I semi di lino sono usati come materia prima in alimentazione animale e, in particolare, nei ruminanti da latte e da carne, fin dal diciannovesimo secolo, sia come seme intero sia come panello o farina di estrazione. Il loro uso era prevalentemente associato ad una blanda azione antinfiammatoria nel caso della vacca da latte e ad un riconosciuto effetto migliorativo della qualità organolettica della carne nel caso del bovino da carne. Solo a partire dagli anni novanta del secolo scorso, l’utilizzo del lino, così come quello di altre oleaginose, è stato considerato come strategia per aumentare la concentrazione energetica della dieta soprattutto negli animali ad alta produttività. Ancora più recentemente, all’inizio del duemila, l’utilizzo del lino ha acquisito un ulteriore interesse legato alla possibilità di modificare la composizione degli acidi grassi dei lipidi del latte, della carne e delle uova, grazie all’elevato contenuto di acido alfa-linolenico (ALA) dell’olio di lino. Infine, pochi anni fa, si è aggiunto un altro aspetto interessante nell’impiego del lino come materia prima dell’alimentazione animale, legato all’effetto mitigante rispetto alle emissioni di metano enterico da parte dei ruminanti.
I semi di lino, grazie al loro contenuto di olio ricco di ALA, che rappresenta tra il 50 e il 60% degli acidi grassi totali, sono una fonte alimentare di omega-3 fondamentale per gli animali, in particolare per quegli animali alimentati con razioni contenenti foraggi conservati. La principale fonte di ALA nell’alimentazione dei ruminanti, infatti, è il foraggio fresco. E’ noto, tuttavia, che i processi di fienagione e di insilamento, anche quando ben condotti, provocano un’importante riduzione del contenuto di omega-3 del foraggio. Inoltre, più del 90% dell’ALA contenuto nella razione va incontro al processo di bio-idrogenazione ruminale che riduce l’ALA ad acido stearico. Il risultato è che gli apporti di ALA, che insieme all’acido linoleico è considerato essenziale nella nutrizione animale, sono spesso inferiori ai fabbisogni previsti. Ne consegue, inoltre, che il trasferimento di ALA al grasso del latte e della carne è altrettanto insufficiente, determinando così un contenuto di ALA non ottimale rispetto ai valori necessari per soddisfare i fabbisogni dell’uomo.
L’impiego di semi di lino interi (tal quali, estrusi, laminati, tostati, ecc) nell’alimentazione animale come fonte di ALA, pertanto, ha visto aumentare l’interesse, soprattutto da quando è risultato evidente che gli oli vegetali ad alto contenuto di acidi grassi polinsaturi, come appunto l’olio di lino, determinano, oltre che a un aumento degli acidi grassi essenziali, anche un incremento del contenuto di acidi grassi funzionali (come l’acido linoleico coniugato e l’acido vaccenico) nei lipidi del latte e della carne.
Nel caso delle vacche da latte, la concentrazione di ALA, acido linoleico coniugato e acido vaccenico nel grasso del latte aumenta linearmente con l’aumento del contenuto di semi o olio di lino nella dieta, fino a livelli di inclusione pari al 3-4% della sostanza secca ingerita. Per quantità superiori al 5-6% si cominciano a verificare fenomeni di diminuzione della digeribilità della frazione fibrosa della dieta con perdite di capacità produttiva e di qualità del latte (diminuzione della percentuale di grasso).
Nel caso dei bovini da carne, al pari di quanto visto per quelli da latte, sono disponibili numerose sperimentazioni che hanno valutato l’effetto del lino sia sotto forma di seme intero (tal quale, estruso, laminato, tostato) sia come panello. I risultati sono simili a quelli osservati per il latte, ma con alcune differenze relative alla diversa natura del grasso intramuscolare rispetto a quello del latte. Nel caso dei lipidi della carne, infatti, la presenza di fosfolipidi, percentualmente rilevante nel caso di carni magre, determina un effetto evidente della somministrazione di lino sulla percentuale di acidi grassi omega-3 a più lunga catena e con 5 o 6 doppi legami. In particolare EPA e DHA tendono ad aumentare, malgrado l’effetto più evidente rimanga quello sul contenuto di ALA. Anche nel caso della carne, pertanto, malgrado il processo di bioidrogenazione determini la riduzione di più del 90% dell’ALA presente nella razione, un’adeguata integrazione di lino comporta un miglioramento del contenuto di acidi grassi omega-3 nella carne. In tal senso, comunque, i migliori risultati sono stati ottenuti con semi di lino estrusi anziché laminati e con semi laminati o macinati rispetto a quelli somministrati interi.
