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Aflatossine nel mais: l’agente di controllo biologico che le spazza via è Made in Italy

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di Miriam Cesta, Redazione

Le aflatossine sono sostanze altamente tossiche e cancerogene che contaminano il mais e altre colture e che dal campo arrivano nella nostra alimentazione attraverso diversi cibi tra cui latte, formaggio, spezie e frutta secca. Il rimedio per ridurre drasticamente la contaminazione da aflatossine esiste, ed è Made in Italy: è nato nei laboratori della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. A spiegare come funziona è Paola Battilani, Direttore del Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali Sostenibili della stessa Università.

In Italia la produzione di mais è in crisi. Che ruolo gioca la contaminazione da micotossine? 

Ci sono diverse componenti all’origine della crisi della produzione di mais in Italia. Tra i vari fattori, a giocare un ruolo fondamentale è certamente la contaminazione da micotossine, in particolare le aflatossine. Parliamo di metaboliti di funghi, nello specifico del fungo Aspergillus flavus, e quindi di sostanze naturalmente presenti nella granella di mais, con livelli differenti a seconda delle condizioni ambientali e dell’interazione con la pianta. Queste sostanze sono altamente tossiche e per questo sono state regolamentate a livello Europeo con limiti molto stringenti; il prodotto non conforme non può essere utilizzato a scopo alimentare, né umano, né zootecnico. Abbiamo infatti dei limiti fissati, oltre che per l’uso alimentare umano, anche per gli animali, più stringenti per gli animali da latte: ciò è giustificato dal fatto che in seguito alla somministrazione agli animali di alimenti contaminati ritroviamo nel latte, già alla prima mungitura, l’aflatossina M1, sostanza derivante dal metabolismo dell’aflatossina B1 – che è tra le aflatossine la più diffusa e più tossica – in animali alimentati con mangimi contaminati. La presenza di aflatossine è quindi un importante fattore di rischio all’origine della crisi della maidicoltura, aggravato dal fatto che spesso viene preferito il mais importato da zone a  rischio di contaminazione da aflatossine teoricamente più basso.

Dopo la prima annata critica, il 2003, in cui la contaminazione da aflatossine ha avuto notevoli ripercussioni sulla filiera, in particolare sul latte e in parte sui formaggi, le contaminazioni si presentano in pratica tutti gli anni e con valori anche parecchio elevati. L’esempio più recente è il 2022, ma deve essere ricordato anche il 2012; entrambe le annate sono state critiche sia per i livelli di contaminazione raggiunti che per l’incidenza di partite contaminate.

Le aflatossine non sono però le uniche micotossine che si possono trovare nella granella di mais e che ne inficiano la qualità. Abbiamo anche le fumonisine e il deossinivalenolo (o DON), prodotte principalmente da Fusarium verticillioides e F. graminearum, rispettivamente. Anche queste micotossine sono regolamentate, ma solo per gli alimenti destinati all’uomo, mentre per i prodotti destinati all’alimentazione animale sono disponibili delle “raccomandazioni”.

Quali sono i fattori che determinano lo sviluppo di micotossine?

L’andamento meteorologico dell’annata agraria è il fattore che determina se e quali funghi si possono sviluppare sul mais e l’entità di micotossine prodotte. In passato le tossine prodotte da Fusarium erano il problema per il mais italiano, e vi era una tossina largamente dominante a seconda della zona di coltivazione e dell’andamento meteorologico. Oggi però assistiamo a uno scenario differente: il cambiamento climatico si fa sentire infatti anche su piccola scala, ovvero a livello di azienda agricola. Durante la stagione colturale assistiamo a eventi meteorologici estremi e di conseguenza, nella medesima annata agraria, a seconda dei periodi, si verificano condizioni favorevoli ai diversi funghi, caratterizzati da condizioni di sviluppo molto diverse. Come risultato abbiamo quasi sempre la presenza contemporanea di più micotossine, fatto che potrebbe determinare un effetto non solo additivo, ma anche sinergico dei diversi composti, e quindi un maggiore rischio di tossicità per i consumatori. Al momento la legislazione non tiene conto della compresenza di micotossine differenti, ma non possiamo escludere che lo faccia in un prossimo futuro.

