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Appunti per il settore mangimistico

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di Giulio Gavino Usai, Responsabile economico Assalzoo

Ci sono questioni importanti tanto a livello industriale quanto a livello amministrativo che per la mangimistica in prima istanza, e per tutta la filiera zootecnica nel suo complesso in seconda istanza, necessitano di essere affrontate per le ricadute che possono comportare sul sistema agroalimentare e sulla sicurezza degli approvvigionamenti. Tematiche che non sono di facile né tantomeno di immediata soluzione, che presuppongono il coinvolgimento non soltanto ai vari livelli della filiera dalla produzione primaria all’industria di trasformazione, ma che necessitano di un’attenzione particolare della politica e del Governo affinché siano adottate le misure utili non solo per garantire la prosecuzione dell’attività produttiva di una filiera fondamentale per l’economia nazionale ma anche, soprattutto, per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari.

Materie prime agricole – L’Italia ha raggiunto un livello particolarmente basso nella capacità di autoapprovvigionamento interno di materie prime agricole che l’ha resa oramai dipendente dalle importazioni per oltre il 60% del proprio fabbisogno. Questa forte dipendenza dall’estero per le produzioni alimentari del nostro Paese rappresenta una notevole criticità per la filiera agro-zootecnica-alimentare, criticità ancor più accentuata dalle problematiche di mercato conseguenti il conflitto tra Russia e Ucraina, e che si erano già evidenziate durante la crisi della pandemia da Covid-19, che pongono interrogativi sulla sicurezza degli approvvigionamenti alimentari.Con particolare riguardo al mais, che rappresenta la più importante materia prima utilizzata per l’alimentazione animale, il cui costante calo della produzione nazionale ha oramai raggiunto un grado di vero e proprio allarme toccando un minimo storico che ci riporta indietro di oltre mezzo secolo.

Il mais ha una funzione strategica ed è insostituibile per la zootecnia nazionale, generando una filiera con un valore complessivo di circa 63 miliardi di euro. Ciononostante si assiste ormai da quasi 20 anni a una continua erosione delle superfici coltivate a questo cereale, con una perdita di quasi 600.000 ettari e circa 6 milioni di tonnellate di granella: una perdita che rischia di diventare un vero e proprio boomerang per l’immagine e per l’economia di un Paese come il nostro che fa del Made in Italy alimentare una bandiera nel mondo. Per questa ragione non è più rinviabile l’adozione di misure che consentano di far recuperare competitività alla nostra produzione primaria: tra queste, oltre alle misure compensative per fronteggiare l’emergenza, è necessario fornire strumenti strutturali come un forte impulso all’innovazione attraverso la messa in atto di quanto mette a nostra disposizione la più moderna ricerca in agricoltura. In particolare occorre un’accelerazione nell’autorizzazione alla sperimentazione in campo delle cosiddette TEA, che possono rappresentare uno strumento importantissimo per ridare competitività alle nostre produzioni agricole, ma anche per far fronte al cambiamento climatico e alla sempre più severa richiesta di sostenibilità ambientale per tutte le produzioni agricole.

Sottoprodotti e co-prodotti agroalimentari – La forte dipendenza dall’estero di materie prime rende necessaria un’attenta gestione dei cosiddetti sottoprodotti del settore agroalimentare che rappresentano una risorsa di estrema importanza per la filiera.Il reimpiego all’interno del ciclo alimentare dei sottoprodotti consente infatti non soltanto di attingere a una fonte di approvvigionamento interno di materie prime per la produzione di mangimi per alimentare gli animali da cui derivano latte, carni, uova e pesce per i nostri consumatori, ma permette anche di realizzare in modo concreto un’economia realmente circolare, aumentando il livello di sostenibilità interno al comparto agroalimentare e contribuendo in modo estremamente significativo a una concreta riduzione degli sprechi alimentari. A oggi l’industria mangimistica impiega una quantità molto rilevante di questi sottoprodotti quantificabile in complesso in circa 5 milioni di tonnellate all’anno (tra crusche, residui della produzione dello zucchero dell’amido, dell’industria dolciaria e pastaria, della produzione di alcool o della birra, del latte, ecc.), generando un valore diretto dei soli sottoprodotti di circa 1,5 miliardi di euro. Per tale ragione è necessario evitare un dirottamento dell’utilizzo di queste materie prime alimentari per usi concorrenti, come ad esempio quello energetico, oltretutto incentivato con aiuti pubblici. Per tale ragione è auspicabile un urgente chiarimento normativo che elimini questa forma di vera e propria concorrenza sleale e spreco alimentare, rispettando un criterio raccomandato anche dalla stessa Commissione europea (cosiddetto food, feed, fuels) che stabilisce una gerarchia di utilizzo dei sottoprodotti che devono essere destinati, in primo luogo, alle produzioni alimentari e mangimistiche e solo in via subordinata, quando ciò non è possibile, all’impiego energetico.