Sperimentazioni svolte sui piccoli ruminanti, in particolare pecore e capre da latte, hanno evidenziato una migliore efficienza di trasferimento di ALA dalla dieta al grasso del latte, probabilmente in funzione della più elevata velocità di transito che caratterizza i piccoli ruminanti rispetto ai grandi, comportando così una riduzione del tasso di biodrogenazione ruminale.
Dato l’alto costo dei semi di lino come materia prima per mangimi (tra gli 800 e i 1000 euro a tonnellata), alcune ricerche hanno recentemente messo in evidenza che è possibile rallentare il decorso delle bioidrogenazioni ruminali attraverso l’utilizzo selettivo di alcune sostanze del metabolismo secondario delle piante. In particolare i tannini e anche altri tipi di polifenoli si sono dimostrati efficaci nella riduzione del primo step del processo di bioidrogenazione e, pertanto, potrebbero essere utilmente impiegati per diminuire la quantità di lino utile per ottenere un incremento significativo del contenuto di ALA nel grasso del latte o della carne.
Un discorso a parte merita l’utilizzo del lino nell’alimentazione degli animali non ruminanti come suino, coniglio e pollame (sia da carne sia da uova). In questo caso, dato la mancanza del processo di bioidrogenazione ruminale, il tasso di trasferimento di ALA dalla dieta alla carne o ai lipidi del tuorlo d’uovo risulta più efficiente e in grado di garantire livelli di arricchimentodegli alimenti in ALA ben superiori a quelli prevedibili per il latte e la carne dei ruminanti.
Una menzione a parte merita il ruolo che recentemente è stato riconosciuto all’utilizzo del lino nella dieta dei ruminanti, come mezzo di mitigazione delle emissioni di metano. E’ noto, infatti, che il sistema zootecnico produce una parte significativa del metano di origine antropica. Tale criticità può essere affrontata con diverse strategie, di cui alcune di natura alimentare. La comunità scientifica ha riconosciuto che una delle strategie alimentari più efficaci è l’utilizzo di supplementi lipidi nella dieta dei ruminanti. Il lino, in particolare, tra le diverse fonti lipidiche utilizzabili, è risultato molto efficace garantendo diminuzioni percentuali di metano emesso fino a più del 30%per integrazioni pari a circa il 5% della sostanza secca ingerita.
In conclusione l’utilizzo del lino nell’alimentazione animale presenta numerosi vantaggi che vanno dall’aumento della concentrazione energetica della razione (effetto comune a tutte le atre fonti grassate) al miglioramento della qualità nutrizionale del grasso del latte e della carne, alla mitigazione della produzione di metano enterico nei ruminanti.
Esistono tuttavia anche una serie di limiti che dovrebbero essere attentamente valutati per consentire un pieno sviluppo dell’utilizzo di questa materia prima nelle filiere zootecniche. Innanzitutto sarebbe opportuno operare a livello agronomico per migliorare le rese ad ettaro della coltura di lino, attualmente difficilmente superiori alle 2 tonnellate ad ha. Questo aspetto consentirebbe di aumentare l’autoapprovvigionamento di lino, con indubbio beneficio per i costi di alimentazione. Molti tecnici guardano ancora con diffidenza all’utilizzo di lipidi nella dieta della vacca da latte per timore di effetti negativi sulla digeribilità della fibra e sul contenuto di grasso del latte. Tale timore è stato confutato da numerose sperimentazioni che hanno dimostrato che fino al 4-5% di lino nella dieta non si hanno effetti negativi, soprattutto in presenza di adeguate quantità di fibra digeribile. Nel caso del grasso della carne, va evidenziato che l’incremento di acidi grassi polinsaturi omega-3 comporta un aumento della suscettibilità all’ossidazione della carne stessa. E’ consigliabile, pertanto, che opportune strategie di integrazione con antiossidanti siano previste nella dieta degli animali che ricevono un supplemento di lino. In tal senso si è rilevato molto interessante l’utilizzo di sottoprodotti agro-industriali ricchi di tocoferoli, caroteni e polifenoli (sanse, pastazzi, ecc.).
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Marcello Mele