L’allevamento suino è un comparto zootecnico di grande rilievo nel panorama nazionale, con un patrimonio di oltre 9 milioni di capi allevati in circa 10’000 allevamenti diffusi sul territorio e con un fatturato di 2,3 mld € /anno (dati SMEA, 2009).
I suini sono particolarmente esposti agli effetti negativi conseguenti l’ingestione di alimenti contaminati da micotossine, a differenza dei bovini, manca l’azione protettiva tipica della microflora ruminale; inoltre, il tasso di inclusione di cereali e loro sottoprodotti nelle diete è piuttosto elevato. Le principali micotossine responsabili delle riduzioni di performance produttive, di peggioramento dello stato sanitario e della situazione di benessere sono le aflatossine, i tricoteceni, l’ocratossina, lo zearalenone e le fumonisine.
Aflatossine. L’esposizione cronica all’aflatossina B1 (da 0,5 a 0,8 mg/kg) comporta riduzione dell’efficienza alimentare (fino al 35%), della digestione dei lipidi e della funzionalità epatica e renale (Bonomi et al., 1992; Silvotti et al., 1995; Baldi et al., 2003). Secondo Linderman et al. (1993), l’ingestione di aflatossine può essere inoltre associata ad un peggioramento del metabolismo proteico. Ad ogni modo, il modesto accumulo di metaboliti nelle carni di animali esposti a diete contaminate, di molto inferiore all’1% della quota ingerita, non sembra rappresentare un problema per il consumatore finale. Gli alimenti maggiormente a rischio di contaminazione sono i cereali, in modo particolare il mais e i relativi sottoprodotti, e le farine di estrazione. I livelli massimi ammessi nei mangimi per suini sono di 0,02 mg/kg di aflatossina B1 (4) (0.01 mg/kg per gli animali giovani).
Ocratossina A. Più delle aflatossine, l’ocratossina A (OTA) viene considerata un grave problema per l’allevamento suino. L’ingestione di 2,5 mg/kg di OTA in giovani suini (15 kg) ha ridotto l’ingestione di alimento e l’efficienza alimentare (-15%). Inoltre, gravi disfunzionalità epatico-renali ed effetti depressivi del sistema immunitario degli animali vengono spesso associati all’ingestione di OTA (Smith e al., 2005). Sperimentazioni da noi condotte indicano che, nel caso di una somministrazione non molto prolungata nel tempo, il passaggio di OTA dalla dieta ai tessuti è basso e diventa non trascurabile solo ad alte concentrazioni nel mangime. Con una contaminazione di 0,05 mg/kg, valore di riferimento per i mangimi per suini proposto dalla Commissione Europea nella Raccomandazione 576/2006, si possono avere concentrazioni di OTA nelle carni ad un livello vicino ad 1 µg/kg (valore di riferimento in Italia).
La presenza di OTA nelle carni suine rappresenta un problema tangibile per l’intera filiera: Zanotti et al. (2001), campionando circa 160 salumi presenti sul mercato, hanno mostrato che il 56% dei campioni raccolti aveva una concentrazione di OTA superiore a 1 µg/kg. Successivamente, Pietri et al. (2006) hanno condotto un’indagine sulla contaminazione da OTA in carni suine fresche e lavorate. Sono stati raccolti 22 campioni di carne fresca (rifilature di prosciutto) presso stabilimenti industriali e sono stati prelevati complessivamente 84 campioni di: prosciutto crudo (n=30), prosciutto cotto (n=12), salame (n=12), coppa (n=18) e würstel (n=12), in diversi punti vendita dell’Emilia. La tossina è risultata presente nel 47% dei campioni, con valori superiori a 0,03 µg/kg nel 24% di essi. Alti livelli di OTA sono stati trovati in campioni di prosciutto crudo: in 5 (17%) di questi la contaminazione trovata ha superato il livello di 1,0 mg/kg e in 2 era superiore a 10 mg/kg; si tratta tuttavia di contaminazioni prevalentemente dirette, dovute a muffe ocratossigene cresciute sui prodotti durante la stagionatura.
