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L’Antitrust avvia sette istruttorie per verificare presunte pratiche commerciali scorrette nel settore della commercializzazione dell’olio di oliva

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Il 13 novembre, l’Autorità Antitrust ha avviato sette procedimenti istruttori nei confronti di alcune importanti aziende che commercializzano olio di oliva in Italia per accertare la realizzazione di presunte pratiche commerciali scorrette. Si tratta, in particolare, del Gruppo Carapelli (cui appartengono i tre marchi “Carapelli Il frantoio”, “Bertolli Gentile” e “Sasso Classico), “Carrefour Classico”, “Cirio 100% italiano”, “De Cecco Classico”, “Prima donna Lidl”, “Pietro Coricelli Selezione” e “Santa Sabina”.

Le istruttorie sono state avviate a seguito delle segnalazioni pervenute da un’associazione di consumatori nelle quali venivano riportati i risultati dei test eseguiti su campioni di oli dal laboratorio chimico dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Com’è noto, l’olio di oliva vergine (ossia quello ottenuto mediante processi che non causano alterazione e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione) è classificato nelle tre categorie commerciali di extra-vergine, vergine e lampante, in funzione del grado di acidità e delle caratteristiche chimiche e organolettiche.

Secondo quanto segnalato, le caratteristiche dei campioni di oli sottoposti a verifica sarebbero risultate inferiori ai valori definiti dall’Unione Europea per qualificare l’olio come extra-vergine di oliva.

Qualora l’Autorità accertasse che i prodotti commercializzati non corrispondano alle caratteristiche qualitative dichiarate sulle etichette e nelle campagne pubblicitarie, oltre a vietarne la continuazione, potrà irrogare a ciascuna impresa sanzioni amministrative pecuniarie fino a 5 milioni di euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione, ai sensi dell’art. 27 del Codice del Consumo.

Com’è noto, l’art. 20 del Codice del Consumo definisce “scorrette” le pratiche commerciali contrarie alla diligenza professionale e idonee a falsare, in misura apprezzabile, il comportamento economico del consumatore medio in relazione al prodotto. In base agli artt. 20 e 21 del Codice del Consumo, poi, sono “ingannevoli” le pratiche scorrette che contengono informazioni non rispondenti al vero o comunque idonee ad indurre in errore i consumatori nelle loro scelte d’acquisto e quelle che omettano informazioni rilevanti di cui i consumatori hanno bisogno per prendere una decisione commerciale consapevole.

L’istruttoria dell’Antitrust giunge dopo che la Procura di Torino ha già contestato, nei confronti di alcune di queste imprese, i reati di frode in commercio e di vendita di prodotti industriali con segni mendaci atti ad indurre in inganno il compratore. L’accusa mossa dalla Procura è quella di aver venduto olio di oliva vergine, spacciandolo per olio extra-vergine, più pregiato e soprattutto più costoso rispetto al primo. E’ necessario precisare che l’inchiesta penale non verte sulla potenziale nocività degli oli venduti, bensì sul potenziale inganno rivolto al consumatore, che avrebbe pagato circa il 30% in più una bottiglia di olio pensando che fosse extra-vergine quando in realtà non lo era.

La Procura di Torino ha avviato l’indagine sulla base di una segnalazione da una rivista di tutela dei consumatori, “Il Test” che, lo scorso maggio, aveva pubblicato un servizio da cui risultava che ben 9 delle 20 bottiglie di olio extra-vergine fatte analizzare dal laboratorio chimico di Roma dell’Agenzia delle Dogane sono state declassate dal comitato di assaggio a semplici oli di oliva vergine per la presenza di difetti organolettici o per il mancato rispetto di alcuni parametri chimici. Tali risultati sono stati poi confermati dall’accertamento effettuato, su ordine della stessa Procura, dai carabinieri del Nas su alcuni campioni di oli prelevati nei supermercati torinesi.

 

Foto: Pixabay

Luciano Di Via