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Mais, produzione italiana al minimo storico: persi 550.000 ettari di coltivazioni negli ultimi quindici anni

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di Anna Roma

Il mais in Italia si coltiva sempre meno. Negli ultimi quindici anni abbiamo perso 550.000 ettari di coltivazioni, un’estensione di terra più ampia della Liguria. La produzione è passata da 12milioni di tonnellate a una media di 6milioni e quest’anno, complice il cambiamento climatico, di mais italiano se ne raccoglierà probabilmente non più di 4 milioni di tonnellate. Un terzo del fabbisogno nazionale. Il restante dovrà così arrivare dai mercati internazionali sempre più incerti per le conseguenze dei rincari del settore energetico, dei cambiamenti climatici e della guerra russa in Ucraina.

Eppure il mais resta una coltivazione che non può essere persa e che al contrario dovrebbe essere recuperata: dalla produzione maidicola nazionale dipende la sopravvivenza di molte filiere 100% italiane, incluse le Dop. L’uso del mais in Italia ha rappresentato storicamente una importante fonte alimentare per l’uso umano ma, soprattutto, per quello mangimistico. Ed è per questa ragione che la superficie coltivata a mais in Italia è sempre stata ragguardevole e in pochi sanno che nei primi anni del secolo scorso se ne coltivavano fino a quasi 1.600.000 ettari. Tuttavia, dopo avere raggiunto l’autosufficienza a partire dai primi anni del 2000, abbiamo assistito a un costante e inesorabile calo delle superfici seminate.

Nonostante la forte riduzione delle colture, il mais ha sempre mantenuto inalterata la sua importanza di cereale strategico, soprattutto per la zootecnia. Tanto è vero che questo cereale rappresenta la principale materia prima impiegata per alimentare gli animali. Un’importanza strategica, quella del mais, raccontata dai numeri: in Italia si consumano ogni anno circa 12 milioni di tonnellate di granella di mais, mentre sono quasi 9 milioni le tonnellate utilizzate per l’alimentazione animale. Di quest’ultima circa 6 milioni sono utilizzate dall’industria mangimistica; le restanti 3 milioni di tonnellate sono invece utilizzate direttamente negli allevamenti.

Non va poi dimenticato che la produzione maidicola italiana è affiancata anche dalla produzione di mais destinato all’insilaggio, ovvero alla conservazione del cereale nei silos. Si tratta di un’altra produzione fondamentale per la zootecnia e in particolare per l’alimentazione delle vacche da latte, ma che negli ultimi anni ha visto crescere l’interesse alla destinazione energetica per la produzione di biogas. Di questo mais definito «ceroso» se ne coltivano circa 380.000 ettari per una produzione prossima ai 200 milioni di quintali.

A causa della riduzione della produzione italiana di mais negli anni, attualmente il nostro Paese dipende per circa il 50% dall’estero. Una condizione che comporta tre grandi problemi: il primo è quello di essere esposti all’umore dei mercati internazionali sia dal punto di vista dei prezzi sia dal punto di vista della disponibilità del prodotto; in secondo luogo c’è poi il danno economico per la perdita di reddito degli agricoltori e l’esoso esborso per l’acquisto di granella all’estero stimato per quest’anno intorno ai 2,5 miliardi di euro; non da ultimo, si mette in pericolo la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari.

Tra le principali cause del crollo produttivo gli esperti del settore indicano l’eliminazione dei contributi specifici per il mais da parte della Politica agricola comune dell’Unione europea, costi di coltivazione elevati e la necessità di terreni ben irrigati. Ma hanno pesato anche la rinuncia all’innovazione e soprattutto alle biotecnologie, le problematiche di carattere sanitario per un cereale vulnerabile alle micotossine e, infine, gli effetti del cambiamento climatico.

Malgrado ciò il mais offre ancora tanti vantaggi. Non può infatti essere trascurata la sua versatilità di impiego per tutte le specie animali allevate grazie alla capacità del prodotto di assicurare elevati livelli di energia. È una coltura efficiente che, nelle giuste condizioni, consente di realizzare le migliori rese medie per ettaro tra tutti i cereali, ma anche rispetto agli oleosi. Dal punto di vista ambientale non va dimenticata la capacità del mais di sequestrare elevate quantità di carbonio (circa 500 kg/ha).

Per tutti questi motivi dalla filiera si invoca un piano nazionale e interventi urgenti a sostegno della coltura: per risollevare la produzione gli agricoltori chiedono di dare esecuzione al piano maidicolo nazionale, adottato ma mai attuato, e prevedere incentivi alla coltivazione mirati alla produzione di granella. Non può essere ritardata ancora la sperimentazione in campo delle Tea (tecniche di evoluzione assistita) che consentono di aumentare le rese, ridurre l’impiego di fitofarmaci, contrastare gli effetti del cambiamento climatico e migliorare la qualità merceologica e sanitaria della granella. Infine – ma non per importanza – sarà necessario evitare la concorrenza tra l’impiego del mais a scopo alimentare e a scopo energetico.