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Intervista a Mario Guidi (Confagricoltura): “Per la crescita servono scelte coraggiose e moderne”

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Presidente, a un anno dalla sua costituzione, subentra alla guida di Agrinsieme, il coordinamento tra Cia, Confagricoltura e Alleanza delle cooperative agroalimentari. Perché la nascita di Agrinsieme?

Il nostro coordinamento, che riunisce oltre il 30 per cento del valore dell’agroalimentare italiano, rappresenta un momento di discontinuità rispetto alle logiche della frammentazione del mondo agricolo. Siamo portatori di un nuovo modello di rappresentanza tra Associazioni diverse, per storia, vocazione e struttura, che hanno avuto il coraggio e la forza di abbandonare un po’ di individualità, senza per questo rinunciare alla propria identità, con l’obiettivo più alto di tutelare i reali interessi di un comparto e delle sue imprese. La scelta di unificare le nostre strategie per proporci come interlocutore unico nei confronti della politica sono convinto rappresenti un reale valore aggiunto rispetto a quanto abbiamo realizzato e continueremo a fare autonomamente. Il nostro bilancio dopo un anno di attività è più che positivo: la nostra presenza è diffusa e consolidata sul territorio. Agrinsieme è oggi rappresentato a diversi livelli da più di mille dirigenti sul territorio nazionale. Oltre 200 sono state le iniziative promosse tra convegni, seminari, tavole rotonde, audizioni parlamentari, incontri con le istituzioni, forze sociali ed economiche. Direi che questo è il segno di un’esperienza positiva che va proseguita.

Pac, tasse sui terreni agricoli e sui fabbricati rurali, nuovi investimenti. Cosa è accaduto nel primo anno di collaborazione appena trascorso? Quali sono le sfide di Agrinsieme e i prossimi impegni per il futuro?


Ci siamo molto impegnati sul fronte del negoziato sulla Pac. Un nostro documento con le proposte per una politica agricola capace di rispondere concretamente alle esigenze delle imprese di settore è stato diffuso ai parlamentari europei, sono seguiti incontri con il ministro delle Politiche agricole, gli assessori regionali all’Agricoltura e con il Commissario Ue all’Agricoltura Dacian Ciolos.
Sul fronte nazionale, abbiamo presentato il documento programmatico sulle strategie del comparto agroalimentare e illustrato quello sul lavoro. Abbiamo rilevato che l’agricoltura può creare centomila nuovi posti di lavoro. In ambito parlamentare, Agrinsieme ha svolto una costante l’attività di lobby, relativa all’iter approvativo del Dl “Del fare” e della legge di stabilità. Abbiamo anche vinto la battaglia per l’esenzione del pagamento dell’Imu sui terreni agricoli e sui fabbricati rurali ed abbiamo sventato il tentativo di finanziare con 400 milioni di euro la defunta Federconsorzi.
Puntiamo su strumenti di collaborazione tra imprese agricole e i diversi soggetti della filiera agroalimentare, agroindustriale e della distribuzione. Infine stiamo lavorando ad un programma economico sui diversi settori, sulla base della progettazione che le nostre imprese stanno prefigurando con iniziative di rete e di aggregazione.

L’agricoltura italiana e la filiera agroalimentare, grazie soprattutto all’export, sono i settori che hanno resistito meglio alla crisi. Tutto ciò non permette di nascondere le difficoltà del settore. Quali sono i vizi e le virtù del sistema?


Il valore aggiunto del comparto agricolo è cresciuto di 70 milioni di euro nel 2013 (+0,3%) rispetto al 2012. Il dato assume particolare rilievo tenendo conto che il Pil, nel suo complesso, ha registrato una perdita dell’1,6%, con l’industria che ha ceduto il 3,8% ed i servizi a -0,9%. Concordo con il ministro Martina sulle potenzialità del settore agricolo e sul fatto che bisogna insistere con provvedimenti a sostegno delle imprese e del comparto. Non va dimenticato, tuttavia, che rispetto al 2005 il settore primario ha perduto valore aggiunto per 1,9 miliardi con una flessione del 6,3%. Per recuperare questo gap rilevante e che viene da lontano servono adeguate politiche per rilanciare l’agricoltura. Occorrono un nuovo approccio, una ristrutturazione delle unità produttive e investimenti, tra i quali anche la banda larga e le infrastrutture, per superare il digital divide nei campi perché è anacronistico escludere le aree rurali dalla rivoluzione 2.0. L’innovazione tecnologica è indispensabile per consentire al nostro settore di crescere ed anche per affrontare i mercati internazionali. Non possiamo più permetterci barriere che impediscono la modernizzazione e la competitività delle nostre imprese. Dobbiamo poter utilizzare tutte le tecnologie che accompagnano lo sviluppo del settore e semplificano l’interazione con i mercati e con la pubblica amministrazione, facendo risparmiare tempo e denaro.

Siamo riconosciuti nel modo per la tipicità e l’eccellenza dei prodotti alimentari. Per fare sistema cosa bisogna fare? Quali sono le condizioni per difendere il Made in Italy dagli attacchi dei “taroccatori” e promuovere l’immagine del prodotto italiano nel mondo?