È possibile prevenire le contaminazioni?

È quindi fondamentale mettere in atto tutto quanto possibile per prevenire le contaminazioni. A questo riguardo molto è stato fatto negli ultimi 20 anni: è stato studiato in modo approfondito il ruolo delle tecniche colturali, e le linee guida disponibili per gli agricoltori e per i tecnici del settore costituiscono un grosso supporto e hanno consentito di ridurre sensibilmente le contaminazioni, in particolare per le tossine prodotte dal genere Fusarium

Il discorso è più complesso se parliamo di aflatossine. Essendo i limiti di legge molto restrittivi – parliamo di valori espressi in parti per miliardo (µg/kg) – le corrette pratiche non sono sufficienti a produrre mais nel rispetto dei limiti normativi, in particolare nelle annate calde e siccitose.

Qual è la strategia per evitare il “pericolo aflatossine”?

Nel corso degli anni sono state adottate diverse strategie per ridurre la contaminazione da aflatossine, ma i risultati sono stati spesso non soddisfacenti. Tra le diverse strategie, una che sta dando risultati interessanti è quella che prevede l’uso di un agente di biocontrollo che, oltre ad essere efficace, risponde alla richiesta dell’Europa di ridurre l’impiego dei prodotti chimici in agricoltura.

È lo stesso fungo, A. flavus, che viene impiegato come agente di biocontrollo; in particolare si tratta di un ceppo selezionato da una popolazione di funghi isolata nel nord Italia. Il principio è semplice: la selezione è avvenuta considerando solo ceppi non produttori di aflatossine, molto competitivi che, grazie a questa loro caratteristica, quando addizionati artificialmente all’ambiente vanno a sostituirsi ai ceppi produttori di aflatossine escludendo così, o limitando fortemente, lo sviluppo e di conseguenza la contaminazione da aflatossine nelle colture. Si parla di “esclusione per competizione” da parte di un ceppo nativo del territorio italiano. Naturalmente le esigenze ecologiche di A. flavus sono del tutto simili per i ceppi produttori e non produttori di aflatossine. 

Quanto è efficace l’agente di biocontrollo?

Nelle annate in cui il rischio di contaminazione è maggiore l’agente di biocontrollo risulta più efficace, portando a riduzioni della contaminazione da aflatossine che possono avvicinarsi al 100%, con il risultato che le partite di mais non adatte all’uso alimentare risultano quasi azzerate. Il prodotto è costituito da granella di sorgo devitalizzata e inoculata con le spore del fungo. Può essere utilizzato una volta per stagione colturale, nel periodo che va dalla sarchiatura fino a 15 giorni prima della fioritura. La dose di applicazione è di 25 kg/ha (equivalenti a 2 dosi per ettaro) e avviene per mezzo di normali spandiconcime presenti presso le aziende agricole.

6) Se i risultati sono così importanti, con aflatossine quasi azzerate, come mai ancora non è ancora risolta la problematica della contaminazione da aflatossine nel mais nostrano?

Il prodotto per il biocontrollo, disponibile per gli agricoltori dal 2016, è in fase di registrazione e quindi soggetto ancora ad autorizzazione temporanea di impiego da rinnovare annualmente. Questo comporta notevoli disagi sia per chi lo produce, in quanto ogni anno deve richiedere e attendere l’autorizzazione prima di partire con la produzione, sia per chi lo utilizza, in quanto al momento è autorizzato solo per mais destinato a uso zootecnico e non è utilizzabile in agricoltura biologica. Si tratta solo di una situazione transitoria, in attesa dell’autorizzazione, ma questo non riduce i disagi che ne conseguono.