di Anna Roma
L’Italia è il primo produttore europeo di semi di soia non-Ogm e uno dei principali consumatori di farine di soia non-Ogm. Nonostante una flessione nei consumi legata ai rincari, il settore della soia italiana sembra avere davanti margini di crescita significativi grazie anche alla competitività di un seme più resistente di altri ai periodi di siccità. Mangimi & Alimenti ha raccolto il punto di vista di Enrico Zavaglia, trading manager Oilseed Dept Cereal Docks Spa.
Partiamo dai consumi di soia in Italia. Ci sono state crescite negli ultimi anni e cosa si prevede nel futuro?
Il consumo di farina di soia in Italia è poco superiore a 3,5 milioni di tonnellate, con un aumento di qualche centinaio di migliaia di tonnellate dal 2019 al 2021. La farina di soia consumata in Italia deriva in parte dall’importazione di prodotto già lavorato dal Brasile e dall’Argentina, e in parte dal seme di soia di Brasile, Stati Uniti, Canada e Ucraina trasformato in Italia. Nell’ultimo triennio si è vista una piccola riduzione dell’importazione di farina di soia dal Sud America, da 1 milione 900 mila tonnellate del 2019 a 1 milione 600 mila tonnellate nel 2021, mentre si registra un leggero incremento della farina di soia ottenuta da semi esteri lavorati in Italia, arrivati a 2,4 milioni di tonnellate nel 2021. Va sottolineato che tra i semi di soia lavorati in Italia ci sono quasi 1 milione di tonnellate che danno origine alle filiere di soia non-Ogm. Tuttavia, la preoccupazione legata all’aumento del costo della vita ha probabilmente spinto la grande distribuzione ad abbandonare parzialmente le filiere nazionali non-Ogm. Un vero peccato!
Nella soia consumata in Italia quanta è di produzione nostrana e quanta di importazione?
Sul totale di circa 3 milioni e mezzo di tonnellate di farina di soia consumati in Italia, negli ultimi tre anni la quota di farina di soia ottenuta da semi di soia italiani non-Ogm coltivati in Italia è di circa il 20%, mentre un altro 35% è rappresentato da farina di soia lavorata in Italia a partire da semi di soia di importazione. Possiamo stimare che circa il 55% della soia consumata in Italia provenga da impianti di spremitura nazionali. Attualmente gli impianti di questo tipo attivi in Italia sono 5, di cui 3 del gruppo Cereal Docks.
Quali son i margini di crescita della produzione di soia nel nostro Paese?
La coltivazione della soia ha dimostrato di essere molto competitiva in termini, ad esempio, di necessità idriche, oltre a non avere problematiche di carattere fitosanitario. Essendo una leguminosa, la soia non necessita dell’apporto concimi azotati, i cui costi sono enormemente cresciuti nell’ultimo anno. Questi elementi ci spingono a ritenere che la soia potrebbe vedere aumentare le superfici coltivate in Italia anche nel prossimo anno. Un fenomeno che va in controtendenza rispetto alla limitata volontà di utilizzo di farine di soia non-Ogm da parte della filiera mangimistica, perché attualmente poco valorizzate dalla grande distribuzione.
Vengono spesso sollevate polemiche ambientaliste riguardo la produzione di soia. In Italia si presta attenzione alla provenienza della soia relativamente ai Paesi di importazione?
Sì, c’è sicuramente un’attenzione crescente in Italia verso la sostenibilità. Per quanto riguarda Cereal Docks, siamo stati i primi in Europa a certificare uno dei nostri stabilimenti, quello di Porto Marghera, con la certificazione RTRS. In quello stabilimento trasformiamo semi di soia di origine sudamericana la cui provenienza è certificata da zone non soggette a deforestazione. Nel caso di semi importati dal Nord America, acquistiamo materia prima certificata SSAP, un certificato di tracciabilità e sostenibilità che garantisce anche in questo caso una provenienza da territori non deforestati. Infine, per quanto riguarda la quota di semi di soia coltivata in Italia, adottiamo la certificazione di CSQA Dtp112, uno schema di certificazione che garantisce la sostenibilità sociale, ambientale ed economica dei semi oleosi. Cereal Docks può quindi fornire prodotti certificati, cosa che non sempre accade nel mercato.
La soia è un prodotto dell’economia circolare, con il suo olio utilizzato per il settore food e la farina per il settore dei mangimi. Relativamente all’economia circolare, quale è lo scenario che dobbiamo aspettarci da qui a 10 anni nel consumo di questo prodotto?
Circa l’80% del quantitativo di soia che si ottiene dalla lavorazione viene destinato al settore zootecnico. Una piccola quota è rappresentata dalla lecitina di soia, destinata soprattutto all’industria alimentare e dolciaria, e una quota di olio di soia destinata all’alimentazione zootecnica. In Italia solo una piccola parte viene destinata all’uso alimentare perché vengono preferiti l’olio d’oliva e quello di girasole. L’olio di soia rappresenta dunque un “sottoprodotto” che deve essere esportato in competizione con i mercati mondiali. Fino al 2020 una quota significativa di olio di soia veniva impiegato per la produzione di energia elettrica in piccoli impianti inferiori a un 1Mw di potenza, rivenduta sul mercato elettrico con la tariffa onnicomprensiva di 30 centesimi al Kw/h. I forti incrementi del prezzo della materia prima hanno però portato fuori mercato gli oli vegetali puri, perché la tariffa fissa onnicomprensiva non è salita al pari del costo delle materie prime: è quindi necessario risolvere il problema dell’olio di soia trovando sbocchi diversi. L’auspicio è quello di trovare una soluzione che da una parte risolva il problema della collocazione dell’olio e dall’altra garantisca una produzione energetica da fonti rinnovabili come questa e, nel contempo, mantenere una redditività significativa per tutta la filiera.
foto: Andrey_Starostin_-_Fotolia