Le produzioni del “made in Italy” rivestono per l’economia nazionale un’importanza strategica anche perché hanno un effetto trainante per altri settori. Il giro d’affari della contraffazione del prodotto alimentare italiano supera l’export e crea danni economici enormi al Paese. Non c’è dubbio che le frodi rappresentino un danno per l’immagine, per tutto il sistema economico e in particolare per le imprese agricole. È necessario, però, distinguere tra il fenomeno dell’agropirateria e quello dell’italian sounding. Il primo è un vero atto di contraffazione e frode punito da leggi nazionali, comunitarie e internazionali, mentre il secondo si limita ad utilizzare nomi o simboli che si richiamano alla tradizione alimentare e culturale del nostro Paese, contro i quali, in campo internazionale non esistono accordi significativi. Peraltro, non si potrà parlare di contraffazione vera e propria nei Paesi extra Ue sino a quando, come Confagricoltura chiede con forza, non sarà istituito un registro multilaterale delle denominazioni dove far confluire tutti i prodotti europei cui, a quel punto, sarebbe garantita protezione anche in tutti i Paesi del mondo (almeno in quelli del Wto). Ma occorre anche rilanciare anche il tema degli standard tecnici, sociali e ambientali. Quello che dobbiamo pretendere è che, oltre alla tradizione ed alla storia di un prodotto, siano uniformati il più possibile anche i requisiti legati alla qualità, compresa quella igienico sanitaria, il cui rispetto può essere misurato solo attraverso puntuali controlli. È questa una battaglia che va combattuta a 360°, dai controlli sulle importazioni, agli aspetti normativi, sino alla garanzia di una sempre maggiore informazione dei consumatori, non solo in termini di indicazioni in etichetta, ma anche di campagne di sensibilizzazione sui danni che vengono causati all’economia agroalimentare italiana.

Se lei fosse il ministro delle Politiche agricole quali sarebbero le tre azioni da mettere in campo subito?


L’agricoltura è la base del sistema agroalimentare e non solo, per cui il suo Ministero di riferimento va potenziato. Dal 2009 ad oggi, ci sono stati sei diversi ministri, addirittura con cicli di vita politica sempre più brevi e anche i vertici apicali delle strutture hanno subito un continuo turnover. Si è ancora lontani, quindi, da un assetto coerente. Non è una questione di azioni, ma di approccio sistemico. Questo modello, così com’è, non funziona più, non riesce ad essere interlocutore degli altri ministeri, fa fatica a operare in Europa. Serve una scelta coraggiosa, capace di favorire una visione moderna e integrata fra tutti i soggetti che possono rafforzarne la capacità produttiva e la presenza sui mercati mondiali. L’agricoltura può fare da asse portante alla ripresa italiana, con un ministero che faccia da hub, da ‘snodo’, permettendo di condividere le conoscenze, favorire la collaborazione tra imprese, coordinare i progetti territoriali, allocare correttamente le risorse sui fattori strategici, tagliare drasticamente la burocrazia. Ed anche le Regioni dovrebbero essere al servizio di questa strategia di maggiore efficienza”.

Come imprenditore agricolo quali sono le tre cose che chiederebbe alla politica per aumentare la produttività e la competitività sul mercato?
Stiamo andando indubbiamente verso un’agricoltura più professionale e strutturata in grado di assicurare occupazione più stabile e di qualità. In primis, questo processo di modernizzazione andrebbe incoraggiato favorendo gli investimenti nel settore. Sole tre richieste mi sembrano poche. Il legislatore deve favorire e sviluppare l’esercizio in forma societaria dell’impresa agricola in un settore caratterizzato ancora oggi da un’eccessiva frammentazione del tessuto produttivo e da nanismo aziendale. I dati dimostrano che è proprio nelle società e nelle imprese più professionalizzate che si concentra l’occupazione dipendente. Queste imprese hanno gli stessi problemi e incontrano le medesime difficoltà di quelle degli altri settori produttivi. L’agricoltura, che ha un ruolo centrale nelle politiche europee, dovrà averlo anche in quelle nazionali.


Mi piacerebbero anche interventi cofinanziati sui programmi di sviluppo rurale, adeguando l’attuale configurazione delle misure alle reali esigenze d’investimento delle aziende. Occorre assolutamente ridurre il carico burocratico, migliorare la logistica, stabilizzare le relazioni contrattuali con i soggetti a valle della filiera. L’accesso al credito è ancora una forte criticità a causa della despecializzazione e della conseguente difficoltà delle banche a valutare correttamente il rating aziendale. In generale, poi, punterei a migliorare i processi di semplificazione e a concretizzare l’agenda digitale. E abbasserei subito il carico fiscale per le imprese, fulcro delle politiche di sviluppo. L’Italia deve rilanciare la produttività e la competitività attraverso riforme strutturali, anche se queste richiedono tempi lunghi, perché abbiano effetto sul prodotto interno lordo. Abbiamo bisogno di certezze e stabilità. Siamo un Paese da troppo tempo in ansia: in crisi economica, politica e di rappresentanza. L’agricoltura è un settore vitale, innovativo, eclettico e con grandi potenzialità di crescita. Tanto che, nonostante la congiuntura negativa, il mercato del lavoro ‘tiene’. Occorre quindi assecondare la crescita di imprenditori agricoli professionali e di società agricole di persone e di capitali nel nostro settore. E per recuperare valore a fronte della diminuzione dei consumi interni, occorre puntare fortemente sull’export. Infine, serve mettersi in rete.

Cosimo Colasanto