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Micotossine e produzione zootecniche: aspetti generali

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Le micotossine sono metaboliti secondari prodotti da numerose specie fungine capaci di colonizzare gli alimenti destinati al consumo umano ed animale lungo tutta la filiera produttiva (Payne et al., 1988; Scheidegger e Payne, 2003). Sono dotate di proprietà tossiche ed immunodepressive, hanno effetti diretti sullo stato sanitario degli animali, che possono portare a riduzione delle performance produttive (Smith et al., 2005), con perdite economiche e rischio di contaminazione dei prodotti derivati (carne, latte e uova).
Dati gli ingenti danni economici ed il rischio per la salute dei consumatori, sono state emanate precise normative in merito, in particolare, la UE ha recentemente emanato una serie di documenti riguardanti l’argomento (Dir. CE n. 100/2003; Racc. CE n. 576/2006; Reg. CE n. 1881/2006 e 1126/2007). Anche in Italia, con il decreto del Ministero della Salute del 15 maggio 2006, è stato recepito anticipatamente quanto raccomandato dalla CE circa i livelli massimi di OTA ammissibili nei mangimi. Anche l’EFSA, l’agenzia preposta alla valutazione del rischio alimentare nell’UE, ha accentuato, fra il 2004 e il 2007, la propria attenzione sull’argomento e “sulla valutazione del rischio per il consumatore” con una serie di pareri che hanno riguardato le principali classi di micotossine: aflatossine (EFSA-Q-2006-174, 2007), fumonisine (EFSA-Q-2003-040, 2005), deossinivalenolo (EFSA-Q-2003-036, 2004), zearalenone (EFSAQ- 2003-037, 2004) e ocratossina (EFSA-Q-2003-037, 2006).
Anche se sono state classificate circa 1100 specie fungine capaci di produrre oltre 2000 micotossine (Turner and Alderidge, 1983; CAST, 2003), con strutture molto diverse fra loro, i principali generi di miceti micotossigeni sono Aspergillus, Penicillum e Fusarium spp.
Le condizioni nelle quali tali metaboliti vengono prodotti non sono ancora ben definite, anche se condizioni di stress delle piante in campo e cattive condizioni di stoccaggio sembrano favorire la produzione di tali sostanze (Giorni et al., 2007).
Ad ogni modo, la formazione di micotossine è strettamente connessa alla crescita del fungo e si verifica in ogni condizione climatica. Ad oggi, la loro diffusione viene considerata un problema mondiale: la FAO stima che circa il 25% dei cereali prodotti siano contaminati da una o più micotossine.

Gli effetti delle principali famiglie di micotossine possono essere così sintetizzati:
– aflatossine (AFB1, AFB2, AFG1 e AFG2) sono potenti epatotossici. Molti animali esposti a queste micotossine riportano danni epatici, riduzione delle difese immunitarie e sono più suscettibili a vari agenti patogeni. Le aflatossine, quando assorbite dagli organismi superiori, sono convertite nel fegato in metaboliti più solubili, come l’AFM1, che viene escreta nel latte (oltre che nelle urine) di animali in lattazione (Galvano et al., 1998; Masoero et al., 2007). I livelli di AFM1 ammessi nel latte sono molto bassi (50 ng/kg) e questo riveste un importante aspetto nell’allevamento bovino ed ovi-caprino. Suini e polli che ingeriscono alimenti contaminati da aflatossine riducono le performance produttive, sono affetti da aumentata morbilità, ma non evidenziano contaminazione apprezzabile nelle carni e nelle uova;
– tricoteceni (tossine T-2 e HT-2, diacetossiscirpenolo o DAS, deossinivalenolo o DON, nivalenolo o NIV) sono potenti inibitori della sintesi di proteine. Il DON è considerato il tricotecene che più frequentemente causa problemi agli animali: inappetenza, rifiuto dell’alimento, vomito, minore resistenza alle malattie. I suini sono considerati particolarmente sensibili al DON, mentre i ruminanti sembrano essere più resistenti, anche se recentemente è stato pubblicato un lavoro nel quale sono stati evidenziati effetti immunodepressivi del DON anche in vacche da latte (Korostelema et al., 2009);
– ocratossina (OTA) è una micotossina nefrotossica e immunodepressiva, determina una minore capacità di accrescimento o di produzione di latte e uova;
– zearalenone (ZEA) ha effetti estrogenici, nelle scrofe causa edemi alla vulva ed all’utero, vulvovaginiti, cisti ovariche, aumento della velocità di maturazione dei follicoli, aborti e turbe al sistema riproduttivo. Nei maschi causa una cattiva formazione degli spermatozoi e riduzione della fertilità;
– fumonisine (FB1 e FB2) hanno attività immunodepressiva. La FB1 inibisce la ceramide-sintetasi nella biosintesi delle sfingomieline e ne derivano vari effetti tossici. Nei maiali che ricevono FB1 vi è un marcato aumento della sfinganina e della sfingosina in tutti i tessuti con lesioni (polmone, fegato) o senza lesioni (rene, pancreas). La tossicità della FB1 si manifesta con inappetenza e rifiuto degli alimenti.
Ad ogni modo, il rispetto dei limiti normativi riguardanti la contaminazione di alimenti da micotossine, non sempre dà garanzie sufficienti (Piva et al., 2009): l’esposizione continuata può causare peggioramenti delle performances (peso vivo, peso delle carcasse, produzione di uova e produzione di latte) apparentemente immotivate, aumento degli oneri da trattamenti farmacologici, con notevoli perdite economiche (Smith et al., 2005).
A tal proposito Hamilton (1984) con lungimiranza affermava, 25 anni fa «There is no safe level for mycotoxins» ed argomentava che i limiti legali danno una falsa sicurezza: solo a livello zero di contaminazione il rischio è zero (grafico 1).
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Un altro aspetto poco studiato riguarda la concomitante presenza di più micotossine nello stesso alimento, che può determinare un’amplificazione dell’effetto negativo delle singola micotossina (effetto sinergico).
Effetti dei bassi livelli di contaminazione sulle performance
Dalla rielaborazione ed estrapolazione di vari dati sperimentali su suini e polli è possibile trarre indicazione sugli effetti che dosaggi inferiori ai limiti normativi vigenti (grafico 2) possono avere sulla riduzione di performance di queste specie ad interesse zootecnico.
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Ipotizzando un effetto depressivo sulle performance, da ingestione di micotossine, pari a circa 0,5-2%, a seconda delle specie, si può stimare una perdita di oltre 200 milioni di euro per l’intero comparto zootecnico italiano. Questa stima non tiene conto degli oneri aggiuntivi derivanti da maggiori interventi veterinari o da peggioramento dell’impatto ambientale. Inoltre, andrebbero valutato anche l’effetto delle “micotossine nascoste”, cioè quelle tossine non evidenziabili con le normali metodiche, ma che sono presenti negli alimenti contaminati e che esplicano il loro effetto.
Conclusioni
La presenza di micotossine negli alimenti è sistematica e ineliminabile, anche in condizioni climatiche ottimali. Il rischio “zero” è un utopia, perciò bisognerebbe imparare a convivere con le micotossine, cercando di ridurre al minimo negli allevamenti le perdite economiche dovute alla loro ingestione, di alimenti contaminati, anche se a livelli molto bassi, con interventi tecnici mirati.

