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«Fame nel mondo: agire subito, preparando il futuro»

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Intervista a mons. Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze.

 

 Preparare il futuro, perché aiutati dalla fede e dalla scienza abbiamo la possibilità di dare al Pianeta uno sviluppo sostenibile”. Per Marcelo Sánchez Sorondo, Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, vescovo e filosofo, non ci sono altre soluzioni di fronte alla piaga della fame nel mondo, riesplosa drammaticamente nel Corno d’Africa: “Bisogna agire subito e aiutare le popolazioni ad uscire dall’emergenza, ma bisogna anche progettare rimedi a lungo termine”, continua Sánchez Sorondo, che in proposito cita Gandhi: “La terra ha alimenti per tutti, ma non ha alimenti per tutti gli egoismi” e, andando al cuore del problema, ricorda che Paolo VI aveva già una chiara visione del rapporto tra fede e scienza, quando incoraggiava gli scienziati affinché “rispettando e sviluppando le leggi naturali, abbiano fiducia di trovare quelle possibilità occulte che la provvidenza ha messo nella Natura per il bene degli uomini”. Senza tabù, perché “il chicco di grano è un prodotto creato da Dio secondo i meccanismi della natura, che l’uomo oggi è capace in parte di imitare”, puntualizza Sánchez Sorondo. “Bisogna quindi sia rispettare la legge naturale che svilupparla secondo le sue positive possibilità – aggiunge – , altrimenti la natura rigetta l’intervento umano. Un esempio? Osserviamo come “il riscaldamento globale sta minacciando il ciclo dell’acqua che è alla base della vita del nostro pianeta”.

 

Un fatto comprovato, ad esempio, è che “la metà dei cosiddetti ghiacciai eterni si sta sciogliendo e che questo stia avvenendo come conseguenza del clima antropico – sottolinea il Cancelliere -, cioè di quell’attività dell’uomo che usa materiale fossile”, come è stato dimostrato nell’ultimo meeting della Pontificia Accademia delle Scienze,  “la più antica delle accademie scientifiche ancora operanti”, ricorda con una punta d’orgoglio l’uomo di fede e di scienza, teologo e professore di Storia della filosofia, rispondendo alle domande nelle sale della Casina Pio IV, gioiello architettonico cinquecentesco incastonato tra i giardini vaticani e San Pietro.

 

 

Monsignore, la fame è un problema non superato, destinato ad aggravarsi nel futuro, e che richiama al senso di responsabilità soprattutto il mondo occidentale. Quali sono le soluzioni?

Naturalmente le soluzioni devono essere di due tipi: immediate e a lunga scadenza, le vere soluzioni sono solo quelle a lunga scadenza. La gente del Corno d’Africa ha fame e la prima cosa da fare è dare loro da mangiare. È un primo passo necessario. Un cuore umano, tanto più cristiano, è obbligato a dare quello che serve. Ogni giorno in Occidente si sperperano grandi quantità di cibo e soldi, tanto che in Gran Bretagna si è scelto di cancellare la data di scadenza da alcuni alimenti per evitare questo fenomeno di enormi dimensioni.

L’altra soluzione guarda al lungo periodo. Si sa che oggi ci sarebbero alimenti per tutti, ma esiste anche un problema reale di governance. In realtà, nei paesi di origine cristiana, c’è una certa giustizia, anche quando può essere perfezionata. Pensiamo a Italia, Francia, Stati Uniti, ma anche all’America Latina. Invece, se consideriamo il mondo globale, e cioè il rapporto tra Paesi, non c’è chi possa stabilire giustizia e, naturalmente, i più grandi si mangiano i più piccoli. Anche il Papa Benedetto ne ha parlato nell’ultima enciclica e in sostanza la crisi a cui stiamo assistendo nel mercato comune europeo è una crisi di governance. Nella situazione in cui siamo, a livello globale, si può parlare di giustizia in sviluppo, cioè di desiderio di giustizia, ma non di una giustizia reale. Com’è possibile che un quinto dell’umanità non abbia di che mangiare?

 

 

In concreto, questo cosa comporta per la nostra generazione?

