La Commissione Europea ha reso noto di aver pubblicato una serie di schede informative che offrono una panoramica completa sul mercato delle proteine vegetali nell’UE, affrontando temi come offerta, domanda e interventi della PAC. Il settore delle colture seminative dell’UE ha fornito, nel periodo 2023-24, 64 milioni di tonnellate di proteine grezze, principalmente derivanti da foraggi e cereali, mentre i legumi secchi ne rappresentano solo 1,1 milioni, un volume che non soddisfa pienamente le esigenze interne di alimenti, mangimi e prodotti industriali, costringendo l’UE a importare ben 19 milioni di tonnellate di proteine vegetali, soprattutto di soia e farina di soia.
Con la Dichiarazione di Versailles, il Consiglio Europeo ha sottolineato l’urgenza di rafforzare la produzione di proteine vegetali a livello comunitario e tramite le schede informative la Commissione prova a supplire a tali carenze.
La prima scheda evidenzia che i foraggi rappresentano la principale fonte proteica di origine UE, mentre la colza è la pianta più ricca di proteine coltivata localmente. Tuttavia, l’uso di proteine importate rimane fondamentale, specialmente per i mangimi destinati agli allevamenti.
La Politica Agricola Comune (PAC) svolge un ruolo centrale per ridurre la dipendenza dalle importazioni, incentivando colture leguminose attraverso aiuti accoppiati e schemi eco-sostenibili. Quasi tutti gli Stati membri hanno pianificato interventi per promuovere l’inclusione di colture proteiche nei sistemi colturali, apprezzando i benefici ambientali che ne derivano.
Un ulteriore elemento strategico è l’innovazione. Dal 2015, l’UE ha investito 644 milioni di euro in 125 progetti di ricerca, attraverso Horizon 2020 e Horizon Europe, per sviluppare sistemi agricoli più competitivi e sostenibili. Questi progetti mirano a migliorare l’uso delle proteine nel settore zootecnico e a incentivare colture alternative. In parallelo, il Centro Comune di Ricerca europeo sta studiando sinergie e compromessi per una transizione verso un sistema proteico più sostenibile, in cui la resilienza produttiva possa gradualmente sostituire la dipendenza dall’importazione.