Home Legislazione Quando è concluso un contratto di vendita di materie prime?

Quando è concluso un contratto di vendita di materie prime?

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Nella vendita internazionale di commodities può essere talora complesso stabilire se un contratto è stato effettivamente concluso ed è vincolante per le parti. Accade con frequenza che una delle parti (di regola di fronte a nuove  circostanze come ritardi, indisponibilità della merce, variazioni dei prezzi di mercato) si rifiuti di adempiere sostenendo che le trattative non hanno portato alla stipulazione di un contratto definitivo. 

In caso di contenzioso giudici o arbitri sono chiamati a stabilire se effettivamente un contratto esiste, e si tratta di una valutazione spesso resa complessa dal fatto che per i contratti  di vendita di beni mobili  in molti ordinamenti non è richiesta la forma scritta, e il consenso delle parti  può essere tacito, ossia ricavabile dalla loro condotta (è il caso  per esempio della legge italiana, ed  analoga libertà di forma ricorre nel diritto francese ed inglese). 


Non solo,  ma esistono differenze rilevanti tra i vari ordinamenti con riguardo al momento in cui il contratto può ritenersi perfezionato, ed è dunque  possibile che in base alla legge applicabile l’accordo sia raggiunto anche solo in presenza di una intesa sui termini essenziali, con la possibilità per le parti di integrare in seguito pattuizioni ulteriori. 
Tale ultimo aspetto ha particolare rilievo nel commodity trade, perché spesso le parti non possono (o non intendono)  ancora definire tutti gli elementi del contratto,  ma formalizzano le intese raggiunte rinviando ad un momento successivo l’accordo sui punti pendenti (che possono essere rilevanti,  come prezzo, quantitativi di merce, modalità e termini di consegna).
La giurisprudenza di regola ritiene che in mancanza di accordo su un punto essenziale il contratto non può ritenersi concluso, e nel valutare il peso della singola clausola i giudici danno grande attenzione all’intero complesso delle trattative, per ricostruire l’effettiva volontà delle parti.


Due recentissime decisioni dimostrano però che (soprattutto per i contratti soggetti a legge inglese)  occorre muoversi grande cautela nella fase delle trattative,  senza confidare troppo sul fatto che la mancanza di accordo su alcuni dei punti oggetto delle trattative impedisce il perfezionamento del contratto.
Nel primo caso1 la giurisprudenza ha valutato la distinzione tra contratti vincolanti e intese che invece non sono suscettibili di esecuzione,  in quanto puri  “agreements to agree”.  Un contratto del 2005 tra MRI and Erdenet (società mineraria  con sede in Mongolia) per la fornitura di rame aveva dato vita ad un contenzioso che aveva portato ad un accordo transattivo nel 2009; le parti avrebbero dovuto sottoscrivere tre diversi contratti di fornitura, due per il 2009 ed uno per il 2010, in base alle condizioni riportate in un prospetto allegato alla transazione. 
Un nuovo contenzioso era sorto dal contratto 2010, che lasciava non definiti due aspetti di notevole peso, ossia la shipping schedule, e gli aggiustamenti di prezzo relativi alla raffinazione del minerale (“treatment/refining charges”)  che le parti avevano espressamente concordato “to be agreed during the negotiation of terms for 2010”.  L’accordo al quale le parti avevano fatto rinvio non era stato raggiunto, ed Erdenet aveva rifiutato di eseguire le forniture. 
Nel procedimento arbitrale promosso da MRI gli arbitri hanno ritenuto che il contratto non si fosse perfezionato, trattandosi semplicemente di un impegno a negoziare,  privo di immediata efficacia vincolante. 
Il lodo è stato impugnato e la High Court è stata di diverso avviso;  la corte ha sottolineato che non era sorprendente che le parti avessero lasciato tali aspetti privi di determinazione, dal momento che il contratto era stato sottoscritto circa un anno prima del periodo previsto per la consegna. 


Il fatto che queste restassero  “to be agreed” non escludeva tuttavia di per sé l’esistenza di un contratto, poiché ad avviso della corte il linguaggio utilizzato dalle parti era “a strong indicator that the parties did not intend a failure to agree, still less a refusal to negotiate or seek to agree, as being fatal to their bargain or as entitling either party to walk away from the contract”. 
Un ulteriore elemento che ha indotto la High Court a raggiungere tale conclusione è stato la circostanza che il contratto del 2010 era stato stipulato a fronte della rinuncia da parte di MRI a coltivare reclami significativi nei confronti Erdenet e relativi al contratto del 2005. 
Aspetti analoghi sono stati affrontati in un altro recentissimo caso2,  avente ad oggetto la vendita di un carico di 25.000 tonnellate di greggio;  i termini di fornitura erano racchiusi in una e-mail con oggetto “Firm offer on delivery of ABT 25kt of crude oil mix”,  trasmessa dai venditori a parte acquirente. La e-mail conteneva la proposta di vendere 25 000 tonnellate di prodotto “+/- 10% at the seller’s option, CIF Butinge, Lituania”, e precisava che l’offerta sarebbe stata valida “until close of business”.  
L’acquirente replicava che il termine previsto per la caricazione avrebbe dovuto essere individuato, che la previsione di una lettera di credito era accettabile ma che il testo avrebbe dovuto essere confermato,  e che avrebbero potuto esserci “small changes” in relazione ai meccanismi di riduzione del prezzo. I venditori replicavano che le condizioni contenute una proposta non erano modificabili, e l’acquirente replicava “confirmed”.


In seguito i venditori chiedevano ed ottenevano l’accettazione da parte del compratore riguardo alle caratteristiche della nave, e concordavano il termine per la caricazione. Poco dopo i venditori cercavano di ridimensionare il quantitativo da consegnare, ma trovavano il rifiuto di parte acquirente, che però  in seguito si rifiutava di sottoscrivere il testo ricevuto dai venditori contenente tutte le condizioni e le intese raggiunte, e dichiarava concluse le trattative. 
Nel giudizio promosso da parte venditrice il giudice Mackie QC ha evidenziato che le parti non avevano raggiunto un accordo in relazione a due aspetti significativi, ossia se il quantitativo di 25.000 tonnellate includesse anche acqua e sedimenti, ed il testo  finale della lettera di credito. Ha aggiunto tuttavia che questo non escludeva  che le parti avessero stipulato un contratto,  ed ha sottolineato in particolare l’importanza di accertare quali fossero le effettive intenzioni delle parti,3   richiamando in particolare le considerazioni di Lloyd LJ  nel caso  Pagnan SpA v Feed Products, 4 dove la corte ha chiarito che  “there is no legal obstacle which stands in the way of the parties agreeing to be bound now while deferring important mattes to be agreed later.  It happens every day when parties enter into so-called “heads of agreement””.


Sulla base di tali precedenti la corte ha ritenuto che un accordo era stato raggiunto sulla base dello scambio di corrispondenza e-mail, sottolineando come questo fosse un classico “spot deal”,  nel quale la velocità delle negoziazioni e la volatilità del mercato impone (e rende plausibile) che le parti raggiungano un accordo limitato solo ai termini essenziali, lasciando la definizione di ulteriori elementi del contratto (per quanto importanti) ad una successiva trattativa. 

 Foto: Pixabay

Avv. Claudio Perrella