Il mais italiano, negli ultimi anni è stato investito da problematiche di varia natura che hanno determinato un importante e preoccupante calo della superficie coltivata e del tasso di autoapprovvigionamento del nostro paese. Negli ultimi dieci anni è stato perso oltre il 30% della produzione nazionale, con investimenti scesi nel 2016 sotto i 700 mila ettari ed acquisti di mais dall’estero aumentati del 17% rispetto al 2015 (Agrisole, 2017).
Coltura portante del sistema agro-zootecnico nazionale e di realtà tipiche e strategiche dell’economia agroalimentare italiana (prodotti alimentari a marchio UE), il mais nazionale necessita, anche a salvaguardia del diritto alla sicurezza e all’autosufficienza alimentare, di un piano di rilancio e di valorizzazione della sua coltivazione e della sua commercializzazione.
Scenari climatici ed ambientali nuovi ed imprevisti che si configurano e si susseguono velocemente, un mercato globale in continuo divenire e una normativa di settore a sempre più alta definizione, esigono che vengano individuati percorsi tecnici innovativi in grado di fornire produzioni elevate,sostenibilie di idoneo profilo qualitativo ed igienico-sanitario.
Un contesto di tale complessità, ma soprattutto di tale rilevanza, stimola e orienta la ricerca pubblica e privata, verso una crescente attività di monitoraggio dei fattori della produzione agraria e dei processi di gestione del prodotto ottenuto.
A integrazione e completamento del lavoro di monitoraggio delle partite commerciali di mais nei principali comprensori maidicoli nazionali finanziato dal MIPAAF (progetto Rete Qualità Cereali plus – Mais, RQC-Mais), si evidenzia l’importanza di difendere epreservare l’esistenza di una Rete nazionale pubblica di confronto varietale che, attraverso l’introduzione e la gestione di elementi di variabilità controllata, consenta di valutare l’attitudine generale e specifica degli ibridi commerciali di mais nel fornire produzioni competitive per resa e per qualità.
Tale impianto sperimentale sul mais è statopensato e implementatoa metà degli anni’50, sotto il coordinamento dell’ex Istituto sperimentale per la Cerealicoltura diBergamo.L’introduzione in Italia dei primi ibridi di mais dagli Stati Uniti stimolò, in quegli anni, una fervida attività di studio e di valutazione dei nuovi materiali;fu necessario allora impostaree realizzare una rete di sperimentazione il più estesa possibile che consentisse di verificarel’adattabilità, la potenzialitàe la stabilità produttiva degli ibridi di recente introduzione sul mercato sementiero nazionale. Abbandonata definitivamente la coltivazione delle varietà locali, sostituite gradualmente dagli ibridi mediamente molto più produttivi,le imprese sementiere attivenel nostro paese svilupparono programmi di ricerca e di selezione sempre piùnumerosi e articolati,finalizzati all’ottenimento di prodotti di crescente competitività. I maiscoltori si trovarono di fronte a una offerta estremamente ampia e dinamica di materiali tra cui poter scegliere ela rete di confrontovarietale,attraversola raccolta didatinumerosi, obiettivied aggiornati su rese, resistenze a malattie e destinazione d’uso, consentì la divulgazione presso gli operatori di settore di informazioni rilevanti nella scelta sempre più mirata e difficoltosa dei piani colturali e delle genetiche più adatte alle specifiche realtà produttive.
