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Fine del regime delle “quote latte”. Gli scenari che si aprono per il mercato del latte italiano

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Il primo aprile 2015, rappresenta per noi aziende zootecniche una data storica con la cessazione del regime delle quote durato oltre 30 anni, una data vissuta e attesa con sentimenti contrastanti”. Ad affermarlo è Antonio Boselli, Presidente di Confagricoltura Milano Lodi e Monza Brianza, che ci ha spiegato cosa succederà al mercato del latte italiano a partire dal 1° aprile, quando il regime delle “quote latte” smetterà di essere in vigore. Questa data è “vista come una sorta di liberazione da un regime che non ci permetteva di crescere, visti gli alti costi che questa scelta comportava – spiega il presidente -, dall’altra parte una certa apprensione, perché la fine del regime quote rappresenta una grande opportunità soprattutto per i paesi del nord Europa maggiormente vocati alle produzioni zootecniche”. Prima di cominciare l’intervista, il presidente Boselli ci tiene a fare una precisazione: “Il mercato del latte, vista la necessita di trasformarlo o comunque lavorarlo nel giro di poche ore, è estremamente rigido, nel senso che a piccole oscillazioni tra domanda e offerta corrispondono grandi variazioni di quotazione del prodotto”.

Presidente, dopo il 1° aprile, quale scenario attende il mercato del latte italiano?

Potenzialmente le aspettative sono buone perché la liberalizzazione della produzione produrrà un migliore efficientamento delle aziende, perché l’Italia è un paese deficitario di latte, perché è ricco di prodotti DOP, perché il marchio alimentare made in Italy rientra in quella voglia di vivere, di mangiare, di utilizzare prodotti italiani che in tanta parte del mondo è considerato come il raggiungimento di uno status symbol. La prima difficoltà strutturale è che il regime quote latte, i contributi e gli aiuti alla produzione, hanno rappresentato sì una tutela per le nostre produzioni, ma ci hanno anche rinchiuso in una gabbia, che non sempre ci ha consentito di aprirci e confrontarci con il mercato, e che oggi ci vede preoccupati su come spiccare il volo. Il nostro problema è rappresentato dall’avere aziende piccole, dalla scarsa volontà e propensione a fare aggregazione, dal ritenere che la tradizione e la ricerca della qualità siano le nostre uniche armi, dalla nostra scarsa capacità di aprirci e proporci a mercati esteri. Un esempio da guardare è quello del vino, dall’essere un settore in crisi alla fine degli anni ’80 per lo scandalo del metanolo, ha saputo rinascere, pur essendo uno dei settori che meno ha goduto di aiuti, e facendo leva su un ottimo rapporto qualità prezzo, rappresenta oggi un vanto del made in Italy e vale 5 mld di euro di esportazione.

Quale tipo di concorrenza ritiene che si stabilirà con gli altri paesi europei (Francia e Germania su tutti)?

Le future potenzialità produttive di questi paesi, già oggi largamente eccedentari, sicuramente preoccupano anche se in maniera diversa: i francesi perché hanno una situazione simile alla nostra, con una trasformazione vocata a prodotti tipici, con cui potremmo scontrarci nella conquista dei mercati esteri e i tedeschi, perché pur avendo una destinazione del latte orientata a produrre polvere, burro e poche tipologie di formaggi, in caso di rallentamento della domanda mondiale di latticini, potrebbero spingere verso l’Italia grandi quantitativi di latte a prezzi molto concorrenziali, come sta succedendo in questi mesi a causa dell’embargo verso la Russia. Un’ulteriore e importante differenza è rappresentata dalla dimensione aziendale: in media in pianura padana una stalla di 100 capi dispone di 40 ettari e produce a malapena il trinciato e il fieno di cui abbisogna, in Francia e Germania la stessa azienda dispone di 100/120 ettari, e produce tutto il trinciato, il fieno, il cereale e magari riesce anche a venderne un po’, oltre ad avere diritto a un premio PAC decisamente superiore. Inoltre mentre noi, per riuscire a far quadrare i conti, cerchiamo di viaggiare al 100 % delle potenzialità dei nostri animali, in Francia e Germania le vacche sono tenute a un 80 % della potenzialità, per cui semplicemente aumentando o diminuendo la quantità di concentrati, sono in grado di adattare meglio le produzioni alle condizioni più o meno favorevoli di mercato

Quali sono le caratteristiche principali che differenziano il latte italiano (e l’allevamento zootecnico in Italia) rispetto agli altri paesi, in termini di qualità e sicurezza alimentare?

L’Italia è il paese con il maggior numero di controlli lungo la filiera alimentare, non a caso tutti i grandi scandali sono partiti da altri paesi – basti pensare allo scandalo dei polli alla diossina. Questo ci ha portato e ci sta portando a valutare con attenzione tutte le forniture verso le nostre aziende, gli alimenti che somministriamo, la cura che poniamo in tutte le fasi dell’allevamento per ottenere un ottimo prodotto da fornire all’industria di trasformazione. E di questa situazione ne beneficia la qualità e la sicurezza del prodotto e il consumatore finale, ma a prezzo di costi più alti rispetto alla concorrenza estera, che ha meno controlli, che è meno legata a produzioni tradizionali e che nelle varie fasi della catena alimentare fa largo uso di innovazione e biotecnologia, che sta facendo crescere sempre più la qualità e la sicurezza dei propri prodotti a prezzi più concorrenziali dei nostri.