Dobbiamo essere ispirati da due principi fondamentali, che sono gli stessi che regolano il magistero del Papa in questo campo. La regola principale per il futuro è che dobbiamo prepararlo razionalmente. Il consiglio di provvedere riguardo al futuro è già nel Vangelo, quando si parla della parabola dei talenti. Come ci invita a fare l’economista Joseph Stiglitz, non ci possiamo permettere di giocare con il futuro, perché, come a Las Vegas, sono in pochi quelli che vincono, cioè le lobby, mentre la maggioranza dei popoli perde.

 

 

Quale ruolo ha la scienza?

Preparare e prevedere il futuro è l’obiettivo proprio della razionalità, particolarmente scientifica, condiviso dalla filosofia e dalla religione. Come ha detto il Papa Benedetto all’Accademia, la scienza ha questo privilegio: poter fare previsioni e queste previsioni ci stanno indicando alcune strade non più percorribili. Una dice che se noi usiamo l’energia fossile che accresce il riscaldamento del pianeta, avremo sempre più siccità in Paesi in cui prima non c’era. Ecco, questi popoli non saranno solo poveri, ma anche impoveriti perché privati dell’acqua. Come diceva molto bene Paolo VI: la pace è lo sviluppo. La pace deve proteggere il creato e lo deve sviluppare sostenibilmente, come diciamo oggi. Le due cose, cioè la protezione e lo sviluppo, marciano insieme. E gli scienziati studiando la natura, seguendo le leggi naturali, copiando i suoi meccanismi, devono avere fiducia di trovare quelle possibilità occulte, diceva ancora Paolo VI, che la provvidenza ha messo nella Natura per il bene degli uomini. È questo il compito della scienza: ipotizzare nuove strategie per la soluzione di problemi come il riscaldamento globale o la scarsità di cibo.

 

 

Le emergenze nel mondo sembrano moltiplicarsi senza sosta: un miliardo di persone non ha abbastanza di cui nutrirsi, la catastrofe ecologica globale. Ci sono segnali con cui la Natura ci fa aprire gli occhi sulle che cose non vanno, come ha dimostrato un recente studio dell’Accademia sui “ghiacciai eterni”. Quali sono?

Il problema del riscaldamento globale è che influenza il sistema dell’acqua. L’acqua liquida è il vero miracolo che rende il nostro Pianeta unico nel cosmo. L’acqua si riproduce in un ciclo continuo, in un rapporto delicato tra atmosfera e terra, ma se noi alteriamo questo rapporto o lo rallentiamo, l’effetto che abbiamo è la riduzione dell’acqua, considerata già dagli antichi come il principio di tutte le cose. Nell’ultimo incontro scientifico dell’Accademia abbiamo ospitato uno studio unico nel suo genere che ha riguardato i ghiacciai eterni delle più grandi catene montuose, Alpi, Himalaya, Ande, con ricerche fatte anche sul campo. Ebbene, i ricercatori hanno scoperto che la loro estensione si è ridotta fino al 50%. Un fenomeno che non si può attribuire alle modificazioni del ciclo solare, dato che queste avvengono nell’arco di millenni, mentre queste trasformazioni, provocate dall’uomo e dall’uso dei combustibili fossili, si sono verificate nel giro di 20-30 anni. Per questo è stata coniata all’Accademia la terminologia “clima antropico”.

 

 

Con quali conseguenze sull’uomo?

Le conseguenze sono inimmaginabili. Basti pensare che l’Himalaya è all’origine di tutti i fiumi dell’Asia. Se i ghiacciai vengono ridotti per l’effetto del riscaldamento globale, i fiumi si prosciugano e anche la qualità dell’acqua peggiora, il suo utilizzo viene meno, perché cresce la salinità dovuta alla prevalenza di acqua marina nei bacini fluviali. Se l’acqua è l’inizio della vita, senza acqua non c’è vita. Se tocchiamo l’acqua tocchiamo tutto, tutti i livelli della vita, dai più bassi ai più elevati.

Come incide tutto questo sul futuro dell’alimentazione?

Tutti i cibi sono composti da acqua, l’acqua è essa stessa un alimento. La novità di questo secolo è che abbiamo capito che tutto è in relazione. Tanto che oggi parliamo di globalizzazione per la comunicazione mediatica e della finanza ma in realtà avevamo già una globalizzazione precedente, che potevamo definire chimico-fisica tramite la atmosfera, la biosfera e le correnti marine. Il mondo è globale non solo perché gli uomini intraprendono attività di comunicazione globale, ma anche perché, come abbiamo potuto osservare con i satelliti, sul nostro pianeta tutto è concatenato.