Fino a metà degli anni ’90 l’attività sperimentale fu focalizzata esclusivamentesulla valutazione generale di potenzialità produttive e adattabilità degli ibridi, per cui le prove vennero organizzate secondo semplici disegni a blocchi randomizzati, raggruppando gli ibridi per classe di maturità.In un secondo momento la ricerca pubblica applicata, sollecitata da una normativa di settore che iniziava a delineare un’agricoltura a ridotto impatto ambientale, riconsiderò il senso di tale attività sperimentale, ampliandone le finalità ed introducendo nel sistema di prove parcellari i fattori agronomici, su due o tre livelli (epoca di semina, investimento, concimazione azotata, irrigazione e trattamenti insetticidi). Questo upgrade perseguiva un duplice obiettivo: da un lato incrementare ulteriormente la variabilità ambientale esplorata e dall’altro tentare di studiare l’interazione tra ibridi e pratiche colturali tradizionali e innovative, per identificare i prodotti e le genetiche più idonee a una coltivazione a bassi input, nel rispetto delle direttive regionali in materia di limitazione d’uso dell’azoto, dell’acqua irrigua e dei trattamenti chimici.Si passò quindi dall’applicazione di un disegno sperimentali a blocchi randomizzati a quella di uno schema di tipo fattoriale (split-plot), dove sulla parcella principale fu posto il fattore agronomico e sulla sub-parcella l’ibrido.
Attualmente la rete nazionale di confronto varietale maisè coordinata dal CREA di Bergamo che, con la collaborazione di vari soggetti, pubblici e privati (aziende sperimentali, consorzi di cooperative, società di servizi per l’agricoltura), organizza e gestisce un impianto di prove in campoarticolato in 18-20 località ubicate nei principali comprensori maidicoli del Nord Italia.Ogni anno vengono sottoposti a comparazione circa 70-80 ibridi di maisdi distinta provenienza commerciale, sia da granella che da trinciato integrale appartenenti alle differenti classi FAO (dalla 300 alla 700).I criteri generali per la composizione della lista degli ibridi, nonché i metodi e gli intendimenti della sperimentazione vengono definiti all’interno di un comitato tecnico con la partecipazione dell’Associazione italiana sementi e degli operatori di filiera.
La rete sperimentale mais si è rivelata fondamentale nel corso degli ultimi anniper poter disporre di una struttura di supporto tecnico ad altri progetti di ricerca nazionali, riguardanti problematiche emergenti, quali la presenza di nuovi insetti fitogafi (IDIAM), la contaminazione da micotossine (MICOCER, AFLARID, MICOPRINCEM, RQC), il divieto d’uso dei concianti neonicotinoidi (APENET).Nell’ambito di tali programmi, si è sfruttata la preesistente rete per impostare tesi aggiuntive, e/o per prelevare campioni da sottoporre ad analisi.I risultati ottenuti da tali progetti sono statidivulgatiin occasione di convegni, di incontri tecnici fra soggetti coinvolti nella filiera maidicola epubblicazioni su riviste specializzate: gli operatori di settore, dai maiscoltori ai servizi di assistenza tecnica, hanno potuto disporredelleinformazioni e degli aggiornamenti necessari per una programmazione più consapevole ed efficace dell’attività lavorativa.
Nell’ultimo decennio, con il diffondersi delle micotossine nelle partite commerciali di mais italiano, l’aspetto igienico sanitario delle produzioni ha assunto grandeimportanza e la rete agronomica, nell’ambito del progetto RQC-Mais, è diventata fonte di dati per l’individuazione e l’analisi dei fattori ambientali e agronomici che possono concorrere nel determinarel’accumulo di micotossine nella granella di mais.
Nel biennio 2015-2016, 7 ibridi dei 40 selezionati per il confronto varietale sono stati analizzati con test ELISA e caratterizzati per il loro contenuto in fumonisine, aflatossina B1, deossinivalenolo (DON) e zearalenone (ZEA).Tutti i sette ibridi sono stati oggetto di prova in otto località di distinta area geografica.Per ciascun ibrido sono state raccolte 32 osservazioni.
La stagione 2015 è stata caratterizzata da un’estate estremamente calda e siccitosa. Il quadro climatico nel 2016 è stato decisamente meno drammatico di quello del 2015, infatti, dopo un periodo di tempo, da giugno ad agosto relativamente fresco e umido, è subentrato a partire dalla terza decade di agosto un andamento termico eccezionalmente caldo che ha accorciato il periodo di accumulo, determinando un calo delle rese attese e favorendo l’instaurarsi di condizioni potenzialmente favorevoli all’accumulo di aflatossine (Mazzinelli et al., 2017).
