Il 4 settembre 2014, la Corte di Giustizia Europea si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale operato dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (“TAR“) in merito alla compatibilità della legislazione italiana che fissa i costi minimi di esercizio nel settore del trasporto merci su strada per conto di terzi con il diritto europeo.
Prima di analizzare la pronuncia della Corte è necessaria una premessa sulla normativa nazionale applicabile al settore dell’autotrasporto.
Il decreto legislativo n. 284, del 21 novembre 2005 ha conferito alla Consulta generale per l’autotrasporto e la logistica[1] il potere di svolgere attività propositiva, di studio, di monitoraggio, di consulenza delle autorità politiche per la definizione delle politiche d’intervento e delle strategie di governo nel settore dell’autotrasporto. Lo stesso decreto ha poi istituito, quale organo della Consulta, l’Osservatorio[2], con funzioni di monitoraggio sul rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza della circolazione e di sicurezza sociale, nonché di aggiornamento degli usi e delle consuetudini applicabili ai contratti verbali di autotrasporto delle merci.
Il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, e in particolare l’articolo 83-bis, prevede, per i soli contratti verbali, che il corrispettivo dovuto dal committente non possa essere inferiore ai costi minimi d’esercizio la cui determinazione è stata demandata all’Osservatorio. Con successivi interventi normativi, la distinzione tra contratti in forma scritta e verbali è stata eliminata e di conseguenza all’Osservatorio è stato attribuito il potere di determinare le tariffe sia con riferimento ai contratti verbali che a quelli scritti, in ragione della necessità di garantire il rispetto degli standard di sicurezza.
In applicazione del decreto legge appena citato, l’Osservatorio ha adottato una serie di tabelle, riprese in un decreto dirigenziale del Ministero[3] delle Infrastrutture e dei Trasporti, che stabiliscono i costi minimi d’esercizio delle imprese di autotrasporto per conto di terzi.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’esercizio del suo potere consultivo sulle iniziative legislative o regolamentari, ha ritenuto che la previsione di cui all’articolo 83-bis, traducendosi nella fissazione di tariffe minime, costituisca uno strumento volto ad “assicurare condizioni di redditività anche a coloro che offrono un servizio inefficiente e di bassa qualità” anziché garantire il soddisfacimento di standard qualitativi e di sicurezza del servizio, auspicando, pertanto, di soddisfare detta esigenza “attraverso misure più coerenti con i principi della concorrenza“[4].
Il TAR, chiamato ad applicare la disposizione, ha rimesso la questione alla Corte, chiedendo di verificare se essa non abbia introdotto un sistema regolato di determinazione dei costi minimi di esercizio in violazione della libertà di concorrenza, della libera circolazione delle imprese, della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi e quindi degli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 101, 49, 56 e 96 TFUE.
La Corte ha premesso che sebbene l’articolo 101 riguardi esclusivamente la condotta delle imprese, e non disposizioni legislative o regolamentari emanate dagli Stati membri, esso va letto in combinato disposto con l’articolo 4 TUE che impone un dovere di collaborazione tra Unione Europea e Stati membri e pertanto prescrive che questi ultimi non adottino disposizioni idonee a ledere le regole a tutela della concorrenza. Ne deriva che quando siano le stesse disposizioni legislative o regolamentari nazionali a imporre o agevolare la conclusione di accordi contrari all’articolo 101 TFUE ovvero deleghino, come nel caso di specie, ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni in materia economica che si rivelino illecite, esse stesse vìolano il diritto europeo.
Ciò premesso, la Corte, con lo scopo di accertare se la normativa italiana in esame consenta di desumere l’esistenza di un’intesa tra operatori economici privati, ha indagato: (i) sulla composizione dell’Osservatorio; e (ii) sulle regole procedurali e sostanziali che ne governavano le funzioni.
Sub (i), è emerso che l’Osservatorio si compone principalmente di rappresentanti di associazioni di categoria dei vettori e di committenti. La Corte ha rilevato, inoltre, che, essendo le decisioni al suo interno assunte a maggioranza senza la previsione di alcun diritto di veto o voto preponderante in capo ad un rappresentante statale, manca la possibilità di poter riequilibrare le relazioni di forza tra l’amministrazione e il privato.
Sub (ii), per la Corte la normativa nazionale oggetto di esame è carente di regole procedurali o prescrizioni sostanziali idonee a garantire che l’Osservatorio, in sede di elaborazione dei costi minimi di esercizio, agisca come un’articolazione del pubblico potere e quindi nel perseguimento di obiettivi di interesse pubblico.
Alla luce di queste verifiche, la Corte ha ritenuto che l’Osservatorio possa essere qualificato come un’associazione di imprese ai sensi dell’articolo 101 TFUE e che quindi la determinazione di costi minimi di esercizio equivalga alla determinazione orizzontale delle tariffe e sia pertanto idonea a restringere il gioco della concorrenza oltre che a pregiudicare gli scambi intracomunitari.
La Corte, poi, ha escluso che le restrizioni imposte dalle norme siano direttamente funzionali al perseguimento di obiettivi legittimi, ritenendo che la tutela della sicurezza stradale, alla base della normativa di delega dei poteri all’Osservatorio, non giustifichi la determinazione dei costi minimi di esercizio e, pertanto, i provvedimenti andassero “al di là del necessario“.
In definitiva, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato incompatibile con il diritto europeo, e nella specie con l’articolo 101 TFUE in combinato disposto con l’articolo 4 TUE, la normativa italiana in forza della quale il prezzo dei servizi di autotrasporto delle merci per conto di terzi non può essere inferiore a costi minimi d’esercizio determinati da un organismo composto principalmente da rappresentanti degli operatori economici interessati, quale l’Osservatorio.
In conclusione, la sentenza della Corte di Giustizia ha effetti vincolanti erga omnes e retroattivi, nel senso che la norma interpretata vincola tutti, autorità nazionali e giudici, ed estende la sua efficacia anche al tempo precedente a quello della sua emanazione. Peraltro, la immediata conseguenza per cui i giudici e le altre autorità nazionali devono, in forza del principio del primato del diritto europeo su quello nazionale, disapplicare la norma contrastante, non esime lo Stato membro dall’abrogare o modificare la norma incompatibile. Ciononostante, anche ove ciò non avvenga immediatamente, il committente ha adesso diritto a rinegoziare il corrispettivo della prestazione con il trasportatore, pattuendo anche un prezzo inferiore a quello finora imposto, pur in assenza di un adeguamento della norma nazionale.
[1] Organo costituito da rappresentanti delle amministrazioni statali, delle associazioni di categoria degli autotrasportatori, delle associazioni di committenti e d’imprese e/o organismi in cui lo Stato ha una quota di maggioranza.
[2] Organo composto di dieci membri scelti dal presidente della Consulta fra i suoi componenti aventi specifica professionalità in materia statistica ed economica. All’epoca della proposizione dei procedimenti principali, da cui la pronuncia della Corte di Giustizia, l’Osservatorio contava tra i dieci membri otto rappresentanti delle associazioni degli autotrasportatori e dei committenti e due rappresentanti delle amministrazioni statali.
[3] Decreto dirigenziale del 22 novembre 2011.
[4] AS723 – Disposizioni in materia di autotrasporto.
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Luciano Di Via – Avvocato