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Carne bovina, bene consumi in casa ma pesa la chiusura dell’Horeca

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Lo stop alle attività di ristorazione con il lockdown ha dato un duro colpo alla zootecnia e la filiera della carne bovina ne è un esempio. I consumi extradomestici sono crollati e quelli in casa hanno solo parzialmente compensato le perdite. In Italia il canale Horeca assorbe infatti il 35% dei consumi e l’incremento della spesa domestica ha contenuto di poco l’impatto negativo. Lo dice Ismea nel suo ultimo rapporto Tendenze sul Bovino da carne

Il quadro emerge chiaramente con riferimento al periodo gennaio-agosto 2020. Il settore delle carni bovine è il più significativo in termini di domanda domestica, con il 43% in valore e il 32% in volume. Gli incrementi rispettivamente del 6,4% e del 4,5% sono positivi se raffrontati ai dati di fine 2019 e inizi 2020. Tuttavia il paragone è sfavorevole se si considerano gli altri tipi di carne: la spesa di carne suina è salita del 15%, quella avicola del 10,7%

Tra le diverse categorie è andato bene soprattutto il bovino adulto, compreso il vitellone, che forma il 60% circa dell’offerta. In volume la crescita è stata del 5,7%, in valore del 7,7% grazie all’aumento del prezzo medio. Tra i prodotti più richiesti la carne di scottona, una nicchia ma ben valorizzata. I suoi prezzi continuano a salire (l’incremento supera l’8%) e anche la spesa: +14,6% in volume, +24% in valore. Soffre invece la carne di vitello, che i consumatori non sembrano gradire particolarmente: i volumi sono in crescita ma sotto l’1%. L’impatto dell’emergenza sanitaria è stato rilevante per i vitelli a carne bianca: stop Horeca ha fatto crollare i consumi e i prezzi sono precipitati.

Puntare sulla qualità e rendere riconoscibile il prodotto italiano

Nel report Ismea ha rilevato anche un progressivo calo dell’indice di redditività. Nei primi sette mesi del 2020 il valore è stabile su base tendenziale mentre per i dati mensili, dopo un iniziale valore positivo a inizio anno, segnalano un calo da aprile a fronte di una riduzione graduale e continua dell’indice dei prezzi e un aumento di quello dei mezzi di produzione. Inoltre nel secondo trimestre del 2020 è peggiorato il clima di fiducia della zootecnia da carne: il suo indice ha fatto segnare il valore più basso degli ultimi cinque anni e un crollo che sfiora il 16%, marcando una netta distanza sia dall’anno precedente che dal primo trimestre del 2020. La situazione in corso continua a preoccupare mentre le prospettive per il medio termine sono migliori. 

Secondo Ismea, per cercare di uscire dalla crisi, i distributori italiani hanno davanti a loro due strade: scegliere tra la convenienza del prezzo o il salutismo e la territorialità che invece favorisce il prodotto interno. La prima strada sembra essersi in qualche modo affermata nell’ultimo trimestre, con un crollo degli ordini da parte della Gdo di vitelloni maschi nati in Italia, poco competitivi con quelli esteri (il prodotto estero è comunque necessario perché il settore non è autosufficiente: poco più della metà del prodotto consumato in Italia è prodotto qui). 

La questione riguarda la qualità, dice Ismea: se la carne importata fosse di alta qualità non farebbe pressione sui prezzi di quella nazionale e si verrebbe a creare una competizione sui valori legati, ad esempio, alla sostenibilità, al benessere animale certificato, alle caratteristiche organolettiche. Oggi – sottolinea Ismea – la carne bovina non gode della giusta riconoscibilità e questo determina un allineamento sulla scarsa qualità. Bisogna invece provare a far comprendere al consumatore le differenze di prodotto sulla base di caratteristiche peculiari. E inoltre bisogna che la domanda premi un prodotto di qualità che, pertanto, non potrà più porsi a bassi livelli di prezzo.



Foto: Pixabay

 

red.