Pubblicato: Ottobre-Dicembre 2009

Foto: Pixabay

Le micotossine sono metaboliti secondari prodotti da numerose specie fungine capaci di colonizzare gli alimenti destinati al consumo umano ed animale lungo tutta la filiera produttiva (Payne et al., 1988; Scheidegger e Payne, 2003). Sono dotate di proprietà tossiche ed immunodepressive, hanno effetti diretti sullo stato sanitario degli animali, che possono portare a riduzione delle performance produttive (Smith et al., 2005), con perdite economiche e rischio di contaminazione dei prodotti derivati (carne, latte e uova).

     Dati gli ingenti danni economici ed il rischio per la salute dei consumatori, sono state emanate precise normative in merito, in particolare, la UE ha recentemente emanato una serie di documenti riguardanti l’argomento (Dir. CE n. 100/2003; Racc. CE n. 576/2006; Reg. CE n. 1881/2006 e 1126/2007). Anche in Italia, con il decreto del Ministero della Salute del 15 maggio 2006, è stato recepito anticipatamente quanto raccomandato dalla CE circa i livelli massimi di OTA ammissibili nei mangimi. Anche l’EFSA, l’agenzia preposta alla valutazione del rischio alimentare nell’UE, ha accentuato, fra il 2004 e il 2007, la propria attenzione sull’argomento e “sulla valutazione del rischio per il consumatore” con una serie di pareri che hanno riguardato le principali classi di micotossine: aflatossine (EFSA-Q-2006-174, 2007), fumonisine (EFSA-Q-2003-040, 2005), deossinivalenolo (EFSA-Q-2003-036, 2004), zearalenone (EFSAQ- 2003-037, 2004) e ocratossina (EFSA-Q-2003-037, 2006).

     Anche se sono state classificate circa 1100 specie fungine capaci di produrre oltre 2000 micotossine (Turner and Alderidge, 1983; CAST, 2003), con strutture molto diverse fra loro, i principali generi di miceti micotossigeni sono Aspergillus, Penicillum e Fusarium spp.

     Le condizioni nelle quali tali metaboliti vengono prodotti non sono ancora ben definite, anche se condizioni di stress delle piante in campo e cattive condizioni di stoccaggio sembrano favorire la produzione di tali sostanze (Giorni et al., 2007).

     Ad ogni modo, la formazione di micotossine è strettamente connessa alla crescita del fungo e si verifica in ogni condizione climatica. Ad oggi, la loro diffusione viene considerata un problema mondiale: la FAO stima che circa il 25% dei cereali prodotti siano contaminati da una o più micotossine.