Con l’abolizione delle quote latte, cosa cambierà per gli allevatori italiani?

Gli allevatori italiani, rispetto a tedeschi e francesi, hanno un grande handicap che è quello di lavorare nel paese Italia, penalizzati da costi di produzione più alti, causati da un eccesso di burocrazia, da elevati costi per energia e lavoro, da infrastrutture inadeguate, da una demagogica paura a introdurre innovazione e tecnologia, pensando che la nostra unica salvezza sia rappresentata dalla tradizione. Dovremo imparare a confrontarci e a produrre ciò che ci chiede il mercato, dovremo imparare a gestire al meglio le nostre aziende, ragionando di più sulla gestione ordinaria e sugli investimenti. I tecnici di Aral (Associazione regionale allevatori Lombardia), da studi pluriennali ci descrivono realtà aziendali profondamente diverse, con stalle capaci di pareggiare i conti anche con prezzi del latte a 36 centesimi e altre che questo pareggio non lo raggiungono neanche a 42 centesimi.

Quali interventi dovrebbero essere attuati per rendere più efficiente la produzione di latte in Italia?

Il primo intervento sarà quello di essere capaci di cambiare mentalità , di rendersi conto che il modo di lavorare, di agire che stiamo utilizzando, dovrà modificarsi, dovremo adeguarci a nuovi scenari e a nuove strategie, capire che non basterà semplicemente lavorare di più per far tornare i bilanci. E si dovrà partire da nuovi rapporti con i nostri fornitori di mangimi, di farmaci zootecnici, di concimi, di fitofarmaci, con l’utilizzo del lavoro sempre più importante dei contoterzisti, dovremo considerarli tutti sempre più come dei partner che devono fornirci beni, assistenza e servizi, per migliorare la qualità e la redditività delle nostre aziende. Ma la grande sfida, che spesso abbiamo lasciato ad altri, sarà quella di riuscire a valorizzare al meglio le nostre produzioni. Certo sovente su tanti prodotti non siamo e non saremo competitivi, aumenterà la volatilità dei prezzi, faremo fatica ad adattare le nostre produzioni ai saliscendi delle quotazioni e quindi dovremo cercare di essere svincolati da produzioni di commodities zootecniche, ma proseguire e potenziare le nostre produzioni tipiche e distintive, i nostri formaggi e le nostre eccellenze alimentari. Anche in questo caso dovremo cambiare passo e adottare soluzioni diverse e fare in fretta perché il mercato non aspetta e non possiamo permetterci di restare fermi. Dovremo imparare ad aggregare l’offerta, possibilmente aderendo a cooperative di trasformazione per far restare in azienda il valore aggiunto della trasformazione, dialogare di più con la grande distribuzione, sperare di avere una classe politica che aiuti le imprese e fissi semplicemente i paletti entro cui le imprese devono muoversi. Ma la grande sfida sarà rappresentata dalla nostra capacità di portare i nostri prodotti verso paesi che sappiano valorizzare al meglio le nostre eccellenze. La contraffazione va combattuta con accordi internazionali con i vari paesi, il fenomeno dell’italian sounding, cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, sta ad indicare una grande fame di made in Italy nel mondo, milioni di persone che desiderano cibo italiano e molto spesso siamo noi a non essere presenti in quei mercati a portare le nostre specialità. Riveste una grande importanza, specialmente per il settore agroalimentare il “Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti” (TTIP), il trattato commerciale in via di definizione con gli Usa, che ci permetterebbe di riuscire a esportare più facilmente e con meno vincoli i nostri prodotti. Se vorremo mantenere la credibilità, la capacità commerciale del nostro marchio, dovremo lavorare sulla qualità, in continua evoluzione grazie a innovazione e tecnologie, su una maggiore competitività, su una trasparenza di produzione ed etichettatura, su una valorizzazione non solo del made in Italy “generico“, che spesso si basa su materia prima italiana ed estera, ma anche di un made in Italy a filiera italiana, per cercare di far restare più valore aggiunto nelle nostre aziende agricole. Il prodotto agroalimentare italiano va difeso e tutelato perché rappresenta uno dei punti di forza della nostra economia, in continua crescita economica e occupazionale.


Secondo lei, da qui a tre anni, la situazione per gli allevatori di mucche da latte migliorerà?

Domanda estremamente difficile. Dovrà aumentare la nostra resilienza, ovvero la nostra capacità di adattarsi al meglio ai diversi mutamenti di mercato, dovremo cercare di essere consapevoli che il futuro delle aziende zootecniche dipenderà dalle scelte corrette, ponderate e forse coraggiose, che adotteremo; forse il pericolo maggiore, ma temo inevitabile, sarà rappresentato da un’ulteriore selezione delle aziende.

 

Foto: © nikitos77_Fotolia

Nadia Comerci