Gli alimenti maggiormente a rischio sono i cereali, in particolare frumento ed orzo, e i sottoprodotti della molitura. I livelli massimi raccomandati nei mangimi per suini sono di 0,05 mg/kg(5).
Fumonisine. La tossicosi da fumonisine nei suini è caratterizzata da edemi polmonari, problemi cardiovascolari ed epatici. Edema polmonare letale e idrotorace sono fenomeni riportati in suini esposti all’ingestione di alimenti con una concentrazione di fumonisina B1 (FB1) maggiore di 12 mg/kg. Quando l’esposizione è stata prolungata per un periodo di 8 settimane, anche livelli inferiori (circa 1 mg/kg) hanno prodotto proliferazione del tessuto connettivo polmonare e problemi respiratori. Oltre agli effetti sul sistema respiratorio, le manifestazioni di tossicosi da fumonisine nei suini riguardano danni epatici, come necrosi epatiche e colestasi. Gli animali riducono l’ingestione di alimento, evidenziano segni di encefalopatia, perdita di peso e iperplasia dei noduli epatici. Queste alterazioni sono accompagnate da variazioni dei parametri biochimici ematici. Ad oggi si ritiene che le fumonisine non vengano accumulate nelle carni, non modificandone la qualità (Rotter et al., 1997). Allo stesso modo, se alimenti contaminati da fumonisine vengono ingeriti da scrofe in lattazione, non si ha una eliminazione dei metaboliti nel latte, e perciò non si evidenziano effetti tossici sui suinetti. Tuttavia, scrofe in lattazione alimentate con diete contaminate da FB1 hanno mostrato una riduzione della fertilità e peggioramenti nello sviluppo dei feti (Zomborsky-Kovacs e al., 2000). Abbiamo stata effettuata una prova di accrescimento: 128 suinetti (peso iniziale circa 9 kg) sono stati allevati per 35 giorni. Gli animali sono stati suddivisi in 4 gruppi omogenei ed alimentati con 4 diete isoenergetiche ed isoproteiche contenenti il 33% di mais. Per preparare le 4 diete sono state utilizzate 4 partite di mais naturalmente contaminato da FB1 a livelli di 922, 5212, 6458 e 13166 µg/kg. Come mostrato in figura, per ogni 10 mg/kg di ingerita dagli animali si registra una riduzione di 30 g/giorno di incremento in peso. In un mese, la differenza in peso fra un suinetto che ingerisce 1 mg/kg o 10 mg/kg di FB1 potrebbe essere di 1 kg.
Gli alimenti maggiormente a rischio di contaminazione sono il mais e i suoi sottoprodotti. I livelli massimi raccomandati nei mangimi per suini sono di 5 mg/kg(2) per la FB1 + FB2.
Tricoteceni. La riduzione dell’ingestione è forse il primo sintomo associato all’ingestione di alimenti contaminati da micotossine, ma esso è particolarmente importante quando gli animali ingeriscono tricoteceni. I principali tricoteceni sono la tossina T-2 e la tossina HT-2, il diacetossiscirpenolo (DAS), il nivalenolo (NIV) e, particolarmente diffuso, il deossinivalenolo (DON). I tricoteceni sono dei potenti inibitori della sintesi proteica nei mammiferi ed interferiscono con la sintesi del DNA e RNA (Smith e al., 2005). I segni clinici indotti dalla tossina T-2 e dal DAS comprendono irritazioni dermiche ed orali, necrosi, gastroenteriti, vomito, diarrea, alterazione nei parametri della coagulazione, emorragie e riduzione dell’appetito. La tossina T-2 somministrata alle scrofe in gestazione ad alti dosaggi nelle settimane precedenti il parto determina un forte aumento della mortalità fetale. Il DON, invece, causa rifiuto parziale o totale dell’alimento. Alterazioni nei rapporti fra serotonina, dopamina e acido 5 idrossi-indolacetico (5-HIAA) a livello celebrale possono essere alla base del rifiuto del cibo: la somministrazione di 30 µg/kg di DON induce un aumento del 5-HIAA nel fluido cerebrospinale con conseguente aumento del turnover della serotonina (Prelusky er al. 1992). Inoltre, la presenza di DON determina un’alterazione del metabolismo proteico a livello epatico (inibizione della sintesi proteica), con aumento della aminoacidemia e soprattutto dei livelli di triptofano, che in maggior quantità giunge al cervello ed aumenta la sintesi di serotonina (Smith, 1997). I tricoteceni sono rapidamente metabolizzati dall’organismo animale ed escreti. I residui non rappresentano in genere un problema pratico di contaminazione delle carni (CAST, 2003). Gli alimenti maggiormente a rischio di contaminazione sono i cereali ed i loro sottoprodotti.. I livelli massimi raccomandati di DON nei mangimi per suini sono di 0.9 mg/kg(2).