     Gli effetti delle principali famiglie di micotossine possono essere così sintetizzati:

– aflatossine (AFB1, AFB2, AFG1 e AFG2) sono potenti epatotossici. Molti animali esposti a queste micotossine riportano danni epatici, riduzione delle difese immunitarie e sono più suscettibili a vari agenti patogeni. Le aflatossine, quando assorbite dagli organismi superiori, sono convertite nel fegato in metaboliti più solubili, come l’AFM1, che viene escreta nel latte (oltre che nelle urine) di animali in lattazione (Galvano et al., 1998; Masoero et al., 2007). I livelli di AFM1 ammessi nel latte sono molto bassi (50 ng/kg) e questo riveste un importante aspetto nell’allevamento bovino ed ovi-caprino. Suini e polli che ingeriscono alimenti contaminati da aflatossine riducono le performance produttive, sono affetti da aumentata morbilità, ma non evidenziano contaminazione apprezzabile nelle carni e nelle uova;

– tricoteceni (tossine T-2 e HT-2, diacetossiscirpenolo o DAS, deossinivalenolo o DON, nivalenolo o NIV) sono potenti inibitori della sintesi di proteine. Il DON è considerato il tricotecene che più frequentemente causa problemi agli animali: inappetenza, rifiuto dell’alimento, vomito, minore resistenza alle malattie. I suini sono considerati particolarmente sensibili al DON, mentre i ruminanti sembrano essere più resistenti, anche se recentemente è stato pubblicato un lavoro nel quale sono stati evidenziati effetti immunodepressivi del DON anche in vacche da latte (Korostelema et al., 2009);

– ocratossina (OTA) è una micotossina nefrotossica e immunodepressiva, determina una minore capacità di accrescimento o di produzione di latte e uova;

– zearalenone (ZEA) ha effetti estrogenici, nelle scrofe causa edemi alla vulva ed all’utero, vulvovaginiti, cisti ovariche, aumento della velocità di maturazione dei follicoli, aborti e turbe al sistema riproduttivo. Nei maschi causa una cattiva formazione degli spermatozoi e riduzione della fertilità;

– fumonisine (FB1 e FB2) hanno attività immunodepressiva. La FB1 inibisce la ceramide-sintetasi nella biosintesi delle sfingomieline e ne derivano vari effetti tossici. Nei maiali che ricevono FB1 vi è un marcato aumento della sfinganina e della sfingosina in tutti i tessuti con lesioni (polmone, fegato) o senza lesioni (rene, pancreas). La tossicità della FB1 si manifesta con inappetenza e rifiuto degli alimenti.

Ad ogni modo, il rispetto dei limiti normativi riguardanti la contaminazione di alimenti da micotossine, non sempre dà garanzie sufficienti (Piva et al., 2009): l’esposizione continuata può causare peggioramenti delle performances (peso vivo, peso delle carcasse, produzione di uova e produzione di latte) apparentemente immotivate, aumento degli oneri da trattamenti farmacologici, con notevoli perdite economiche (Smith et al., 2005).

A tal proposito Hamilton (1984) con lungimiranza affermava, 25 anni fa «There is no safe level for mycotoxins» ed argomentava che i limiti legali danno una falsa sicurezza: solo a livello zero di contaminazione il rischio è zero (grafico 1).

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Grafico 1. Illustrazione di un approccio prudente riguardo i livelli di sicurezza legati al consumo di micotossine. Adattato da Hamilton (1984).

Un altro aspetto poco studiato riguarda la concomitante presenza di più micotossine nello stesso alimento, che può determinare un’amplificazione dell’effetto negativo delle singola micotossina (effetto sinergico).

Effetti dei bassi livelli di contaminazione sulle performance

Dalla rielaborazione ed estrapolazione di vari dati sperimentali su suini e polli è possibile trarre indicazione sugli effetti che dosaggi inferiori ai limiti normativi vigenti (grafico 2) possono avere sulla riduzione di performance di queste specie ad interesse zootecnico.

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Grafico 2. Effetto del consumo di bassi dosaggi di micotossine sulle performance di crescita dei suini (Piva et al., 2009).

Ipotizzando un effetto depressivo sulle performance, da ingestione di micotossine, pari a circa 0,5-2%, a seconda delle specie, si può stimare una perdita di oltre 200 milioni di euro per l’intero comparto zootecnico italiano. Questa stima non tiene conto degli oneri aggiuntivi derivanti da maggiori interventi veterinari o da peggioramento dell’impatto ambientale. Inoltre, andrebbero valutato anche l’effetto delle “micotossine nascoste”, cioè quelle tossine non evidenziabili con le normali metodiche, ma che sono presenti negli alimenti contaminati e che esplicano il loro effetto.

Conclusioni

La presenza di micotossine negli alimenti è sistematica e ineliminabile, anche in condizioni climatiche ottimali. Il rischio “zero” è un utopia, perciò bisognerebbe imparare a convivere con le micotossine, cercando di ridurre al minimo negli allevamenti le perdite economiche dovute alla loro ingestione, di alimenti contaminati, anche se a livelli molto bassi, con interventi tecnici mirati.
Gianfranco Piva, Amedeo Pietri, Antonio Gallo