Problematiche amministrative – Ci sono tre problematiche urgenti che affliggono il comparto mangimistico e sulle quale si auspica un intervento in tempi brevi a livello istituzionale:

 – Abolizione registro telematico cereali.  La Legge n. 178/2020 ha stabilito ai commi dal 139 al 142 l’imposizione a carico di alcuni operatori della filiera cerealicola dell’obbligo di tenuta di un registro di carico e scarico dei cereali, dei semi oleosi e dei loro derivati. Tale norma è conosciuta come “Granaio Italia”. Quanto previsto da essa rappresenta un inutile aggravio economico e amministrativo a carico della filiera cerealicola che va nella direzione opposta al criterio della semplificazione e del minor onere per le aziende, e contrario anche alla necessità di sburocratizzazione per le attività produttive. I dati in questione sono a vario titolo già in possesso delle Amministrazioni e pertanto è inutile richiederne la rendicontazione ulteriore agli operatori già alle prese con una miriade di adempimenti amministrativi. Per tale ragione è fortemente auspicabile l’abolizione di questa norma ingiusta e ingiustamente gravosa per le aziende.

Pratiche commerciali sleali. Dal 15 dicembre 2021 è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 198/2021 che, in applicazione della Direttiva (UE) 2019/633, stabilisce disposizioni per il contrasto alle pratiche commerciali sleali. Pur condividendo senza esitazioni lo spirito della normativa, si devono tuttavia evidenziare le forti difficoltà che la medesima pone per i molteplici dubbi sull’interpretazione della normativa per gli operatori del settore agroalimentare, e di quello mangimistico in particolare. In particolare, oltre alle problematiche legate all’applicazione dell’accordo quadro anziché del contratto di cessione, così come alla decorrenza del termine di pagamento che implica difficoltà amministrative notevoli per le aziende, su due aspetti in particolare sarebbe opportuna una modifica della normativa per renderla rispondente a quanto previsto dalla Direttiva comunitaria da cui trae origine, sia per quanto concerne l’obbligatorietà della forma scritta del contratto, così come la durata minima di 12 mesi. Due elementi non in sintonia con quanto disposto dalla Direttiva comunitaria ma anche in forte contrasto con le pratiche e gli usi commerciali che contraddistinguono il settore dell’alimentazione animale.

Peste suina africana. A gennaio 2022 sono comparsi i primi focolai di Peste Suina Africana (PSA) in Liguria e Piemonte. Nel 2023 i focolai di PSA si sono ripresentati con la concreta preoccupazione di un possibile coinvolgimento delle Regioni limitrofe ad alta densità di allevamento. Si tratta di una situazione che nel caso si verificasse metterebbe a serio rischio il nostro patrimonio zootecnico suino, mettendo in pericolo la stessa produzione di tutti prodotti trasformati, ivi compresi quindi anche quelli di eccellenza del nostro agroalimentare: è dunque quanto mai urgente fornire al Commissario straordinario per la PSA i mezzi, anche economici, per l’adozione di un piano immediato che stabilisca reali misure di contenimento della fauna selvatica da cui deriva la crisi sanitaria e per evitare un allargamento della malattia con il coinvolgimento dell’allevamento suino nazionale.