Un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington (Seattle, Usa) e dell’Università di Edimburgo (Regno Unito) ha aggiunto l’ultimo tassello al mosaico dei meccanismi che permettono alle piante di sapere quand’è arrivato il momento di fiorire. Secondo quanto riportato sulle pagine della rivista Science il pezzo mancante era il fotorecettore FKF1, una proteina che viene attivata dalla luce solare.
Per una pianta sapere quando è il momento migliore per fiorire è importante per riuscire a riprodursi con successo. Dal punto di vista agronomico, invece, “saper regolare il momento della fioritura ci potrebbe consentire di aumentare le rese delle coltivazioni anticipandolo o posticipandolo“, ha spiegato Takato Imaizumi, responsabile della ricerca pubblicata su Science. Non solo, anche le rese delle piante coltivate per produrre biocarburanti potrebbero essere aumentate nello stesso modo.
I meccanismi responsabili del controllo della fioritura coinvolgono la luce del Sole e il ritmo circadiano delle piante, cioè il loro orologio biologico. In particolare, le piante usano questo orologio biologico per misurare le variazioni del numero di ore di luce e, in base a queste, capire in quale stagione si trovano.
Imaizumi ha spiegato che FKF1 “è espressa tutti i giorni nel tardo pomeriggio ed è fortemente regolata dall’orologio circadiano della pianta. Quando è espressa in giorni che sono corti, questa proteina non può essere attivata, perché nel tardo pomeriggio non c’è luce. Quando questa proteina è espressa in giornate più lunghe, questo fotorecettore usa la luce e attiva i meccanismi della fioritura”. La conseguenza è la migrazione della proteina FLOWERING LOCUS T dalle foglie all’apice del germoglio, dove “istruisce” le cellule indifferenziate a diventare fiori e non foglie.
La scoperta è stata effettuata nella pianta modello Arabidopsis, ma Andrew Millar, coautore della ricerca, ha spiegato che “questi principi sono validi anche in altre piante, come il riso, in cui la risposta delle coltivazioni alla lunghezza del giorno è uno dei fattori che limitano la possibilità degli agricoltori di ottenere buoni raccolti in alcune zone”.
Non solo, il tipo di risposta studiato è lo stesso che regola l’uso controllato della luce negli allevamenti avicoli e ittici. Tuttavia, ha precisato Millar, “le proteine coinvolte negli animali non sono state ancora comprese altrettanto bene, ma ci aspettiamo che si possano applicare gli stessi principi che abbiamo imparato da questi studi”.
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Silvia Soligon