenza gli strumenti normativi già esistenti – chiosa Cassetta – come i contratti integrati di filiera, di distretto e di rete, ma anche l’associazionismo cooperativo e le Organizzazioni di produttori”. Al riguardo, il presidente dell’Associazione auspica “l’avvio delle riforme necessarie a sbloccare l’Italia su tutti i fronti, con due precise parole d’ordine: pragmatismo e concretezza. In questo modo potremo rimanere sul podio delle manifatture d’eccellenza”.
Il bilancio dell’industria olearia, 50 anni dopo, è comunque positivo. “La ricerca di Nomisma ha dimostrato che, per decenni, abbiamo dato da mangiare agli italiani nonostante i tanti nodi strutturali del nostro agroalimentare – è la conclusione del presidente Cassetta -. In questo momento storico delicato, ASSITOL conferma la sua filosofia che, dal ’72, è all’insegna del dialogo e delle sinergie. E’ tempo di conciliare le necessità di industria, agricoltura e politica, in modo da essere più competitivi e coesi, come i Paesi nostri concorrenti. Per questo vogliamo essere la casa di tutte le donne e gli uomini che abbiano voglia di impegnarsi nella sfida di garantire agli italiani alimenti buoni, sicuri e salutari. Non solo ora, ma per i prossimi 50 anni”.
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