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La ricerca sulle spalledelle imprese. Assalzoo, “Preoccupano i dati Istat su ricerca e sviluppo”

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In Italia si consuma molto più di quanto si produce. E gli investimenti pubblici in ricerca non tengono il passo, gravando per la maggior parte sulle imprese private, che nel 2011 hanno speso 4 volte più soldi delle Istituzioni pubbliche, rispettivamente 10,8 miliardi di euro contro i 2,6 miliardi degli enti di ricerca. È quanto si legge nel Rapporto che l’Istat ha dedicato alla ricerca e allo sviluppo in Italia. Nel campo della ricerca e sviluppo in agricoltura la limitatezza degli investimenti del settore pubblico è ancora più pesante, se si pensa che la ricerca pubblica effettuata in strutture di ricerca con competenza in scienze agrarie e veterinarie è pari al 13% del totale della spesa delle amministrazioni pubbliche, che per il 2011 è stata di 348 milioni, mentre il 48% della spesa per la ricerca legata alla filiera agro-alimentare arriva direttamente dall’industria agro-alimentare.

 

“Si tratta di un dato – commenta Assalzoo, l’Associazione nazionale tra i produttori di alimenti zootecnici – che preoccupa e conferma quanto già più volte denunciato dall’Associazione sul pesantissimo ritardo accumulato dal nostro Paese e che grava sulla nostra agricoltura e sull’intero settore agroalimentare, contribuendo a minare dalle fondamenta la competitività delle nostre aziende sul mercato interno e internazionale”. Tra l’altro lo sforzo delle imprese “fotografato” dall’Istat, continua Assalzoo, “riflette la necessità di sopperire, in un periodo contrassegnato dalla crisi economica, alle mancanze della ricerca pubblica, ai tagli delle risorse destinate agli Enti e ai giovani ricercatori. Questa situazione sta di fatto facendo arretrare la nostra agricoltura, mentre nel resto del mondo una ricerca sempre più avanzata consente una crescita economica continua e per alcuni Paesi addirittura senza precedenti”.

Lo scarso peso riservato dalla ricerca pubblica in agricoltura, ricorda Assalzoo, rischia di “rendere cronica la dipendenza italiana dalle materie prime importate dall’estero, che già oggi si attestano al 50% delle risorse di cui l’Italia ha bisogno e, anzi, di aggravarla ancor più per il futuro, nuocendo all’intero agroalimentare italiano e alle produzioni di eccellenza del Made in Italy”

 

co.col.