L’Europa è uno dei principali mercati di destinazione della soia, fonte proteica essenziale per l’alimentazione animale, prodotta a livello globale. In Brasile, tra i primi Paesi a esportare farina e semi di soia nel Vecchio Continente, la sua coltivazione si associa al rischio di deforestazione. Negli anni è cresciuta la consapevolezza della filiera della soia europea che la transizione verso la sostenibilità richiede un’assunzione di responsabilità da parte di tutti gli operatori e i portatori di interesse. Le azioni assunte sono diverse: politiche di sostenibilità, adozione della moratoria con gli impegni anti-deforestazione, il monitoraggio geospaziale, la due diligence, la diffusione delle buone pratiche agricole, la certificazione.
Le iniziative partecipate dai maggiori rappresentanti del settore cerealicolo e dei semi oleosi, Fefac, Coceral e Fediol, sono ora consultabili in un blog dedicato a questa materia. Qui gli operatori potranno trovare studi e documenti, strumenti di comunicazione e resoconti sui progressi compiuti e gli obiettivi raggiunti.
Italia primo produttore in Europa
L’Europa sconta un deficit in relazione al fabbisogno di proteine animali per la sua zootecnia. Secondo le tre organizzazioni riunite nella Eu Grain Chain questo è pari al 70%. Il consumo di farina di soia è di circa 32 milioni e viene soddisfatto solo grazie alle importazioni. Negli ultimi anni il continente ha cercato di incrementare la sua produzione domestica: per la soia la tendenza è in aumento e dal 2014 è quasi raddoppiata, con un livello produttivo di 2,7 milioni di tonnellate. Grazie alle migliori condizioni climatiche l’Italia è il primo Paese per output davanti a Romania e Francia. Tuttavia la domanda è così elevata che un aumento della produzione di proteine vegetali non potrà comunque rimpiazzare la quantità di beni importati.
Proprio l’Italia è tra gli Stati che più di tutti importano soia e farina di soia. Quasi l’80% dell’import europeo si concentra in quattro Paesi: oltre alla Penisola, ci sono Olanda, Spagna e Germania. In tutto sono 14,7 milioni le tonnellate di soia importata alle quali vanno aggiunti i 18,5 milioni di farina di soia. I principali fornitori sono Stati Uniti (per i semi) e Brasile (per la farina di soia, insieme agli altri Stati latinoamericani come l’Argentina). Questa relazione commerciale con il Brasile ha fatto sorgere la questione della deforestazione: in ampie regioni dell’Amazzonia e del Cerrado brasiliano la coltivazione è storicamente condotta a scapito della tutela del territorio.
Utili le buone pratiche agricole
Uno degli strumenti con i quali la Eu Grain Chain sta contrastando il fenomeno della deforestazione è la Moratoria sulla Soia in Amazzonia. Lanciata nel 2006 con la prospettiva di promuovere la sostenibilità nella filiera, sia sul mercato locale brasiliano che su quello globale, questa iniziativa ha raggiunto risultati significativi secondo le organizzazioni coinvolte.
Dalla sua entrata in vigore, secondo l’ultimo report diffuso da Fefac, Fediol e Coceral, la coltivazione di soia ha inciso sul processo di deforestazione per una percentuale molto contenuta. Da luglio 2008 a tutto il 2018 sono stati deforestati circa 5,97 milioni di ettari in Amazzonia. Con il 2019 si arriva a 7,04 mil di ha. Nell’ultima stagione considerata, quindi, quella 2018/19, gli ettari di soia piantati su terreno deforestato dopo il luglio del 2008 sono stati poco più di 88 mila. Pertanto solo l’1,5% della deforestazione è stato indotto dalla coltivazione di questa materia prima agricola.
La moratoria, infatti, non fa altro che favorire la coltivazione di soia nelle aree già convertite a terreno agricolo prima della sua entrata in vigore, riducendo così il rischio di nuova deforestazione. Per valutare il rispetto della moratoria in Brasile si ricorre al monitoraggio satellitare. L’altra regione che si sta cercando di preservare dalla minaccia della deforestazione è il Cerrado, sempre in Brasile. Qui l’impatto della soia su questo fenomeno è in diminuzione di anno in anno.
Un altro strumento a disposizione per consolidare una filiera della soia a basso impatto ambientale è la diffusione delle buone pratiche. Ad esempio grazie alla coltivazione alternata mais/soia si è riusciti a evitare che 14 milioni di ettari fossero sottoposti a conversione (il mais è piantato nelle stesse aree prima destinate a soia). Oltre a questa tecnica, anche le pratiche di conservazione del suolo, la riduzione dell’uso di fertilizzanti a base di azoto, la rotazione coltivazione/pascolo sono utili per favorire la sostenibilità della filiera della soia.
Nel 2021 le misure della Commissione Ue
Secondo i dati di Trase, Transparency for Sustainable Economies, l’81% della soia e della farina consumata in Ue è caratterizzato da un basso rischio di correlazione con la deforestazione grazie alla loro origine tracciata. Il 77% di equivalente in farina di soia importata è invece a deforestazione-zero, solo la restante quota è correlata al rischio di impatto negativo sul suolo. Nonostante questi dati incoraggianti diffusi da Eu Grain Chain, l’attenzione deve comunque restare alta.
L’Unione europea deve continuare ad agire per agevolare la transizione verso la sostenibilità di questa filiera fondamentale per il suo settore agro-alimentare-zootecnico. Deve farlo sia collaborando con i Paesi membri, con l’adozione di misure volontarie od obbligatorie, sia con i Paesi produttori, per esempio con la diffusione delle buone pratiche agricole. Ci sono diverse politiche che possono fare da leva in questa prospettiva: quelle commerciali, quelle dedicate alla sostenibilità, alla cooperazione allo sviluppo.
La strategia che ha definito il quadro generale per la sostenibilità dell’agroalimentare in Europa, ovvero la Farm to Fork, afferma che nel 2021 la Commissione Ue presenterà una proposta di legge e altre misure con cui “prevenire o ridurre al minimo” l’ingresso sul mercato unico di prodotti associati al degrado o alla deforestazione.
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