Reduce da un inizio anno comunque positivo, colpito dall’impatto economico della pandemia e pronto a ripartire una volta superata l’emergenza sanitaria. Il settore agroalimentare italiano resiste sotto i colpi della crisi confermandosi come un comparto strategico dell’economia nazionale: il suo valore aggiunto è vicino a 59 miliardi di euro, una cifra che lo colloca sul podio in Europa. Il dato è molto confortante ma dietro questo numero ci sono le diverse filiere agroalimentari che, in misura diversa, hanno fatto registrare andamenti distinti in questo anno infelice.
Dello stato del settore si è parlato lo scorso 4 novembre al Forum delle Economie sulla filiera Agrifood, iniziativa di Unicredit nata in collaborazione con Slow Food e Nomisma.
Duro colpo a Horeca da assenza turisti
L’Italia si conferma come uno dei principali Paesi agricoli d’Europa. Il suo valore aggiunto si avvicina a quello tedesco, pari a 61 miliardi di euro, con la Francia staccata a 78 miliardi. La solidità del comparto – come indicato anche da altri centri di ricerca, a cominciare da Ismea – è dimostrata ad esempio dai dati dell’export del 2019, che ha fatto segnare una buona performance anche nei primi mesi del 2020. Le esportazioni hanno continuato a crescere, così come le vendite al dettaglio, quando invece il manifatturiero italiano per via del lockdown ha subito un brusco calo, ricorda Nomisma. Con l’estate c’è stata però un’inversione di tendenza.
La fase 1 e l’evoluzione dell’emergenza hanno impresso un duro colpo al canale Horeca. I consumi fuori casa, che contribuisce per un terzo al totale della spesa alimentare. Oltre allo stop della ristorazione, la filiera, a valle, ha dovuto fare i conti anche con i mancati introiti legati al turismo enogastronomico: nel 2019 la spesa nei ristoranti italiani dei turisti stranieri aveva raggiunto i 10 miliardi di euro.
Penalizzato il comparto dei formaggi
Il calo dei consumi del canale Horeca è stato del 23% nel primo trimestre e del 64% nel secondo rispetto allo stesso periodo del 2019. Alcuni settori hanno sofferto più degli altri, come quello del vino (-3% dell’export nei primi sette mesi del 2020). Ma ci sono stati anche alcuni casi controcorrente, con aumenti delle esportazioni a doppia cifra, ad esempio la pasta (+23%) o la passata di pomodoro (+10%).
Oltre al vino, con una maggiore penalizzazione delle etichette a indicazione geografica certificata, anche i formaggi rientrano fra i prodotti che hanno più sofferto, ricorda Denis Pantini, responsabile Agricoltura e industria alimentare di Nomisma. L’impatto della crisi correlata all’emergenza sanitaria non è dunque uniforme e anche la capacità di reazione dimostrata: “Non tutte le filiere corrono alla stessa velocità. Inoltre, in alcune regioni, il settore agroalimentare è strategico più che in altre, pur soffrendo i colpi della pandemia, soprattutto a partire da giugno”, aggiunge l’esperto, come riporta il profilo Twitter di Nomisma.
Sulla spinta del lockdown, inoltre, sono mutati i consumi e si sono consolidate alcune abitudini prima molto circoscritte: “Si possono osservare molti cambiamenti come il ricorso all’e-commerce (canale sempre più consolidato), la ricerca di prodotti made in Italy e l’attenzione per la sostenibilità ambientale”, sottolinea Pantini.
Davanti a sé il comparto ha altri mesi difficili, con le nuove restrizioni, le chiusure anticipate e la sospensione delle attività di ristorazione. Ci saranno ulteriori conseguenze per i consumi, anche per via della riduzione dei redditi. Ma proprio grazie a queste nuove abitudini il settore potrà beneficiare di un nuovo slancio, magari con l’ulteriore valorizzazione delle produzioni italiane. Un contributo potrà arrivare anche dalle risorse europee che andranno a finanziare il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza e il Piano di Sviluppo Rurale, sostenendo la transizione verso un modello produttivo più sostenibile e votato al digitale.
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