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Pac, chi vince e chi perde

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Nei giorni cruciali per la conferma dell’accordo raggiunto sulla riforma della Pac, abbiamo chiesto a Roberto Henke, dirigente di ricerca e responsabile dell’”Osservatorio sulle Politiche agricole dell’Ue ed elaborazione degli scenari” dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria (Inea) un commento sui punti chiave e sui nodi del compromesso con gli occhi puntati al momento in cui le norme europee dovranno trovare applicazione nel nostro Paese. 

 
Dottor Henke, il lungo processo di revisione della Pac ha raggiunto la fase finale. Qual è la sua valutazione? 
Il processo di riforma si è per ora assestato su un accordo politico come risultato di un dialogo a tre (il cosiddetto “trilogo”) che ha visto per la prima volta la partecipazione attiva del Parlamento europeo insieme alla Commissione e al Consiglio. Le novità della riforma sono molte rispetto al passato, ma anche rispetto al pacchetto di proposte che hanno circolato all’indomani dell’avvio del processo. Credo che il risultato si possa valutare con cauto ottimismo, nel senso che il negoziato ha apportato alcune modifiche sostanziali rispetto alle proposte originarie che rappresentano una sintesi tra le istanze tecniche della Commissione e quelle più politiche del Parlamento. La partita dei pagamenti diretti mi sembra il vero nocciolo della riforma, mentre se dovessi individuare il punto più debole penserei alle politiche di mercato, che mi sembrano non abbiano ricevuto altrettanta attenzione.


Per l’Italia la nuova Pac sarà negativa o positiva?
Su questo vale la pena sottolineare che gli Stati membri avranno uno spazio molto maggiore che nel passato nel disegnare una Pac che si adatti alle esigenze delle proprie agricolture: dalle decisioni riguardo a quali pagamenti diretti applicare e in che misura (sono facoltativi i pagamenti accoppiati, il pagamento per le zone svantaggiate, il regime per i piccoli agricoltori, il pagamento per i primi ettari) alla definizione di agricoltore attivo, alle scelte riguardo la regionalizzazione. Alcune di queste questioni avranno conseguenze rilevanti sulla distribuzione del sostegno e sul livello di aiuto assicurato a beneficiari e territori. La definizione di agricoltore attivo attiene all’identificazione dei potenziali beneficiari della Pac e alla base di questa scelta sta il modello di agricoltura che si intende sostenere. Allo stesso modo, le decisioni di intervenire con gli aiuti accoppiati è uno strumento che la Pac offre per “sanare” alcune situazioni particolarmente delicate e dunque andrebbe utilizzato per perseguire obiettivi precisi di politica agraria.

 
Il vero banco di prova della riforma sarà nella definizione dei decreti attuativi. Ci saranno delle sorprese?
La nuova Pac offre molti strumenti per poter fare fronte ai problemi specifici delle realtà agricole dei diversi Stati membri. L’Italia si è battuta con successo per difendere le istanze di un Paese complesso come il nostro, fatto di agricolture e sistemi territoriali diversi e complementari. Adesso si tratta di disegnare gli strumenti applicativi con equilibrio e soprattutto cercando di dare di risposte agli obiettivi che si ritengono prioritari e strategici per la nostra agricoltura.

 
Quali sono i settori dell’agricoltura italiana che pagano il prezzo maggiore?

 L’Italia si trova ad affrontare, come altri Stati membri, il passaggio da un criterio storico di distribuzione di pagamenti diretti ad un criterio regionalizzato. In questo passaggio, vi potranno essere delle ripercussioni settoriali, che per forza di cose andranno ad incidere sui settori  tradizionalmente più sostenuti in passato e sulla zootecnia intensiva senza terra. Naturalmente è su questi settori che si possono attivare strumenti compensativi in altri ambiti, dagli aiuti accoppiati alle misure presenti nel secondo pilastro.

È iniziato il percorso che vuole trasformare l’agricoltura da un settore “assistito” a un settore votato alla “produttività” e alla concorrenzialità?
Certamente il sentiero tracciato è una progressione, anche se lenta, da un’agricoltura protetta e sostenuta ad un settore più presente sui mercati e aperto alla competitività internazionale. Il passaggio da aiuti accoppiati alla produzione ad un sostegno legato a comportamenti socialmente responsabili e ai beni pubblici prodotti dall’agricoltura va in questa direzione, così come anche lo smantellamento delle quote di produzione e il sostegno a forme organizzate della produzione. Sulle politiche di mercato vere e proprie, però, ripeto che la riforma a mio avviso si mostra poco coraggiosa, rimanendo nell’ambito di strumenti già noti e complessivamente poco incisivi sulla competitività dell’agricoltura europea.

 Foto: Pixabay

Cosimo Colasanto