Le rese medie complessiveal 15,5% di umidità degli ibridi analizzati per il contenuto in micotossine provenienti dalla rete agronomica sono state rispettivamente 122,93 q/ha nel 2015 e 155,20 q/ha nel 2016, in linea con i dati ufficiali delle produzioni nazionali medie per ettaro di granella, che hanno visto mediamente produzioni unitario più elevate nel 2016 rispetto al 2015.
Le analisi effettuate nel 2015, annata difficile per la coltivazione del mais, presso il laboratorio del CREA hanno rilevato quanto segue:
– una situazione critica nel 2015 sia per le fumonisine che per l’aflatossina B1, considerando come destinazione d’uso della granella quella ad uso alimentare umano diretto, ma non quella ad uso alimentare zootecnico,
– un diverso profilo qualitativo della granella a seconda della provenienza agronomica del materiale: ambienti agronomici con idonea irrigazione, protezione fitosanitaria e concimazione azotata hanno fornito mediamente produzioni più elevate e granella di migliore qualità.
Fumonisine: i valori medi di contaminazione di ciascun ibrido si sono posizionati al di sopra del valore massimo previsto dal Regolamento Europeo(2007) nel caso di granella di mais ad uso alimentare umano diretto (4000 µg/kg); due ibridi si sono collocati al di sotto dellasoglia critica. Tutti i campioni analizzati sono risultati idonei rispetto a quanto stabilito dalla normativa per le materie prime nei mangimi, che vede come valore discriminante quello di 60000 µg/kg (Raccomandazione UE, 2006).
Aflatossina B1:nei due anni di sperimentazione, la media del livello di contaminazione di tutti gli ibridi selezionati e coltivati nei differenti ambienti agronomici è stata di 2,41 µg/kg,con un minimo di 0,82 µg/kg e un massimo di 4,86 µg/kg.L’andamento climatico nel 2015 ha favorito il diffondersi di questa micotossina: solo due ibridi su sette hanno fatto registrare valoridi AFB1 medi al di sotto dei 2 µg/kg, limite massimo per la granella ad uso alimentare diretto (Regolamento UE, 2010). Tutti i materiali testati hanno mostrato un adeguato profilo igienico sanitarioper quanto riguarda la destinazione ad uso zootecnico, come materia prima nei mangimi (Regolamento UE, 2011),con un livello di contaminazione in AFB1 inferiore ai 20 µg/kg.
Nel 2016, per contro tutti i materiali esaminati provenienti dalla rete di confronto nazionale e dalle prove agronomiche realizzate, hanno presentato un elevato profilo igienico – sanitario.
DON-ZEA: I valori rilevatisono risultati tutti conformi a quanto previsto dalla normativa in materia (Regolamento UE, 2006).Anche per queste due classi di metaboliti fungini è stata riscontrata tendenzialmente una differenza a seconda dell’origine dei campioni esaminati. Fenomeni di stress indotto (con o senza irrigazione) hanno determinato un incremento della presenza di DON e ZEA, per quanto sempre contenuta e non rilevante.
Alla luce di questi dati, si sottolinea l’importanza per la ricerca e per tutti coloro che agiscono nel settore maidicolo dipoter disporre in Italia di una Rete nazionale pubblica di confronto varietale, ovvero di un impianto sperimentale ampio e stabile nel tempo, che consenta di ottenere dati statisticamente significativi sui materiali genetici messi a disposizione dal mercato sementiero, sulle tecniche colturali in evoluzione e sulle problematiche emergenti.Gli operatori di settorehanno, grazie ai progetti e alle attività di ricerca impostate su tale sistema sperimentale, la possibilità di informarsi e di poter scegliere consapevolmente gli strumenti più idonei nell’affrontare le sfide che il mondo agroalimentare nazionale ed internazionale ci sta presentando.
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Chiara Lanzanova, Francesca Fumagalli, Stefania Mascheroni, Sabrina Locatelli.