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Relazione fra ospite e comunità microbica intestinale

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Microrganismi intestinali e ospite

Il microbioma è definito come “l’insieme dei microrganismi, dei loro genomi e delle interazioni ambientali che questi stabiliscono in un dato ambiente” (http://www.treccani.it/enciclopedia/) e la disponibilità delle tecnologie genomiche ha permesso negli ultimi anni di approfondire la conoscenza sulla composizione e sulle funzioni di quello che una volta veniva definita come “flora intestinale”.
Il microbioma intestinale ha di recente attratto la comunità scientifica in quanto gli studi realizzati negli animali da laboratorio e nell’uomo hanno evidenziato il ruolo che la comunità microbica svolge nel tratto digerente anche nelle specie monogastriche e non erbivore. Il microbioma, infatti, interagisce con l’ospite con diverse modalità e, oltre a fermentare i principi nutritivi che non vengono digeriti nel tenue,produce numerosi metaboliti che svolgono diversi ruoli funzionali nell’ospite. Il rapporto fra comunità microbica e ospite rappresenta quindi un complesso sistema biologico ed è necessario quindi “astrarre” dal concetto canonico di flora intestinale e non solo per la diversa collocazione tassonomica dei batteri (dominio bacteria) rispetto alla flora (dominio eukarya), ma anche proprio per la reciproca influenzafra microbioma e tutto l’organismo animale.
Le numerose ricerche svolte e recentemente pubblicate in unareview critica da Alckoc et al (2014) hanno portato a considerare il microbioma intestinale come un vero e proprio organo endocrino, in grado di produrre anche neurotramsettitori, come dopamina, serotonina e acido gamma amino butirrico, i quali, fra le diverse azioni,regolano l’umore, le abitudini alimentari, l’ingestione di energia e la risposta immunitaria dell’ospite.
Molto interesse hanno riscosso gli studi che hanno puntualizzato come il microbioma intestinale giochi un ruolo chiave per l’insorgenza dell’obesità (Park et al,2015; Turnbaugh et al,2006) e della malattia infiammatoria del colon (IBD) (Deng and Swanson, 2015) nel cane, nel topo e nell’uomo. Nel complesso, le evidenze scientifiche hanno portato allo sviluppo della teoriadi un asse microbioma, intestino, cervello (Mayer et al, 2015) e alla definizione di questo rapporto in termini di “superorganismo”, ovvero una comunità formata da ospite e microrganismi che condividono le stesse finalità (Dietert, 2014). Tuttavia, non va dimenticato che in alcune condizioni i microrganismi possono competere fra di loro in termini di fitness, habitat e nutrienti. In queste situazioni, spesso pochespecie di microrganismi prendono il sopravvento, in quanto una bassa biodiversità consente a poche popolazioni di aumentare considerevolmente ilnumero. In tal modo, i microorganismi condizionano attraverso i loro metaboliti l’ospite per indurlo a comportamenti o a risposte biologiche in grado di soddisfare le loro esigenze. Popolazioni microbiche molto numerose, infatti, producono fattori specifici per le loro strategiee presentano livelli molto elevati di coordinamento delle attività (quorum sensing). Una biodiversità ridotta è stata associata a comportamenti alimentari non ottimali per l’ospite, e può indurreobesità e diminuzione complessiva della fitness dell’ospite. Invece, in caso di un’elevata biodiversità della comunità microbica si osserva un aumento del dispendio di energie e di risorse per un aumento di competizione delle popolazioni presenti nell’ecosistema intestinale.
Studi recenti hanno considerato quale relazione esiste fra fattori dietetici e composizione e variazioni della comunità microbica intestinale (Kerr et al, 2013; Panasevich et al. 2015; Sandri et al, 2014; Sandri et al, 2017). Le ricerche in questa direzione sono molto importanti per chiarire l’effetto del regime dietetico e della presenza di nutrienti specifici, quali nutraceutici, probiotici, prebiotici e simbiotici (Panasevich et al, 2015; Stercova et al, 2016), nel modulare la comunità microbica intestinale, al fine di mantenerne la biodiversità ed orientare la produzione di metaboliti che svolgono un ruolo positivo sulla risposta biologica dell’ospite.

L’approccio metodologico

Dal punto di vista metodologico, lo studio del microbioma intestinale richiede l’utilizzo delle scienze omiche, e si attua con il sequenziamento di tutto il genoma o di regioni ipervariabili del DNA microbico. Un approccio più completo prevede inoltre di identificare le funzioni del microbioma, ovvero l’espressione dell’RNA, le proteine e gli altri metaboliti. Nel complesso, quindi si ricorre a metodologie genomiche, trascrittomiche, proteomiche e metabolomiche. In questo modo si può conoscere non solo quali microrganismi sono presenti, ma anche le potenziali interferenze che possono avere con l’ospite. Negli studi clinici, i dati omici sono infine completati da misure di biomarcatori e da elementi diagnosticiper correlare la composizione della comunità microbica con gli stati pato-fisiologici dell’organismo ospite. Una delle tecniche più utilizzate per lo studio della composizione della comunità batterica si basa sul sequenziamento delle regioni ipervariabili del DNA ribosomiale, in particolare le regioni V3 e V4 del 16S rRNA. In tal modo si riducono di molto i costi dell’analisi, pur mantenendo profondità di sequenziamento elevate, garantendo in tal modo una buona annotazione tassonomica dei microrganismi.Una cura particolare deve però essere posta sulla procedura di campionamento, al fine di evitare inquinamenti ambientali legati alla manualità del prelievo e di bloccare la crescita dei microrganismi durante la conservazione. Per quanto attiene agli studi di trascrittomica, il sequenziamento dell’RNA richiede un protocollo di raccolta e di conservazione dei campioni ancora più rigido, al fine di evitare artefatti legati al tempo che intercorre fra campionamento e analisi. Diverse sono le opzioni per gli studi di proteomica e di metabolomica in relazione agli obiettivi delle ricerche e delle applicazioni e al costo analitico. Infatti, si possono misurare i soli acidi grassi con tecniche separative, piuttosto che impiegare la risonanza magnetica per identificare quante più molecole possibili. Il notevole numero di dati che le tecnologie omiche generano richiedono un forte ausilio informatico, per permettere di evidenziare e di confrontare la composizione della comunità microbica e per identificare pattern funzionali specifici che sottendono alle funzioni e alle interazioni del microbioma con l’ospite (McHardy et al, 2013).