Zearalenone. Lo zearalenone e i suoi metaboliti sono caratterizzati dall’avere attività estrogeno-simile. La specie suina è particolarmente sensibile , con evidenti manifestazioni estrali negli animali impuberi. Livelli di 1 mg/kg inducono i tipici segni dell’estro in scrofette (Kordik et al., 1992). Situazioni di estro permanente, di pseudo-gravidanza e di conseguente infertilità sono rilevabili anche a livelli più bassi di contaminazione, quali 20 µg/kg di alimento o meno. La riduzione delle performance riproduttive si manifesta anche a causa dell’aumento di prolassi vaginali e rettali, vulvovaginiti, edema dell’utero, cisti ovariche, aumento della velocità di maturazione dei follicoli, mentre nei verri si ha degenerazione degli epiteli germinali ed alterata formazione di sperma. Gli alimenti maggiormente a rischio di contaminazione sono il mais e i suoi sottoprodotti. I livelli massimi raccomandati nei mangimi per suini sono di 0,1 mg/kg per suinetti e scrofette e di 0,25 mg/kg per le scrofe e i suini all’ingrasso.
Diversi sono i provvedimenti che si possono attuare per ridurre gli effetti negativi dovuti all’ingestione di alimenti contaminati da micotossine. In prima istanza l’attenzione va posta provvedimenti tecnico/agoromici ma nel caso nel quale le materie prime risultino contaminate, vari processi di decontaminazione e detossificazione possono essere messi in atto; di tipo fisico (pulizia delle partite, inattivazione termica, irradiazione, etc.); di tipo chimico (ammoniazione, ozonizzazione, trattamenti acido/basici, sequestranti, etc.).
Fra i metodi più utilizzati per ridurre gli effetti negativi dovuti all’ingestione di micotossine negli allevamenti per suini, vi è l’impiego di agenti adsorbenti. Recentemente presso ISAN abbiamo valutata l’efficienza di sequestro delle aflatossine da parte di diverse tipologie di adsorbenti, simulando l’ambiente del tratto gastro-intestinale dei suini. Da questa ricerca è emerso come diverse bentoniti (Ca, Mg e Na bentonite) e la clinoptinolite siano molto efficienti nel sequestro di queste micotossine. Altri prodotti (zeoliti, caoliniti e pareti di lievito) largamente utilizzati, sono risultati meno efficienti. Perciò, la scelta corretta dell’adsorbente da somministrare agli animale appare critico per ridurre al minimo gli effetti negativi dovuti all’ingestione di micotossine, anche ai bassi dosaggi d’ingestione.
Non vanno trascurati provvedimenti di carattere alimentare finalizzati ad aumentare la tollerabilità nei riguardi di alcune micotossine, quali l’utilizzo di molecole a funzione antiossidante.
In conclusione, la presenza di micotossine negli alimenti per suini determina soprattutto problemi di efficienza produttiva; che si associano, spesso, ad un peggioramento dello stato sanitario, con necessità di maggiori interventi di carattere farmacologico.
Non è da escludere, nel caso dell’OTA, qualche rischio, anche se ridotto nel nostro paese, per il passaggio nelle carni.
Pubblicato: Gennaio-Marzo 2010
Foto: Pixabay
Gianfranco Piva, Amedeo Pietri, Antonio Gallo