Home Attualità Emergenza mais, da deficit produzione danno economico sempre maggiore

Emergenza mais, da deficit produzione danno economico sempre maggiore

682
0
mais

di Giulio Gavino Usai, Responsabile economico Assalzoo

Indietro di 50 anni, come se fossimo all’inizio del 1970. La produzione italiana di mais è sempre più in crisi e la flessione produttiva che non accenna ad arrestarsi sta provocando un danno economico sempre maggiore. La riduzione dell’estensione delle superfici coltivate, scese al minimo storico di poco più di 500 mila ettari, e una siccità estiva senza precedenti hanno ridotto la produzione italiana appena sopra le 4 milioni di tonnellate di mais da granella, facendo tornare il nostro Paese indietro di mezzo secolo. E come se non bastasse questa già scarsa quantità prodotta deve fare i conti anche con problemi di qualità sanitaria e in particolare con un tenore di aflatossine che rende inutilizzabile per uso alimentare umano o animale il 30% del raccolto.

Secondo i primi dati Istat i rendimenti unitari sono crollati mediamente del 23%, scendendo da 10,3 t/ha a 8,3 t/ha (nel 2020 erano stati pari a 112 t/ha), con cali di resa fino al -32% in Veneto e al -25% in Lombardia, che sono tra le maggiori regioni maidicole, e punte del -43% a Rovigo e del -46% a Perugia.

L’andamento negativo relativo alla produzione di mais non riguarda solo l’Italia ma tutti i maggiori produttori europei, con un calo complessivo pari a 21 milioni di tonnellate nella sola Unione Europea (-29%). Le riduzioni registrate tra i principali Paesi fornitori del mercato nostrano arrivano al 50% in Romania, al 57% in Ungheria e al 75% in Moldavia, mentre in Ucraina le ultime stime segnalano un calo superiore al 50%. In controtendenza la Spagna, che con 11,5 t/ha presenta rese superiori a 10 t/ha, e la Polonia, che ha visto aumentare la produzione del 16% grazie – ma non solo – all’incremento delle superfici dedicate a questa coltura.

Inutile giraci intorno: in Italia siamo a una vera e propria “emergenza mais”, una coltura che da anni accusa un declino costante delle superfici coltivate – abbiamo perduto una superficie dall’estensione superiore a una regione come la Liguria – della quantità  e della qualità del raccolto a causa sia di stress abiotici (siccità a cui il mais è particolarmente sensibile) che di stress biotici (funghi e micotossine, in particolare aflatossine). Proprio con riguardo alle micotossine la Rete Qualità Mais coordinata dal CREA-Cerealicoltura e Colture Industriali di Bergamo ha evidenziato che il 26% dei campioni di mais analizzati presenta un contenuto in aflatossine superiore ai 20 µg/kg e il 65% con fumonisine maggiori di 4000 µg/kg. 

Una situazione estremamente grave che riguarda una materia prima strategica per l’alimentazione animale e per la quale sono ormai necessari interventi urgenti se vogliamo salvare le prossime semine. Occorre un “piano mais” di medio-lungo periodo che, accanto a misure emergenziali per tamponare ulteriori perdite di superfici, contenga soprattutto misure di carattere strutturale con strumenti che consentano di ridare competitività alla produzione italiana di mais, senza i quali questo cerale fondamentale per nostra zootecnia è destinato a scomparire, con danni irreversibili per la filiera agro-zootecnica-alimentare.

In tale contesto sarà molto importante anche ottimizzare l’uso delle già insufficienti risorse messe a disposizione dalla nuova Politica Agricola Comune 2023/2027, imprescindibili per la redditività del mais. Una PAC molto avara che prevede per il mais un taglio del 40% dei pagamenti diretti, che vedono ridurre l’importo del contributo dagli attuali 360 €/ha a 180 €/ha, arrivando a 255 €/ha solo nel caso in cui si aderisse all’ecoschema 4.

Non si può continuare a trascurare che il costante crollo della produzione nazionale sta rendendo sempre più difficoltoso e dispendioso per l’economia del Paese l’approvvigionamento di questa materia prima dall’estero. Si stima che per il 2022 le importazioni abbiano sfiorato i 7 milioni di tonnellate con una spesa complessiva che, stante l’elevato livello dei prezzi sul mercato mondiale, è superiore a 2,3 miliardi di euro. Una situazione che sta avendo pesanti ripercussioni sul comparto mangimistico e, di conseguenza, sull’intera filiera zootecnica, con un esborso per l’acquisto di mais dall’estero che rischia di vanificare una buona parte delle entrate che derivano dal nostro export agroalimentare.