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Mais italiano, una crisi senza fine

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di Giulio Gavino Usai, Responsabile Economico Assalzoo

Anche nel 2023 i primi dati che arrivano dal campo parlano chiaro: un raccolto in ulteriore riduzione porta a toccare un nuovo minimo storico con una produzione destinata a posizionarsi forse anche al di sotto delle 4,5 milioni di tonnellate, facendo fare in sostanza un salto indietro al nostro Paese di circa mezzo secolo.

Si tratta di una circostanza di non poco conto per la filiera agro-zootecnica-alimentare italiana, se si considera che il mais rappresenta una materia prima strategica per le produzioni zootecniche nazionali. Una materia prima di importanza fondamentale per l’alimentazione animale e di fatto a oggi insostituibile con altri cereali nella produzione di mangimi, se non per quantità esigue.

La crisi – La campagna 2023 è l’ultimo tassello di una crisi che viene da molto lontano. Il nostro Paese vive ormai da oltre 15 anni una costante perdita produttiva di mais da granella, le cui superfici seminate sono passate da quasi 1,2 milioni di ettari agli attuali scarsi 500 mila ettari.

Si tratta di una situazione particolarmente preoccupante se si tiene conto che l’Italia consuma ogni anno poco meno di 12 milioni di tonnellate di granella di mais, di cui quasi 9 milioni di tonnellate sono destinate all’alimentazione animale. Di queste tra le 6 e le 6,5 milioni di tonnellate all’anno sono utilizzate dall’industria mangimistica, che ne impiega circa la metà per la produzione di mangimi destinati agli animali allevati per le produzioni DOP.

Nonostante la necessità di questa importante quantità per il consumo interno, siamo arrivati al paradosso che la produzione di mais nazionale sia passata in poco più di 15 anni dalla quasi assoluta autosufficienza a una dipendenza dall’estero che ha superato il 50%, con una tendenza che non accenna ad arrestarsi.

Importazioni – Ciò spiega il motivo per cui il nostro Paese, e in particolare l’industria mangimistica, si trova costretta a importare quantità massicce di mais dall’estero con una perdita di ricchezza per i nostri agricoltori e con un elevato esborso che grava in termini negativi sulla nostra bilancia commerciale. Nel solo anno 2022 abbiamo importato 7 milioni di tonnellate di mais – un record storico assoluto – con una spesa di circa 2 miliardi di euro.

Si tratta di una situazione trascurata da troppo tempo e che ora mina dalle fondamenta non solo la sovranità della filiera agro-zootecnica-alimentare, ma che mette in serio pericolo la stessa sicurezza alimentare del nostro Paese.

Le problematiche all’origine di questo vero e proprio crollo produttivo della maiscoltura italiana sono molteplici, e peraltro oramai ben note, e necessitano ora di essere affrontate con estrema urgenza per non rischiare che i danni diventino irreparabili.

Filiera agro-zootecnica-alimentare – Se vogliamo assicurare un futuro alla filiera dei prodotti alimentari di origine animale e, soprattutto, preservare e accrescere le produzioni di eccellenza del Made in Italy alimentare che rappresentano un valore enorme dell’economia nazionale che sfiora un valore di circa 100 miliardi di euro complessivi, abbiamo la necessità che tutti gli anelli della filiera – da quello più a monte a quello più a valle – facciano la loro parte e diano il loro contributo per fare sì che il mais nazionale torni a essere coltivato, nella consapevolezza che questo cereale di punta dell’agricoltura italiana rappresenta la base imprescindibile sui cui poggiano le produzioni zootecniche e alimentari nazionali.

Finora appare evidente che non siamo riusciti a fare efficacemente filiera. Non si può pensare di risolvere un problema che investe un’intera catena produttiva lasciando che la soluzione trovi una quadra solo nel rapporto tra il produttore agricolo che vende il mais e il mangimista che lo acquista, se poi anche gli anelli “a valle” non fanno la propria parte.  Oneri e onori devono essere equamente distribuiti tra tutte le componenti della filiera.

D’altro canto, appare anche evidente che la filiera non può riuscire da sola a ribaltare una situazione così a fondo compromessa ed è perciò necessario che anche il pubblico, e in particolare il Governo attraverso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, debba fare la sua parte prendendo atto che il crollo produttivo del mais rappresenta un’emergenza nazionale per il settore agro-zootecnico-alimentare.

Interventi – Occorre dare attuazione immediata a due linee di intervento fondamentali:

  • nel breve periodo sono necessarie misure emergenziali, con la previsione di incentivi pubblici diretti a favorire una ripresa della coltivazione del mais nazionale (ad esempio: aiuti accoppiati, aiuti a ettaro legati a contratti di filiera, aiuti per favorire l’attuazione di efficaci pratiche agronomiche per fare fronte al cambiamento climatico e al problema delle micotossine);
  • nel medio-lungo periodo, non è più rinviabile dare immediata applicazione al “Piano maidicolo nazionale” – adottato nel 2020 con la collaborazione di tutta la filiera e mai attuato – per fornire soprattutto agli agricoltori tutti quegli strumenti necessari a far recuperare una reale competitività a questa coltura strategica e rimettere in sicurezza un comparto fondante dell’agroalimentare italiano, indispensabile a garantire l’approvvigionamento alimentare del nostro Paese e a preservare le nostre produzioni alimentari di eccellenza.

Non si tratta di chiedere aiuti a fondo perduto, ma di investire per il futuro di una filiera che rappresenta un volano che, è bene ripeterlo, genera un valore di 100 miliardi di euro, offre lavoro a milioni di famiglie e che, attraverso l’export, rappresenta un porta bandiera delle produzioni italiane nel mondo.