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Acquacoltura, la certificazione non è garanzia di sostenibilità

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Il rapido sviluppo dell’acquacoltura porta con sé preoccupazioni sul suo impatto ambientale e sociale e gli standard di certificazione dei prodotti a disposizione degli allevatori non sono sufficienti a garantire la sostenibilità del settore. A portare alla luce il problema è uno studio pubblicato da un gruppo internazionale di ricercatori sulla rivista Science, secondo cui se, da un lato, è vero che la certificazione dei prodotti contribuisce ad una produzione sostenibile, dall’altro ha dei limiti significativi.

 

In particolare, i prodotti non sono certificati in tutto il mondo, ma solo negli Stati Uniti e nella Comunità Europea. Ciononostante la maggior parte del consumo di pesce avviene in altre aree del pianeta. Un ulteriore limite è posto dal fatto che la certificazione è focalizzata sulle singole aziende e non tiene in considerazione l’impatto di più industrie presenti in una stessa area. Infine, il sistema attuale non coinvolge tutte le parti in causa, escludendo soprattutto i produttori più piccoli, in particolare in Africa, Centro e Sud America e nella maggior parte dell’Asia, zone in cui si concentra la maggior parte della produzione ittica.

 

Questa situazione può essere migliorata includendo la certificazione in una serie di strategie mirate alla sostenibilità dell’acquacoltura. In particolare, la certificazione dovrebbe contribuire maggiormente ai programmi di sostenibilità a livello nazionale e riguardare anche le nazioni del Sud Globale, che non devono essere necessariamente considerate incapaci o non interessate a una regolamentazione del settore.

 

 Foto: Pixabay

Silvia Soligon