 

Dieta e microbioma nel cane

Lo studio del microbioma intestinale offre quindi nuove potenzialità per approfondire il ruolo dell’alimentazione e dei fattori dietetici sull’utilizzo dei nutrienti e l’interazione con l’ospite. L’interesse che questi studi hanno riscosso nel campo degli animali da compagnia deriva dall’aumento dell’incidenza della patologie gastro enteriche nel cane (Redfern et al, 2017) e pertanto la conoscenza dell’effetto dell’alimentazione sulle disbisosi intestinali diventa sempre più importante, sia come strumento preventivo sia per il supporto al trattamento delle enteropatie croniche. Per tale motivo, da alcuni anni, abbiamo operato per mettere a punto delle procedure di studio del microbioma fecale nel cane, per disporre di strumenti operativi utili non solo dal punto di vista scientifico ma anche da quello tecnico operativo. In collaborazione con lo spinoff dell’Università di Udine Nutrigene srl sono state sviluppate alcune ricerche volte a definire quanto la popolazione microbica fecale nel cane possa risentire delle modifiche della composizione e della qualità della dieta (Sandri et al, 2017). Nello specifico, è stato studiato l’effetto della somministrazione di un alimento completo estruso (RD) rispetto a una dieta costituita da un alimento complementare vegetale e da carne cruda (MD). I risultati hanno messo in evidenza un importante shift della comunità microbica in seguito ai cambiamenti di dieta, apprezzabili ai livelli tassonomici di famiglia e di genere. Inoltre, è stato osservato (Figura 1) un aumento significativo della biodiversità con la dieta mista (alimento complementare e carne, MD) rispetto ad un mangime commerciale completo estruso (RD).Il mantenimento o l’aumento della biodiversità dei microrganismi intestinali è considerato positivamente per il corretto funzionamento del digerente e per l’interazione con l’ospite (Deng and Swanson, 2015). Una riduzione di biodiversità a livello di genere (Park et al, 2015), misurata come indice di Shannon (H’), è stata anche osservata in cani obesi rispetto a quelli magri, con valori medi diH’pari a 1,32+0,31 nei primi e a 2,25+0,35 nei secondi (P< 0.05). Inoltre, gli autori hanno riportato una riduzione consistente dei Firmicutes e un aumento considerevole di Proteobacteria nei soggetti obesi rispetto a quelli magri (P<0.01). A queste differenze di microbioma osservate nelle feci sono inoltre corrisposte differenze significative delle concentrazioni plasmatiche di cortisolo, tiroxina, leptina e 5-idrossi triptamina, a conferma della forte interazione fra microrganismi e ospite. Un altro studio da poco concluso ha analizzato anche la variabilità del microbioma fecale nel cane in seguito alla somministrazione di diete formulate con ingredienti diversi, in particolare con ceci o piselli. Anche in questo caso è stata osservata una rilevante modulazione della comunità microbica in relazione al tipo di alimentazione somministrata. Dalla figura 2 si può infatti apprezzare la capacità discriminante che le abbondanze dei generi di microrganismi nelle feci hanno in relazione alle diete offerte ai cani (Panello A) e l’effetto che il tipo di alimentazione esercita sull’indice beta di biodiversità (Panello B).

 

Considerazioni e prospettive future

Gli studi delle relazioni fra microrganismi e ospite hanno assunto una notevole rilevanza clinica e applicativa per la medicina umana e hanno avuto importanti ricadute pratiche dal punto di vista dietologico. Infatti, in ambito umano sono già disponibili dei servizi di alimentazione personalizzata che tengono in considerazione, oltre al profilo genetico dell’individuo, la composizione del microbioma, al fine di indirizzare la scelta verso alimenti in grado di mantenere la biodiversità o di favorire microrganismi con specifiche funzioni, anche mediante l’impiego di probiotici, prebiotici o simbionti. Per gli animali da compagnia le conoscenze maturate nella comunità scientifica non sono ancora esaustive, ma gli sforzi fino ad ora profusi hanno consentito di mettere in evidenza l’importanza del microbioma per la salute anche nei carnivori, sia opportunistici come il cane sia obbligati come il gatto. La possibilità di approcciare queste nuove tecnologie genomiche per lo studio dell’interazione alimento e animale, mediato dal microbioma, rappresenta per l’industria mangimistica un’opportunità da sfruttare per migliorare la qualità nutrizionale degli alimenti per gli animali.

 

Foto: © beawolf – Fotolia.com

Misa Sandri, Sandy Sgorlon, Bruno Stefanon