Produzione costante, quotazioni all’origine in calo e miglioramento della bilancia commerciale della materia prima nel 2020. Sono alcuni fra gli elementi rilevati da Ismea nel suo ultimo rapporto Tendenze dedicato al grano tenero nel mercato nazionale. Una coltura che l’Italia è costretta ad importare per soddisfare appieno le esigenze dell’industria molitoria: una quota compresa fra il 60% e il 65% del prodotto utilizzato arriva infatti dall’estero.
Un bilancio del 2019
Nel 2019 la produzione mondiale ha toccato quota 729 milioni di tonnellate, con una crescita di poco sotto al 5% rispetto al 2018. I principali Paesi produttori hanno visto aumentare il loro output eccetto Kazakistan ed Australia. In Europa sono andati particolarmente bene Germania e Francia, rispettivamente a +13% e +15%, i due Stati dai quali deriva il 40% dei raccolti dell’Unione europea. L’Italia, che ha una quota sulla produzione mondiale del tutto marginale, in base ai dati Istat ha fatto registrare una riduzione del 2% portando la produzione a 2,7 milioni di tonnellate.
Anche le scorte finali sono aumentate di quasi l’8% toccando 271 milioni di tonnellate. L’incremento ha interessato in particolare Usa e Canada. L’effetto è stato quello di una leggera riduzione dei prezzi nella campagna 2019/2020. Tuttavia tra novembre 2019 e aprile 2020 c’è stato un costante e lieve aumento dei prezzi che però non ha portato i suoi valori sopra quelli dell’anno precedente. A maggio e giugno c’è stata invece un’inversione di tendenza, con cali più evidenti per via delle prime indicazioni relative al 2020.
I dati dell’anno in corso
Il nuovo anno è all’insegna della stabilità. Sia la produzione mondiale che quella nazionale si sono mantenute sugli stessi livelli dell’anno precedente. Proprio gli Stati penalizzati lo scorso anno (Australia e Kazakistan) hanno recuperato le perdite mentre le più prolifiche Francia e Germania hanno conosciuto un calo dei raccolti (rispettivamente -20% e -4,7%). In Italia, inoltre, le prime stime indicano una flessione degli investimenti (-4,7% con 506 mila ettari circa) e un aumento dei rendimenti unitari (+4,7%)
Anche nel 2020/2021 le scorte mondiali dovrebbero aumentare (+5,6%, sopra i 285 milioni di tonnellate) e questo dovrebbe tradursi in un calo delle quotazioni all’origine della granella. Tuttavia la metà di queste scorte sono in mano alla Cina. Quelle dei Paesi esportatori dovrebbero attestarsi a 59 milioni di tonnellate, in calo del 5% (soprattutto in Usa e Ue; dovrebbero invece aumentare in Australia e Canada).
Le conseguenze dei livelli in crescita delle scorte si sono manifestate ad esempio in Italia con il calo del prezzo della granella a luglio, al’avvio della campagna di commercializzazione 2020/21. Contravvenendo alla regola per cui generalmente il prezzo all’ingrosso degli sfarinati del frumento segue quello della granella, nel 2019/20 il prezzo delle farine è aumentato del 4,6% (la granella ha visto scendere le quotazioni dell’8% circa).
Import/export
Nel 2019 la bilancia commerciale del frumento tenero è migliorata: si è importato di meno, passando da più di 5,6 milioni di tonnellate nel 2018 a 5 milioni (-11,4%). Il saldo è variato così da oltre un miliardo a 995 milioni di euro (- 6,2%). Una dinamica che ha caratterizzato anche i primi cinque mesi del 2020, con un disavanzo vicino a 379 milioni di euro (calo dell’8,7%). Oltre la metà del prodotto è arrivato da Ungheria, Francia, Austria; il 13% da Usa, Ucraina e Canada.
L’effetto CoVid-19 c’è stato ed è stato peculiare. La pandemia non ha agito come freno alla richiesta di prodotto estero da parte dei molini per via delle restrizioni ai movimenti. La domanda è calata invece alla luce della preoccupazione avvertita dagli operatori circa la contrazione della domanda finale di prodotti derivati dalle farine venduti nel canale Horeca.
Buono anche l’andamento del surplus commerciale dei prodotti da forno, con un aumento di oltre il 19%, sopra gli 1,5 miliardi di euro grazie all’aumento dei volumi esportati che sfiorano il 10%. Stesso discorso per i primi cinque mesi dell’anno, con l’export cresciuto del 4,5% (nonostante i timori dovuti alla pandemia in corso) e il surplus del 10%. I principali mercati di destinazione sono Francia, Germania e Usa.
Prodotti derivati
In ogni caso – sottolinea Ismea sulla scorta di dati Italmopa – l’impatto positivo dell’export dei prodotti trasformati ha un peso marginale sul fatturato dell’industria molitoria. Questo perché le farine per i prodotti da forno sono meno del 20% della produzione totale (e parte di questi prodotti è comunque destinata al mercato interno).
Nel primo semestre dell’anno, inoltre, le vendite di pane sfuso artigianale sono diminuite accentuando un calo già emerso negli anni passati (-11,2%), ma solo nella Gdo, mentre sono cresciute nei negozi tradizionali. Molto meglio i numeri relativi ai prodotti della prima colazione e ai sostitutivi del pane (rispettivamente +5,7% e +8,5% in volume).
Le vendite di farina invece sono cresciute del 64% in volume e dell’84% in valore rispetto allo stesso periodo del 2019 per via dell’effetto scorta nei mesi di serrata. Ma questo boom avrà un impatto minimo sulle vendite totali dei derivati del frumento tenero. Pesa di molto il calo delle vendite nel settore della panificazione e nell’Horeca (pizzerie e pasticcerie).
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red.