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Economici e sicuri:dalle piante i biofarmacidel futuro?

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Sono equivalenti ai farmaci biologici «classici» – quelli, per intenderci, prodotti da colture di cellule di batterio o di lievito – ma per essere prodotti necessitano di costi molto più bassi. E, soprattutto, risultano più sicuri per la salute umana: sono i nuovi farmaci biosimilari prodotti a partire dalle piante con l’aiuto dell’ingegneria genetica. A spiegarne il funzionamento è Rosella Franconi, biologa biotecnologa, primo ricercatore dell’ENEA, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile.
In Italia nessuna proteina farmaceutica per uso umano ottenuta dalle piante ha ancora raggiunto il mercato. Per diverse molecole la commercializzazione è però molto vicina: tra queste, un enzima per il trattamento della malattia di Gaucher prodotto dalle carote, l’insulina per il trattamento del diabete realizzato a partire dai semi di girasole e una molecola per il trattamento dell’epatite C prodotta dal Dna di una pianta acquatica.

 

Dalle piante ai farmaci passando per gli Ogm: quali sono i vantaggi di questo nuovo modo di produrre molecole terapeutiche?

I sistemi vegetali rappresentano piattaforme di produzione di proteine ‘ricombinanti’, prodotte cioè mediante tecniche di ingegneria genetica, quali i farmaci biologici, in grado di competere con altri sistemi di produzione ‘classici’ (colture di cellule di batterio, lievito, insetto, mammifero). Tre, in particolare, sono i vantaggi che si possono ricavare da questo nuovo modo di produrre biofarmaci. Il primo è quello economico: i sistemi di espressione vegetale possono garantire bassi costi di produzione poiché non necessitano di substrati di crescita costosi. La pianta, infatti, porta a termine il compito di sintetizzare le proteine usando luce, acqua, anidride carbonica e suolo, tutte materie prime rinnovabili e gratuite: è stato infatti calcolato che le proteine ricombinanti possono essere prodotte in pianta al 2-10% dei costi dei processi fermentativi microbici e allo 0,1% dei costi delle colture cellulari di mammifero.
Ci sono poi i vantaggi legati alla sicurezza per la salute dell’uomo: le piante, rispetto agli altri sistemi di produzione,  sono infatti più sicure poiché non contengono endotossine né hanno patogeni in comune con l’uomo come prioni, virus e sequenze di Dna oncogenico, e questo rende minimi i rischi per la salute umana.
Infine, ci sono i vantaggi strettamente legati alla qualità delle molecole prodotte dalle piante: essendo organismi più evoluti dei batteri, le piante sono infatti in grado di produrre proteine complesse (come gli anticorpi), mantenendone le caratteristiche strutturali e funzionali.

 
Come possiamo classificare questi nuovi farmaci ‘intelligenti’?
La classifica può essere stilata in base al loro meccanismo d’azione. Possiamo così distinguere: biofarmaci con attività enzimatica o regolatoria (farmaci di sostituzione, come l’insulina); bioterapeutici con attività contro bersagli specifici (come gli anticorpi); vaccini profilattici e terapeutici; diagnostici.

 
Esistono attualmente in commercio biofarmaci prodotti da piante per uso umano?
Nessuna proteina farmaceutica per uso umano ottenuta dalle piante ha ancora raggiunto il mercato. Diverse molecole terapeutiche sono però prossime alla commercializzazione: tra queste vale la pena mettere in evidenza l’enzima glucocerebrosidasi per il trattamento della malattia di Gaucher, prodotto in sospensioni cellulari transgeniche di carota, alternativo all’attuale costoso farmaco prodotto in colture cellulari di mammifero o estratto dalla placenta umana. C’è poi l’insulina per il trattamento del diabete, prodotta dai semi di girasole, che ha  dimostrato di essere un ottimo biosimilare dell’insulina ricombinante attualmente in commercio. Per il trattamento dell’epatite C ci sarebbe poi l’IFN-a2b, prodotto nella pianta acquatica Lemna, e l’anticorpo terapeutico per il trattamento del linfoma di tipo non-Hodgkin, prodotto nelle piante di tabacco.

 

I costi di produzione contenuti potranno rappresentare un grande punto di forza per i farmaci biosimilari prodotti dalle piante.
Il caso dell’enzima glucocerebrosidasi prodotto in cellule di carota è emblematico: questo biosimilare a basso costo andrà a competere sul mercato con un farmaco il cui costo attuale annuo per paziente è di circa 200 mila dollari. Questo esempio apre la strada alla produzione di farmaci per il trattamento delle malattie rare. La produzione in pianta permetterebbe inoltre di fronteggiare eventuali carenze nella produzione di vaccini in casi di pandemie.

 

Quali sono i problemi che si devono superare affinché questa tecnologia possa prendere piede? Lo sviluppo di questi nuovi prodotti farmaceutici, basati sulle biotecnologie vegetali e sulle modificazioni genetiche, potrebbe essere compromesso dall’attuale mancanza di un  adeguato supporto economico alla ricerca pubblica nazionale  come pure dalla rigidità dell’attuale regolamentazione sugli Organismi geneticamente modificati (Ogm) in Italia e in Europa. Sarebbe perciò fondamentale sviluppare un nuovo sistema normativo, oppure implementare gli attuali regolamenti e adattarli alle piante per uso non-commestibile per la produzione di nuovi farmaci.
Sarebbe  inoltre importante che l’industria farmaceutica e quella sementiera si aprano a queste nuove possibilità e che vengano realizzate quelle infrastrutture adatte alla produzione dei biofarmaci a un grado di purezza adeguato per poter condurre studi clinici di fase IIB/III (produzione secondo ‘GMP’, ‘Good Manufacturing Practice’), fondamentali per la successiva commercializzazione delle molecole prodotte. Ritengo che il  ‘filone’  dei biofarmaci da pianta potrebbe consentire la creazione di nuovi posti di lavoro (penso a tutti quei giovani  laureati in biotecnologie che attualmente non vedono riconosciuta la propria professionalità), come pure fornire al servizio sanitario nazionale uno strumento in più  per garantire a tutti il diritto alla cura.

 

Foto: Pixabay

Miriam Cesta