 

 

Rispetto agli allarmi per il futuro della fame nel mondo, come si dovrebbero comportare oggi le Istituzioni?

Ridurre la quota di energia prodotta con petrolio e carbone, ma anche fare appello a regole semplici per tutti può essere utile: nuovi e più efficienti sistemi per riscaldare gli ambienti domestici e di lavoro o per l’illuminazione. Ecco, io dico che non bisogna “andare” verso le energie rinnovabili, ma bisogna “tornare” alle energie rinnovabili, che sono le stesse, vento, mare, sole, che hanno aiutato l’uomo durante tutta l’esistenza e hanno una forza che noi ancora oggi non immaginiamo. Come spesso ci ripete Carlo Rubbia, nostro accademico e grande “fan” del solare: le piante sanno utilizzare il sole in un modo che noi non conosciamo, le piante sono più “intelligenti” di noi. Poco si parla di dare contributi sostanziali per nuove ricerche in questo campo. Si spende di più per sapere come vendere il tabacco che per investigare nuove fonti di energia”.

 

 

Parlando di crescita sostenibile, di sviluppo sostenibile, come pensa che questo possa aiutare il Pianeta, soprattutto a debellare la piaga della fame nel mondo?

Sappiamo per certo che la popolazione continuerà ad aumentare in proporzione geometrica. Tuttavia mi permetto di parafrasare Gandhi: la terra ha alimenti per tutti, se facciamo le cose con giustizia, ma non ha alimenti per tutti gli egoismi. Uno studio recente dell’Accademia di Francia afferma che la terra ha la possibilità di alimentare due volte la popolazione mondiale attuale.

Il grande tema è, quindi, quello dello sviluppo sostenibile. Come più volte ha ribadito il nostro Pontefice la pace si costruisce con il rispetto del Creato. Ecco, nel nostro caso lo sviluppo è quello che si deve fare rispettando le leggi naturali.

Come sostiene il nuovo presidente dell’Accademia, Werner Arber (uno scienziato di fede cristiana ma non Cattolico, scelto con molto coraggio da Benedetto XVI alla guida dell’Istituzione pontificia dopo la morte del presidente Nicola Cabibbo, ndr), lo sviluppo sostenibile passa attraverso la capacità di imitare i meccanismi evolutivi, ossia, i processi che la natura stessa sviluppa.

Alla scienza spetta il compito di scoprire le leggi e le costanti che regolano la natura.

Se proponiamo cose che sono contrarie alla natura – che non è come un materiale plastico disponibile al volere umano – è la legge della natura che ci impedisce di farle.

 

 

Questo sprona gli uomini, scienziati e non, credenti e non credenti, a fare di più. In quale direzione?

Noi cristiani, quando preghiamo, invochiamo il Padre “nostro”, non un padre solo di qualcuno, mio o tuo, ma di tutti, e allo stesso modo chiediamo il “nostro” pane, lo chiediamo per tutti i popoli, per i cristiani e per gli altri. La prima considerazione è che il Signore ci dà questo pane. A noi il compito di fare la sua volontà, ovvero, riguardo alla natura, di procedere razionalmente e liberamente rispettandola e sviluppandola sostenibilmente per il bene comune di tutti i popoli. Come ho già sottolineato, la scienza può aiutarci a vedere quelle potenzialità occulte, come diceva Paolo VI, che non abbiamo sufficientemente esplorato e gli approcci che ancora non abbiamo utilizzato, come stanno mostrando alcuni Paesi modello della produzione agricola, molti dei quali tra quelli in via di sviluppo. Perché non si possono seguire questi modelli, che, d’altronde, sono portati avanti più delle volte da immigrati italiani di prima, seconda, o terza generazione? Infine, vorrei aggiungere un’altra idea del Papa Benedetto XVI che ben corrisponde alla sua visione universale e teologica dell’uomo cioè a partire da Dio e da Cristo: l’ecologia ambientale si dà nel migliore dei modi quando c’è l’ecologia umana, ossia quando l’uomo è virtuoso e rispetta i principi non negoziabili in ordine al suo ben vivere e benessere. “La preghiera – dice San Paolo – serve a tutto”, non solo al ben vivere umano ma anche al rispetto del proprio habitat. San Francesco d’Assisi ne è l’esempio.

 

Foto: Pixabay

 

Cosimo Colasanto